fisico e teologo gesuita francese Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
François Euvé (1954 – vivente), presbitero, teologo e scrittore francese.
[«Secondo lei, il termine «prova» non si applica a Dio. Lei preferisce il termine "segno". Perché?»] Dio non è un'entità dello stesso ordine di un atomo o di una galassia. L'esistenza dell'atomo è corroborata da schemi teorici e prove sperimentali. Quasi tutta la comunità scientifica ne riconosce l'esistenza. Dio, almeno dal mio punto di vista cristiano, non è una questione di dimostrazione. È un Dio personale con il quale possiamo stabilire una relazione. Questo è un atto di fede e di libertà. La parola «prova» non si applica all'esistenza di Dio, perché la prova è una questione di ragionamento logico, non di scelta personale. Di fronte a una dimostrazione matematica, non abbiamo la libertà di accettare o rifiutare il risultato. Anche in fisica, dove non c'è certezza assoluta, gli scienziati raggiungono situazioni di consenso. La teoria della relatività generale, ad esempio, è accettata da quasi tutti gli scienziati. Ma questo è ben lungi dall'essere il caso dell'esistenza di Dio! Un segno, invece, richiede un'interpretazione. E l'interpretazione rimanda alla libertà dell'interprete. Se facciamo un incontro piacevole per strada, possiamo vederlo come un segno della benevolenza di Dio o semplicemente come un frutto del caso. È una questione di libertà di interpretazione. Nessuna dimostrazione può concludere che avremmo dovuto incontrare quella persona in quel giorno e a quell'ora. Il credente può essere libero di trovare segni dell'azione divina nella struttura dell'universo. Non è forse un segno di qualcosa il fatto che l'universo sia così coerente? Qui c'è spazio per il dibattito. Ma non si tratta di una prova.[1]
Intervista di Valdemar De Vaux, aleteia.org, 23 giugno 2022.
La parola "prova" è spesso compresa nel senso forte di "dimostrazione rigorosa che non lascia alcun margine di interpretazione". Ammettere la conclusione di un teorema matematico non impegna la libertà. La si può impiegare in un senso più debole, però io preferisco parlare di "segni", come nel Vangelo secondo Giovanni. Sono, se vogliamo, degli "indizi". Che un evento inatteso mi sproni a rendere grazie a Dio non mi pone alcuna difficoltà, anche se altre persone possono vedervi il risultato del caso. Il segno suppone l'impegno di una libertà.
In prospettiva cristiana, Dio non è una "cosa", un oggetto che esista come esiste la scrivania a cui sto seduto, ma una persona con cui sono in relazione vitale. Il "conoscere" non è del medesimo ordine del conoscere un elettrone, un cromosoma o una galassia: ciò suppone un modello teorico e una verifica sperimentale oggettiva. Provare l'esistenza dell'atomo è una cosa, ma non si può impiegare la medesima procedura per il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. La relazione che stringo con lui riguarda la libertà.
[«Che differenza c'è fra un dio "grande orologiaio" e il Dio di Gesù Cristo?»] Il "grande orologiaio" rimanda alla poesia di Voltaire: si fonda sull'idea che il mondo sia un orologio, ossia una costruzione meccanica. Il modello è la visione di Newton e dei fondatori della scienza moderna, come Cartesio. Si sa che Pascal era critico verso questo Dio «dei filosofi e dei sapienti». Il Dio che si rivela in Gesù Cristo presenta un altro "profilo", se possiamo dire così. La sua potenza si manifesta nel suo contrario, come san Paolo ha vigorosamente sottolineato. Questo ci mostra l'azione divina creatrice in modo ben diverso che secondo il modello della fabbricazione di una macchina.