Filippo Nani Mocenigo (1847 – 1921), politico e storico italiano.
- Quantunque i molteplici lavori mandati a compimento dal Fulin dimostrassero quanto varia, erudita profonda fosse la sua coltura nella storia patria, pure è a deplorarsi, che ossia per le sue molteplici occupazioni, o per la sua logorata salute, non abbia dato al suo paese, un lavoro di gran mole, che avesse potuto abbracciare, tutto il passato di Venezia.
La valentia del Fulin, la potenza del suo ingegno, e la sua memoria di ferro, erano argomenti per poter attendersi da esso, assai di più di quello che ha fatto. (cap. I, p. 136)
- Una dote speciale, tutta sua di cui andava fornito il Fulin, si era una abbondanza di eloquio, meravigliosa, che unita a un certo modo di esporre casalingo e alla portata di tutti, con fioriture, di aneddoti, di descrizioni di tempi e di costumi, riusciva di una evidenza singolare. (cap. I, p. 136)
- La donna perché adorna dalla natura di peculiari pregi è ritenuta la parte più gentile dei genere umano.
Alla venustà delle forme, alla innata gentilezza dei modi e del linguaggio, alla delicatezza del suo profondo sentire, essa poi a mille doppî aggiungerà valore, se coltivando la mente potrà esplicare con eletta forma, i suoi pensieri, ed arricchire così il patrimonio scientifico e letterario, coi risultati dei suoi studii. (cap. VII, pp. 465-466)
- Daremo principio col nome più caro fra tutte [le veneziane d'ingegno], e certo il più celebre: con quello della Renier Michiel Giustina. Di essa forse sarebbe meglio non dir parola perché il suo solo nome è un elogio, e perché la gentile poetessa trovò un sommo lodatore e biografo nell'indimenticabile Luigi Carrer, che la pose prima delle sette gemme veneziane, nel suo libro, descritte. (cap. VII, p. 467)
- Profondo nella Renier Michiel fu l'affetto verso la patria, ed acuto il dolore, che provò per la sua caduta[1]: e con onore si ricorda quel tratto nobilissimo di lei, quando nel giorno angoscioso della fine di Venezia, minacciandosi stragi e compiendosi saccheggi, essa si rivolse ai giovani patrizii Tommaso Mocenigo Soranzo e Bernardino Renier, che erano presso di lei dicendo: che state? salvate almeno la città, se non v' è possibile la repubblica. (cap. VII, p. 468-469)
- Donna stupendamente bella, la Teotochi Albrizzi fu ritratta con meravigliosa finitezza da Madama Lebrun[2]. (cap. VII, p. 476)
- La Teotochi Albrizzi ebbe accoppiata al naturale ingegno e alla varia coltura, una avvenenza tutta greca, e questo le giovò ad accrescerne la fama, e a fare più celebre e ricercato il suo nome. Forse è più letterata nel senso dello stile e della lingua, della sua contemporanea Renier Michiel, ma da questa è superata nella serenità dell'affetto, e nel colpire più direttamente il cuore; la Teotochi riesce più studiata, ed ha un che di accademico nelle sue prose, né manca anche di qualche amara espressione disdicevole alla bontà femminile, mentre la Renier si conserva ingenua ed amorosa in tutti i suoi scritti. (cap. VII, p. 477)
- Amica alla Teotochi Albrizzi era la Teresa Alberelli Vordoni nata in Verona nello scorcio del settecento [...]. Fu essa bellissima della persona e del volto, coltissima e dedita alla poesia fino dalla sua gioventù. [...]. Dimorò per circa tre anni col marito in una villa del veronese ; qui dedicossi con viva passione allo studio della lingua, così che il padre Antonio Cesari[3] diceva che pochissimi conosceva, che la superassero. (cap. VII, pp. 477-478)
- Fu detto delle poesie della Fuà, che sono belle per profonda soggettività di concetto, tutte irradiate dagli affetti domestici, tutte spiranti fragranza[4] di sentimenti melanconici che confortano e rasserenano. (cap.VII, pp. 490-491)
- ↑ Allusione all'occupazione napoleonica della Repubblica di Venezia nel 1797.
- ↑ La pittrice francese Élisabeth Vigée Le Brun, considerata una delle più grandi ritrattiste del suo tempo
- ↑ Antonio Cesari, linguista e massimo teorico del Purismo del XIX secolo.
- ↑ Nel testo "fraganza".