Il fatto è che il cane lupo cecoslovacco non dovrebbe proprio esistere. È un'invenzione dell'uomo, una delle peggiori nel campo delle razze canine. Negli anni Cinquanta un colonnello cecoslovacco ebbe la brillante idea di far accoppiare una lupa dei Carpazi con due pastori tedeschi allo scopo di creare un cane più aggressivo e più feroce da dislocare lungo la cortina di ferro. L'esperimento in gran parte fallì, perché si scoprì che i nuovi cani-lupo obbedivano soltanto all'addestratore, e una volta trasferiti sul luogo di lavoro – un confine dove chi cercava di passare veniva normalmente assassinato senza troppi complimenti – si mostravano indocili e incontrollabili. Purtroppo però la razza continuò a esistere, e dopo la fine del comunismo si è diffusa anche in Occidente: e siccome il Clc è un animale bellissimo, la sua popolarità è cresciuta.
Un Clc ha bisogno di spazio, di un enorme spazio a disposizione, perché è in grado di avvertire un suono o un odore a centinaia di metri e qualche volta a chilometri di distanza, è abituato come il suo cugino selvatico a percorrere decine di chilometri al giorno, ha un istinto predatorio estremamente sviluppato, e insomma ha bisogno di una grande libertà del tutto incompatibile con le regole della convivenza umana.
L'unica cosa da fare, se davvero amassimo i cani (e i lupi), sarebbe sterilizzare tutti gli esemplari [di cane da lupo cecoslovacco] in circolazione e rinunciare una volta per tutte alla pretesa assurda, presuntuosa e in definitiva criminale di mescolare artificialmente ciò che non può e dunque non deve essere mescolato.
Come accade coi no-vax o con i terrapiattisti, anche fra i jihadisti del cane lupo cecoslovacco (CLC per gli appassionati) c'è chi nega la realtà. Ma la verità sulle origini della razza, per quanto disturbante, è questa: nel 1955 Karel Hartl, un ufficiale dell'esercito cecoslovacco, avviò una serie di esperimenti nel canile della Brigata della Guardia di frontiera di Libejovice per incrociare il lupo dei Carpazi con il pastore tedesco (già impiegato dall'esercito), allo scopo di ottenere cani «più efficienti» da dislocare lungo la cortina di ferro. Tralascio di spiegare che cosa potesse significare «efficiente» nella Cecoslovacchia comunista.
Ad un allevatore professionista con cui avevo fatto amicizia chiesi un giorno quanto dovesse essere ampia l'area in cui tenere un CLC, quale fosse il limite del suo territorio. Mi guardò con un sorriso di leggero compatimento e rispose: «L'orizzonte».
Chi è in grado di garantire al proprio CLC luoghi e condizioni di vita adatte alla sua natura, alla sua mente, al suo DNA? Chi ha dieci ettari a disposizione – che neppure basterebbero – o la possibilità di tenere due o tre cani, perché il CLC è fortemente sociale e se non vive in branco può sviluppare un attaccamento morboso al suo riferimento umano? Chi può offrirgli passeggiate quotidiane di tre o quattro ore nei boschi, senza guinzaglio, che piova o tiri vento? Pochi, pochissimi. La stragrande maggioranza dei CLC vive in appartamento, vede il cielo dal balcone, passeggia sempre rigorosamente al guinzaglio, e se ha fortuna, diciamo così, resta per ore o per giorni in un giardinetto di duecento metri quadri.
È giusto trasformare un mezzo lupo in un labrador soltanto per il piacere di portarlo a spasso rubando gli sguardi ammirati dei passanti? La maggior parte dei CLC – anche su questo dovremmo essere onesti – vive in condizioni inadatte, che a volte rasentano il maltrattamento (psicologico, se non fisico). I proprietari spesso neppure se ne accorgono, perché pensano che un divano e una ciotola, un po' di carezze e un giro dell'isolato possano sostituire una vita nei boschi: e in parte, naturalmente, la sostituiscono, perché i cani, come gli uomini, sanno adattarsi a tutto: ma non per questo possono dirsi felici. E quando il loro amato CLC distrugge qualcosa (visto coi miei occhi: lo stipite di una porta, una parete di legno, la targa di un'automobile, un intero divano) sorridono e si scambiano battute fra loro, ignorando che è questo il più tipico segnale di stress, il segno inequivocabile di un profondo disagio emotivo e psicologico.
Non si doveva incrociare un cane con un lupo, per la buona ragione che i lupi hanno impiegato trentamila anni a diventare cani, ed è a dir poco irresponsabile pensare di riprodurre in venti o cinquant'anni quello che la natura e l'uomo hanno impiegato millenni a plasmare.
I CLC (e gli altri ibridi) non dovrebbero esistere. Non perché siano pericolosi in sé, ma perché li abbiamo creati senza poter dare loro un mondo in cui vivere sereni e secondo la loro natura. È per il bene dei CLC, per l'amore che chiunque prova dopo averne conosciuto uno, che questo orribile esperimento dovrebbe terminare una volta per tutte.
Tanto per cominciare, l'Italia non esiste. È un'espressione geografica, uno stivale che s'allunga pigro nel Mediterraneo, una graziosa penisola purtroppo in gran parte rovinata dagli italiani. L'idea di farne uno Stato, una Nazione con la maiuscola, come se fossimo la Spagna o l'Inghilterra, è una sciocchezza sesquipedale, che perdoniamo al conte di Cavour soltanto perché, maturato nella lingua e nella cultura d'Oltralpe, pensava in buona fede di vivere in Francia.
Citazioni
L'Italia unita è un ipertrofico Stato Pontificio, dal quale ha ereditato le sue due caratteristiche principali: la corruzione e l'ipocrisia. (pp. 4-5)
La dinamica peccato-perdono è la quintessenza del cattolicesimo reale. Nel corso dei secoli, si è tradotta in un codice di comportamento semplice quanto efficace: posso fare quello che voglio, sempre. Il monumentale menefreghismo degli italiani, che infrangono sistematicamente ogni tipo di legge, regolamento, direttiva o prescrizione, non è che l'applicazione concreta, efficace e pienamente soddisfatta della secolare predicazione cattolica sul peccato e sul perdono. (p. 98)
I caratteri fondamentali del cattolicesimo reale sono indistinguibili dal carattere degli italiani. L'Italia dei condoni è la figlia diletta dell'Italia dei preti. (p. 99)
Soltanto in Italia il governo paga di tasca propria, cioè con i soldi dei cittadini, l'indottrinamento confessionale nella scuola pubblica. Soltanto in Italia l'opinione di un vescovo è considerata oggetto di discussione pubblica, materia di dibattito politico, espressione di un punto di vista collettivo e addirittura generale. (p. 101)
La mafia come l'Italia, si fonda su un'istituzione fondamentale: la famiglia. Che dell'Italia è la sola cellula sociale riconosciuta, rispettata e tramandata attraverso i governi e i regimi, le occupazioni e le liberazioni. (p. 103)
Polverizzati in famiglie, noi italiani non siamo affatto una grande famiglia, come per esempio si sentono gli americani. (p. 108)
Non si può non parlare di famiglia italiana senza parlare della mamma, che ne è il cuore e il baricentro, e spesso il motore segreto. E della Madonna, che della mamma italiana è insieme l'archetipo e lo spirito guida. (p. 113)
La mamma italiana non insegna ai figli il principio di responsabilità: semmai, suggerisce loro che se le cose vanno male la colpa è degli altri, o della sfortuna, o dell'invidia; che c'è sempre un modo di farla franca, almeno finché restano in famiglia. (p. 117)
E bamboccioni sono in effetti gli italiani, anche quelli che non abitano più con la mamma: lo sono perché così hanno imparato a vivere sin da piccoli, letteralmente succhiando il latte materno; e perché non hanno altro modello se non quello della deresponsabilizzazione personale, dell'impunità permanente. (p. 118)
La sinistra italiana è la parte peggiore del Paese, perché ne condivide tutti i vizi e le mancanze, ma si crede diversa e migliore. (p. 121)
Alla modernità – all'illuminismo, alla Rivoluzione francese, alla scienza moderna e alla rivoluzione industriale – Manzoni contrappone la Provvidenza e il suo disegno imperscrutabile, che non può essere interrogato ma soltanto accettato; alla società atomizzata dei diritti individuali contrappone l'ordine gerarchico patriarcale; alla libertà di coscienza e di pensiero le virtù dell'obbedienza e della rassegnazione; al cittadino il suddito. (p. 156)
Fabrizio Rondolino, L'Italia non esiste, Mondadori, 2011.