Eugenio Corti (1921 – 2014), scrittore e saggista italiano.
- A Pretoro ci era stato detto che, essendo l'alto paese di Capracotta luogo di villeggiatura, v'avremmo trovato alberghi per riposarci. Dei luoghi di villeggiatura aveva infatti la riduzione di tutto a superficie e la sgargiante monotonia. (da I poveri cristi, p. 78)
- Diversa la piccola nonna, donna Maria, con abiti scuri principio secolo, e lo scaldino d'ottone lucente tra le mani azzurre. Viveva della poesia ch'era nella vita degli altri: la cercava, un po' sorda, il fragile viso in attesa, e s'illuminava, quasi batteva le mani, quando ne incontrava. Con lei passai alcune ore a conversare: meravigliato, perché ogni cosa m'uscisse di bocca era poesia. (da San Giorgio declassato e altri racconti, p. 79)
- È stato nella tremenda vicenda della sacca del Don dove siamo rimasti per 28 giorni che ho visto gli abissi della barbarie, è lì che nei tre giorni passati all'aperto, in pieno mese di dicembre del 1942, quando le speranze di sopravvivenza si stavano spegnendo, che ho fatto una promessa alla Madonna pensando a come la stesse pregando anche mia mamma a casa: se ne fosse uscito vivo mi sarei impegnato per tutta la vita non solo a scrivere in spirito di bellezza ma anche per realizzare le parole del Padre nostro 'Venga il tuo Regno'. E così fu, perché non solo mi salvai e fui uno dei 300 sui 1700 uomini del mio reggimento ma anche perché non appena terminata la guerra scrissi il mio primo libro 'I più non ritornano', pubblicato nel 1947.[1]
- Ho ricercato la figura del soldato anche nel Medioevo. E ho trovato l'immagine del cavaliere, che metteva Dio sopra tutto. Il cavaliere medioevale non infierisce sul nemico per ucciderlo, ma gli stringe la mano. C'è della bellezza in questo, e questa realtà investe tutto il mondo.[2]
- Ho sperimentato che Dio non abbandona l'uomo. Siamo noi casomai ad abbandonare Lui.[3]
- Preferisco essere considerato uomo di cultura più che "intellettuale", figura che nasce nel 1700 e incarna l'utopismo senza Dio.[3]
- Purtroppo dalla seconda metà del Novecento le opere letterarie nascono già morte. La scrittura è arte. E come nell'arte assistiamo da Picasso in poi a un disfacimento delle figure, così in letteratura. Non si è più in grado di rendere l'universale nel particolare...[3]
- Quello che ha influito maggiormente su di me ancora ragazzo, anzi quasi bambino, è stato Omero. Quando, in prima ginnasio, mi sono trovato tra le mani le sue due opere e ho incominciato a leggerle, ne sono rimasto totalmente conquistato. Percorrevo quel nuovo dominio con tale entusiasmo che, quando suonava la campana di interruzione dello studio, provavo un gran fastidio. È stata un'esperienza fortissima, che ha influito per sempre sul mio modo di scrivere. Di Omero mi ha appassionato la capacità di rendere bello tutto ciò di cui parla, il fatto che abbia saputo introdurre nel mondo tanta bellezza.[4]
Fine maggio 1940; avanzando lenti uno a fianco dell'altro Ferrante e suo figlio Stefano falciavano il prato. Alle loro spalle il cavallino sauro attendeva attaccato al carro; aveva consumata per intero la bracciata d'erba messagli davanti da Stefano all'inizio del lavoro: con avidità l'aveva mangiata, sollevando e squassando di continuo la testa per respingere il collare voluminoso che gli scivolava lungo il collo. Adesso, senza muoversi d'un passo, protendeva la bocca per carpire le foglie del gelso nella cui ombra era stato lasciato: insieme con le foglie strappava anche la scorza dei rami più teneri che apparivano – dove le labbra erano giunte – spezzati e bianchi come ossicine.
Citazioni
- «L'arte» disse il giovane «è l'universale nel particolare, è questo che tu volevi dire, che abbiamo detto tante volte». (p. 89)
- A un tratto si sentì bruscamente trattenuto per il cappotto. Uno degli individui caduto sulla pista l'aveva, brancolando, afferrato con una mano a una tasca. Il sottotenente non ebbe l'animo di dare uno strappo: si arrestò e piegò su di lui; anche Paccoi, col quale egli adesso camminava sotto braccio, s'era arrestato.
«Perché andate tutti via?» sussurò l'uomo prostrato nella neve: «Date una mano anche a me, non lasciatemi qui a morire.»
«Noi due non possiamo» gli rispose con pietà e insieme con vergogna Ambrogio «perché io sono ferito.»
«E mia madre?» mormorò lo sconosciuto senza più forze. «Non avete una madre voi?» (p. 362)
- [Sugli alpini] Non vogliamo idealizzarli, ma ci sembra di poter affermare che nell'attuale civiltà della materia e delle macchine, questa gente che – senza forse rendersene conto – si sosteneva soprattutto sullo spirito, costituiva una grande eccezione. Perfino quando gli capitava di essere sconfitti, essi in cuor loro (a motivo del dovere compiuto) non si sentivano propriamente tali; d'altra parte sconfiggerli era molto difficile. (p. 427)
- Addio dunque anche a te primo amore, addio per sempre, ciò che abbiamo sognato non sarà mai... Addio montagne, patria, reggimento, addio mamma e primo amore, cantavano gli alpini. Cantavano e piangevano gli alpini valorosi, e c'era nel loro canto paziente lo struggimento della nostra umana impotenza; cantarono anche quando il capitano ormai non cantava più e li accompagnava solo con gli occhi; cessarono di cantare solo quando si resero conto che il capitano Grandi era morto. (p. 446)
- Verso le quattro cominciò a schiarire. A levante si formò nelle tenebre un barlume verde scuro, che tracciò poco alla volta un segmento d'orizzonte, come a dire un principio di separazione tra il cielo e il mare, entrambi ancora neri. Poi la luce crebbe, si diffuse, le stelle andarono attenuandosi, mentre la macchia verdastra si espandeva sempre più, trasmutando in rosso, in oro, in altri colori. Sospesa nel cielo sopra il mare sterminato rimase un'unica stella, goccia di luce tremula: era Espero, la prima che si accende la sera, l'ultima che si spegne al mattino. Dal piano del mare emerse infine un punto straordinariamente luminoso, che crebbe fino a trasformarsi in un principio di disco: il sole. I dieci uomini, avvolti nelle loro umide coperte, osservarono quasi senza parlare lo spettacolo, mentre la barca seguitava a correre bravamente, spinta dal suo inestetico motore. (p. 490)
- Le donne partecipavano al rito cantando gli antichissimi inni latini, gli stessi che cantavano a volte anche durante il lavoro nelle fabbriche vincendo il fragore dei telai e traendone conforto: il 'Veni creator Spiritus', l' 'O sacrum convivium', e il 'Tantum ergo'. Qui, nella tranquillità della chiesa, coi raggi dell'ultimo sole ch'entravano ammansiti dalle finestre colorate, quegli inni conducevano indefinitamente indietro nel tempo: non certo ai padri del più lontano medio evo che li avevano composti (del tutto sconosciuti a chi cantava), ma alle generazioni pur scomparse delle nonne e degli altri vecchi, dalla cui voce questi inni erano stati uditi nei primi anni della vita. Erano i canti veramente duraturi, non stagionali del popolo, gli ultimi che il nostro popolo abbia avuto; riportavano al cuore di ciascuno, insieme a un'ondata confusa e struggente di memorie, il senso del tempo che passa e quello dell'eternità. (p. 518)
- «Sei a casa tua» disse il reduca a sé stesso: «Vedi? A casa. Ci sei arrivato. Ci tenevi tanto quand'eri là sulla neve, adesso sei qui, sei tornato.» Non avvertiva gioia, tornare mentre i più non ritornavano, non era una gioia. (pp. 543-544)
- «Grazie, Signore Iddio» mormorò Manno col suo ultimo fiato «grazie». Sentì, non con l'orecchio della carne ormai, ma coi sensi dello spirito, un principio di fruscio: gli tornarono in mente, come da molto lontano, le parole dell'allievo: "La bandiera!". Spalancò gli occhi dello spirito per vederla: ma non era la bandiera che frusciava, erano le ali del suo angelo: lo vide in faccia per la prima volta e gli sorrise, mentre intorno a lui si produceva il grande capovolgimento.
«Benvenuta Almina» la salutò con gioia Marietta: «Benvenuta».
«Nessuno, a pensarci bene, era più degno di te del paradiso» mormorò estatica Alma.
«Oh, se è per questo siamo qui in tanti, in tanti» disse Marietta con voce angelica (ma che ricordava ancora in qualche modo la sua voce sempre un po' spaventata d'una volta) perché non uno di quelli per cui Cristo è morto si perde, Alma cara, non uno; se non vuole. Vedrai tuo cugino Manno, e Giustina, e Stefano, col loro padre Ferrante, vedrai il Foresto, e suor Candida, e Romualdo, e anche il Praga d'Incastigo che – grazie alle preghiere instancabili di don Mario – il demonio non è riuscito a tenere soggiogato sino alla fine.»
A questo punto l'angelo di Michele fece un gesto circolare di saluto: «Beh, io devo tornar giù» disse con un mezzo sospiro, il mio posto è ancora là, e schiuse le ali per lanciarsi nel tragico mondo degli uomini.
- Corti è un uomo che è andato alla ricerca delle poche cose semplici che sono chiave di risposte. Recentemente in letteratura il linguaggio della teologia della religione è usato ampiamente, ma sempre in senso misticheggiante. L'aspetto affascinante di Eugenio Corti è che al posto della complessità, di fatto vuota, c'è un'immagine, semplice, ferma, riconoscibile. Che dà significato e dà verità a tutto il resto. E il lettore non può fare a meno di pensare: "Se è vera questa storia, ci sono dentro anch'io". (Alessandro Zaccuri)
- Era il cantore della Gloria di Dio. Non si può pensare a Corti senza sentire vibrare la sua essenzialità, senza sentire il suo modo di analizzare la dignità del popolo cristiano davanti a Dio. (Luigi Negri)
- Ho ben presente ed ho sempre tenuto in altissima considerazione la sua produzione letteraria, dagli esordi fino alla pubblicazione della trilogia del Cavallo Rosso, romanzo che narra l'Italia della seconda guerra mondiale e quella della sua rinascita, fino al periodo buio della minaccia terrorista alle istituzioni democratiche. Ed ancora, le opere successive, i saggi e gli articoli che hanno alimentato, con feconda intelligenza, il dibattito delle idee del Novecento. (Sandro Bondi)
- ↑ Dall'intervista di Luigi Losa, "Io, scrittore da una vita", IlCittadinoMB.it, 20 gennaio 2011.
- ↑ Citato in Chiara Sirianni, Eugenio Corti racconta il Medioevo, Tempi, 21 dicembre 2008; citato in eugeniocorti.net.
- 1 2 3 Dall'intervista di Antonio Giuliano, Eugenio Corti, 90 anni in prima linea, La Bussola Quotidiana, 15 gennaio 2011; riportata in L'uomo che non si è mai arreso, laNuovaBussolaQuotidiana.it, 5 febbraio 2014.
- ↑ Citato in Paola Scaglione, Parole scolpite: i giorni e l'opera di Eugenio Corti, p. 45.
- Eugenio Corti, I poveri Cristi, Garzanti, 1951.
- Eugenio Corti, Il Cavallo Rosso, Edizioni Ares.
- Eugenio Corti, San Giorgio declassato e altri racconti, Solfanelli Editore.