scrittore e drammaturgo romeno Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Eugène Ionesco, nato come Eugen Ionescu (1912 – 1994), scrittore e drammaturgo francese di origini rumene.
C'è forse un solo uomo, oggi, che può fare qualcosa subito: Gorbaciov. È a lui che faccio appello, perché intervenga, fermi la mano al mostro di Bucarest. Gli tagli i viveri. Rompa i legami economici. È la prima cosa da fare. Gorbaciov è il solo che potrebbe interrompere i rifornimenti alla Romania e far saltare da un giorno all'altro la dittatura di Ceausescu.[1]
Ceausescu è un pazzo. Come si può lasciare un folle al potere? Come possono le nazioni civili sopportare questo mostro nel cuore dell'Europa?[1]
Ci sono più persone morte che vive. E il loro numero è in aumento. Quelle viventi diventano sempre più rare.[2]
Dieu est mort, Marx est mort et moi-même je ne me sens pas très bien[4]
Dio non può morire. È l'unica cosa che non può fare. Se l'uomo è stato creato a immagine di Dio, l'uomo non morirà. Dio non lascerà estinguere la propria immagine.[5][3]
Dove non c'è umorismo non c'è umanità; dove non c'è umorismo (questa libertà che si prende, questo distacco di fronte a se stessi) c'è il campo di concentramento.[6]
La Commedia Umana non mi assorbe abbastanza. Non appartengo interamente a questo mondo.[8]
La matematica è nemica mortale della memoria – eccellente in altri campi – ma nefasta aritmeticamente parlando.[9]
Noi ci siamo abbandonati alla nostra opulenza, alle nostre piccole cose, mentre il tiranno di Bucarest faceva della Romania un enorme campo di prigionia.[1]
Un tribunale internazionale dovrebbe intervenire per cacciare il mostro di Bucarest che ancora resiste ai cambiamenti politici che hanno sconvolto l'Europa dell'Est in questi ultimi mesi e settimane. Il regno del re Ubu romeno era terribile prima, è ancor più tremendo ora e non capisco come il mondo intero possa tollerare che si schiacci la libertà coi carri armati e con le baionette.[1]
Intervento all'VIII Meeting di Rimini, 26 agosto 1987
Si parla della propria infanzia quando non c'è più, quando non la si capisce più molto bene.
Uno dei motivi principali per cui scrivo è senza dubbio per ritrovare il meraviglioso della mia infanzia, al di là del quotidiano, la gioia al di là del dramma, la freschezza al di là della durezza.
Tutti i miei libri, tutte le mie opere di teatro, sono un appello, l'espressione di una nostalgia, io cerco un tesoro caduto nell'oceano, perduto nella tragedia della storia.
Scrivo nella notte e nell'angoscia, con l'illuminazione dell'umorismo di tanto in tanto.
Quando lo stupore è al suo apice, in quel momento non dubito più di nulla.
Ho la certezza di essere nato per l'eternità, che la morte non esiste, che tutto è miracolo.
Gli anni di storia personale sono come i secoli tempestosi, tristi, demoniaci della Storia universale. Passati tumultuosi, come se fossero i ricordi, come se fossero la memoria del mondo, mi separano e ci separano dall'inizio.
Non poter concepire un mondo senza limiti, non poter immaginare l'infinito, è questa la nostra infermità di fondo.
Vivere al di là del bene e del male, considerare una cosa al di là del bene e del male, come voleva Nietzsche, non è possibile. Egli stesso è diventato pazzo di pietà, vedendo un vecchio cavallo cadere a terra e morire.
Il mondo è forse solo un enorme scherzo che Dio ha fatto all'uomo.
Una fraternità fondata sulla metafisica è più sicura di una fraternità o di un cameratismo fondati sulla politica.
La politica mi pare che sia anch'essa un divertimento, talvolta terribile, comunque un divertimento.
Ogni scrittore, ogni artista, ogni poeta, non vuole forse imitare Dio, non vuole anch'egli essere un piccolo Dio che vuole creare gratuitamente, senza ragione, per gioco, per Libertà e in piena libertà?
Noi siamo qui con i nostri quadri, le nostre musiche, le nostre poesie, i nostri libri alla ricerca di una parvenza di immortalità.
Tutto è assurdo quando manca Dio
Intervista di redazione, Tracce, novembre 2009
[La santità] è la perfezione, il grado supremo che un uomo che ami Dio può raggiungere.
Io non trovo affatto assurdo il mio teatro.
Tutto è assurdo, e tutti sono assurdi, quando manca Dio.
Anche i laici possono avere delle virtù, il fatto è che sono vicini alla divinità ma non lo sanno. Sono vicini in modo irrazionale.
Io sono un costruttore di letteratura che è sempre stato un cercatore di spiritualità.
Interno borghese inglese, con poltrone inglesi. Serata inglese. Il signor Smith, inglese, nella sua poltrona e nelle sue pantofole inglesi, fuma la sua pipa inglese e legge un giornale inglese accanto a un fuoco inglese. Porta occhiali inglesi; ha baffetti grigi, inglesi. Vicino a lui, in un'altra poltrona inglese, la signora Smith, inglese, rammenda un paio di calze inglesi. Lungo silenzio inglese. La pendola inglese batte diciassette colpi inglesi.
Signora Smith: Già le nove. Abbiamo mangiato minestra, pesce, patate al lardo, insalata inglese. I ragazzi hanno bevuto acqua inglese. Abbiamo mangiato bene, questa sera. La ragione si è che abitiamo nei dintorni di Londra e che il nostro nome è Smith. Signor Smith: (continuando a leggere, fa schioccare la lingua). Signora Smith: Le patate sono molto buone col lardo, l'olio dell'insalata non era rancido. L'olio del droghiere dell'angolo è di qualità assai migliore dell'olio del droghiere di fronte, ed è persino migliore dell'olio del droghiere ai piedi della salita. Non voglio dire però che l'olio di costoro sia cattivo. Signor Smith: (continuando a leggere, fa schioccare la lingua). Signora Smith: Ad ogni modo l'olio del droghiere dell'angolo resta il migliore... Signor Smith: (continuando a leggere, fa schioccare la lingua).
Citazioni
Com'è bizzarro, curioso, strano! Dunque, signora, noi abitiamo nella stessa camera e dormiamo nello stesso letto, cara signora. Forse è lì che ci siamo incontrati![10]
Signor Smith: Un medico coscienzioso deve morire con il malato, se non possono guarire assieme.
Signor Smith: Che tutti i medici sono ciarlatani. E anche tutti i malati. Solo la marina è sana, in Inghilterra. Signora Smith: Ma non i marinai. Signor Smith: Beninteso. (scena I)
Signora Smith (che ha una crisi di furore): Non mandarmi più ad aprire la porta. Hai visto che è inutile. L'esperienza insegna che quando si sente suonare alla porta è segno che non c'è mai nessuno. (scena VII)
Pompiere: Molto male. Non accade quasi nulla, qualche sciocchezzuola, un camino, una stalla. Niente di serio. Cose che non rendono. E siccome non c'è rendimento anche il premio di produzione è molto magro. Signor Smith: Andiamo male. In tutti i campi è la stessa storia. Il commercio, l'agricoltura, proprio come il fuoco, quest'anno... non si riesce a ingranare. Signor Martin: Niente grano, niente fuoco. Pompiere: Neppure inondazioni. Signora Smith: Ma c'è dello zucchero. Signor Smith: Perché lo fanno venire dall'estero. Signora Martin: Per gli incendi sarebbe più difficile. Troppe tasse. (scena VIII)
Signor Martin: Giustissimo, d'altronde la verità non si trova nei libri ma nella vita. (scena VIII)
Pompiere: (si dirige verso l'uscita poi si ferma) A proposito, e la cantatrice calva? Silenzio generale, imbarazzato. Signora Smith: Si pettina sempre allo stesso modo! (scena X)
Signor Smith: Prendete un circolo, coccolatelo, diventerà vizioso!
A trentacinque anni è ora di ritirarsi dalla corsa. Se esiste una corsa. Ne avevo fin sopra i capelli del mio impiego. Era già tardi, avevo quasi quarant'anni. Sarei morto di noia e di tristezza se non avessi ereditato inaspettatamente. È raro, ma ci sono ancora zii d'America, sempre che il mio non fosse l'ultimo. In ogni caso, nessuno dei colleghi della piccola azienda aveva un padre, un cugino o uno zio americano. Se ne mostrarono gelosi: figurarsi, non aver più bisogno di lavorare!