giornalista, scrittore e saggista uruguaiano Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Eduardo Germán María Hughes Galeano (1940 – 2015), scrittore, giornalista e saggista uruguaiano.
Alla fine del 1979 le truppe sovietiche invasero l'Afghanistan. Secondo la spiegazione ufficiale, l'invasione voleva difendere il governo laico [il regime comunista di Hafizullah Amin] che stava tentando di modernizzare il Paese. Io fui uno dei membri del tribunale internazionale che a Stoccolma si occupò della faccenda, nel maggio del 1981. Non dimenticherò mai il momento clou di quelle sessioni. Dava la sua testimonianza un alto capo religioso, rappresentante dei fondamentalisti islamici, che in quel momento venivano chiamati «freedom fighters», guerrieri della libertà, e che adesso sono «terroristi». Quell'anziano tuonò: «I comunisti hanno disonorato le nostre figlie! Gli hanno insegnato a leggere e a scrivere!».[1]
Diego non conosceva il mare. Suo padre, Santiago Kovadloff, lo condusse a scoprirlo. Se ne andarono a sud. Il mare stava al di là delle alte dune, in attesa. Quando padre e figlio, dopo un lungo cammino, raggiunsero finalmente quei culmini di sabbia, il mare esplose davanti ai loro occhi. E fu tanta l'immensità del mare, e tanto il suo fulgore, che il bimbo restò muto di bellezza. E quando alla fine riuscì a parlare, tremando, balbettando, chiese a suo padre: «Aiutami a guardare!»[2]
Dopo quattro anni [come fattorino in banca] capii che non faceva per me. Lì appresi che i principali rapinatori di banche sono i banchieri stessi ma nessun allarme suona mai per loro.[3]
Penso che la grande tragedia del secolo scorso sia stata il divorzio tra libertà e giustizia. Una parte del mondo ha sacrificato la libertà in nome della giustizia, e l'altra parte ha fatto l'opposto. La migliore eredità di Rosa sta nell'idea che libertà e giustizia siano due fratelli siamesi. Ricucire quel legame rappresenta la grande sfida di questo nuovo secolo.[3]
Più che mangiare, siamo mangiati dal cibo che ci impongono.[5]
RICORDARE: Dal latino re-cordis, ripassare dalle parti del cuore.[4]
Le storie si raccontano di notte, perché di notte il sacro è reale, e chi sa raccontare racconta sapendo che il nome è quella cosa che il nome nomina. (Finestra sulla parola (II))
Il tempo rende gemelli gli amanti. (Finestra sull'essere e sul fare)
Il torturato tortura i sogni del suo carnefice. (Finestra sull'essere e sul fare)
Il poeta rifugge dalla metafora che trova nello specchio. (Finestra sull'essere e sul fare)
Le donne? Una razza inferiore, come i negri, i poveri e i pazzi. Incapaci di libertà, come i bambini. Destinate a piangere, a gridare, a sparlare del prossimo e a cambiare opinione e pettinatura ogni giorno. A letto e in cucina talvolta danno piacere. Al di fuori di questo, causano solo dispiaceri. (Storia dell'uomo che voleva partorire)
Le cose sono padrone dei padroni delle cose e io non trovo il mio volto nello specchio. Parlo ciò che non dico. Sto, ma non sono. E salgo su un treno che mi porta dove non vado, in un paese esiliato da me. (Finestra sulla nuca)
Veniamo da un uovo più piccolo di una testa di spillo, e viviamo su una pietra che gira intorno a una stella nana e che, contro questa stella, prima o poi, si scontrerà. Tuttavia, siamo stati fatti di luce, oltre che di carbonio, ossigeno, merda, morte e altre cose e, in fin dei conti, siamo qui da quando la bellezza dell'universo ha avuto bisogno di essere vista da qualcuno. (Finestra sul volto)
Sul muro di un locale di Madrid c'è un cartello che dice: È PROIBITO IL CANTO FLAMENCO. Sul muro dell'aeroporto di Rio de Janeiro c'è un cartello che dice: È PROIBITO GIOCARE CON I CARRELLI PORTAVALIGIE. Il che vuol dire che c'è ancora gente che canta e c'è ancora gente che gioca. (Finestra sulle proibizioni)
Lei è all'orizzonte. [...] Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo: a camminare. (Finestra sull'utopia)
Come tutti gli uruguagi, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo; durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. (Confessione dell'autore)
Ma Pepe (Beppe) Schiaffino coi suoi passaggi magistrali orchestrava il gioco di squadra come se stesse osservando il campo dal punto più alto della torre dello stadio, ed El Pardo (il Bruno) Abbadie faceva scorrere la palla sulla linea bianca laterale e si lanciava con gli stivali delle sette leghe distendendosi senza sfiorare il pallone né toccare i propri avversari: e io non avevo altro rimedio che ammirarli, avevo addirittura voglia di applaudirli. (Confessione dell'autore)
E quando il buon calcio si manifesta, rendo grazie per il miracolo e non mi importa un fico secco di quale sia il club o il paese che me lo offre. (Confessione dell'autore)
Il colombiano Carlos Valderrama ha i piedi storti e la stortura gli serve per nascondere meglio il pallone.
Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio. (La festa)
La donna e l'uomo sognavano che Dio li stava sognando.[6]