Diritti animali, obblighi umani, saggio antologico del 1976 a cura di Tom Regan e Peter Singer.
Sebbene gli esseri umani mangino gli altri animali, li sottopongano ad esperimenti e distruggano il loro habitat, raramente ci soffermiamo a considerare se le pratiche che li coinvolgono siano eticamente difendibili.
Vi sono ora segni di una revisione delle nostre correnti attitudini nei confronti degli animali. Il movimento ambientalista ha reso milioni di persone coscienti di ciò che abbiamo fatto agli animali selvatici. Quando intere specie scompaiono per sempre, difficilmente possiamo fare a meno di pensare a quello che abbiamo fatto. Nuove scoperte circa le abilità degli animali non umani, inclusa la capacità degli scimpanzé di imparare un complesso linguaggio di segni, ci hanno fatto capire quanto strettamente siamo imparentati con gli altri animali. La minaccia di una carestia mondiale ha portato a una messe di articoli che sottolineano come i moderni metodi di allevamento degli animali per scopi alimentari sprechino più proteine di quante ne producano, e ciò a sua volta induce alcune persone a chiedersi: se l'allevamento e l'uccisione su larga scala di animali non contribuisce a nutrirci, come può questa pratica venire giustificata? Nel frattempo la scottante questione della vivisezione viene periodicamente alla ribalta, dimostrando di essere sempre viva. Quando nel 1973 divenne pubblica la proposta della Aviazione militare degli Stati Uniti di usare duecento cani per sperimentare dei gas velenosi, Il Ministero della difesa ricevette più lettere di protesta di quante ne avesse ricevute a proposito del bombardamento del Vietnam del Nord.
Questo interesse per gli animali è melenso sentimentalismo, o è un risveglio della coscienza della specie tiranna, riguardo al tipo di tirannia che esercita sulle altre specie?[1]
La mancanza di informazione o di interesse caratterizza anche il nostro più intimo contatto con gli animali, il fatto cioè che li mangiamo. Mangiare la carne di un altro animale è a tal punto parte della nostra vita di tutti i giorni, almeno nei paesi sviluppati, che molte persone non fanno una precisa associazione tra la carne che mangiano e l'animale da cui proviene. (Introduzione, p. 9)[2]
[...] per la maggior parte gli animali da laboratorio sono costretti a condurre una vita contraria alla loro natura, e le vite di questi animali, come quelle degli animali allevati per il macello, sono in molti casi vite di privazione e di sofferenza. Se questi fatti riguardassero solo pochi animali, il problema di come sono trattati potrebbe essere considerato una questione di poco conto. In realtà un enorme numero di animali è confinato nei laboratori. [...] In breve, l'uso degli animali nella ricerca è tanto abituale nella comunità scientifica quanto l'uso della carne animale come cibo. (Introduzione, p. 10)
Il primo fra gli animali a subire il passaggio dalle condizioni relativamente naturali delle fattorie tradizionali a quelle stressanti del moderno allevamento intensivo è stata la gallina. Le galline hanno la sfortuna di servire agli umani in doppio modo: per la propria carne e per le uova. Oggigiorno esistono tecniche standardizzate di produzione su larga scala per ottenere tutti e due questi prodotti. (Gli allevamenti intensivi, p. 32)[3]
Alla fine della seconda guerra mondiale il pollo usato per l'alimentazione era ancora piuttosto raro. Proveniva per lo più da piccoli allevatori indipendenti oppure era costituito dai polli maschi nati nei raggruppamenti di galline da cova e poi scartati. Oggi i broilers, come sono comunemente chiamati i polli alla griglia, vengono letteralmente prodotti da quel milione di impianti di tipo industriale altamente meccanizzati, dalle grosse corporazioni [...]. Tappa essenziale della trasformazione del pollo da animale da cortile in articolo confezionato fu il momento in cui venne rinchiuso. Un produttore di polli ricava oggigiorno un carico di 10.000, 50.000 o anche più pulcini di un giorno di vita dalle stazioni di covatura artificiale e li mette direttamente dentro un lungo capannone privo di finestre, generalmente a terra, sebbene alcuni produttori usino strati di gabbie allo scopo di contenere, in un capannone di ugual misura, un numero di volatili maggiore. All'interno del capannone, ogni aspetto dell'ambiente in cui gli uccelli vivono viene tenuto sotto controllo, allo scopo di farli crescere più in fretta e con meno mangime. (Gli allevamenti intensivi, p. 32)
Il beccarsi le penne e il cannibalismo sono «vizi» nel linguaggio del produttore di polli. Eppure, non si tratta di vizi naturali, ma del risultato dello stress e dell'affollamento cui il moderno produttore sottopone i propri animali. I polli sono animali dal forte istinto sociale e quando vivono in cortile sviluppano una gerarchia talvolta chiamata «ordine di beccamento». (Gli allevamenti intensivi, p. 33)
[...] un'accolta di galline fino ad un massimo di novanta individui può mantenere un ordinamento sociale stabile, in cui ognuna riconosce il proprio posto, ma diecimila individui calcati in un solo capannone sono certo tutt'altra cosa. Non possono stabilire un ordinamento sociale, per cui ne consegue che spesso si combattono a vicenda. A parte l'impossibilità da parte del singolo uccello a riconoscere così tanti altri individui, già il semplice fatto dell'eccessivo affollamento contribuisce probabilmente all'irritabilità ed eccitabilità delle galline, così come avviene fra gli umani, e fra gli altri animali. (Gli allevamenti intensivi, p. 33)
[...] oramai usato quasi universalmente in campo industriale, è lo «sbeccamento», consistente nell'infilare la testa della gallina in un arnese simile ad una ghigliottina che gli taglia parte del becco. La stessa operazione può essere fatta in alternativa con un coltello arroventato. Alcuni allevatori sostengono che è indolore, ma una commissione di esperti del governo britannico, sotto la guida dello zoologo professor F. W. Rogers Brambell, designata per investigare all'interno dell'allevamento intensivo, trovò invece che: ...fra il corno e l'osso c'è un sottile strato di tessuto leggero altamente sensibile, che assomiglia alla «parte viva» dell'unghia umana. Il coltello caldo usato per la spuntatura del becco passa attraverso questo insieme di corno, osso e tessuto sensibile, causando forte dolore. Lo sbeccamento, comunemente effettuato dalla maggior parte degli allevatori di polli per scongiurare il cannibalismo, riduce senz'altro i danni che una gallina può fare alle altre, ma contemporaneamente, per usare le parole della commissione di Brambell, «priva l'uccello di ciò che di fatto è il suo membro più versatile», mentre di certo non fa nulla per ridurre lo stress e il superaffollamento che portano a questo innaturale fenomeno di cannibalismo. (Gli allevamenti intensivi, p. 34)
Fra tutte le forme di allevamento intensivo oggigiorno praticate, l'industria della carne di vitella di buona qualità si presenta come la più ripugnante da un punto di vista morale, paragonabile soltanto a barbarie come l'alimentazione forzata delle oche, per mezzo di un imbuto, per produrre i fegati deformati che poi costituiscono il pâté de foi gras. L'essenza di questo tipo di allevamento consiste nel nutrire vitelli segregati ed anemici con cibo ad alto valore proteico, che dovrebbe essere usato per combattere la fame nei paesi più poveri del mondo, con la conseguenza di produrre una carne tenera e scolorita che verrà servita ai buongustai nei ristoranti costosi. (Gli allevamenti intensivi, p. 37)
In passato il discorso sulla vivisezione ha spesso mancato il bersaglio, perché è stato posto in termini assolutisti: «Gli abolizionisti sarebbero pronti a far morire migliaia di persone nel caso in cui esse potessero venire salvate per mezzo di esperimenti condotti su un singolo animale?». Il modo di rispondere a tale domanda puramente ipotetica consiste nel porne un'altra: «Lo sperimentatore sarebbe disposto ad eseguire il suo esperimento su di un neonato umano orfano, se fosse l'unico modo di salvare molte vite?» (dico «orfano» per evitare la complicazione dei sentimenti dei genitori, anche se così uso troppo riguardo nei confronti dello sperimentatore, visto che le cavie non umane non sono orfane). Se lo sperimentatore non è pronto ad usare un neonato orfano, la sua disponibilità ad usare i non umani è pura discriminazione: infatti scimmie, gatti, topi ed altri mammiferi adulti sono più consapevoli di quanto accade loro, più dotati di autodeterminazione e, per quel che sappiamo, almeno altrettanto sensibili al dolore di qualsiasi neonato umano. Non sembrano esistere nei neonati umani caratteristiche rilevanti che non siano presenti nei mammiferi adulti al medesimo livello o addirittura ad un livello maggiore (qualcuno potrebbe cercare di sostenere che ciò che rende errato l'esperimento condotto su un neonato umano è il fatto che il neonato si evolverà, a suo tempo e se lasciato crescere, in un qualcosa di più che un non umano; ma a questo punto, per essere coerenti, bisognerebbe contestare anche l'aborto, dato che il feto ha lo stesso potenziale del neonato [...]). (Tutti gli animali sono uguali, p. 158)[4]
[...] è il non vegetariano che deve dimostrarci come giustifica il suo mangiare carne sapendo che è stato necessario uccidere un animale perché egli possa farlo; è il non vegetariano che deve fornirci la prova che il suo modo di vita non contribuisce in modo sostanziale a delle pratiche che ignorano sistematicamente il diritto alla vita degli animali. (Il diritto di vivere, p. 202)[5]
↑ La premessa del libro, da cui è tratto l'incipit, è scritta a quattro mani da Tom Regan e Peter Singer, e tradotta da Cinzia Picchioni.
↑ L'introduzione è scritta da Tom Regan e tradotta da Cinzia Picchioni.
↑ Il saggio Gli allevamenti intensivi è scritto da Peter Singer e ripropone alcune pagine di Liberazione animale (1975) attinte nella traduzione italiana dall'edizione LAV del 1986.
↑ Il saggio Tutti gli animali sono uguali è scritto da Peter Singer; la traduzione riportata in Diritti animali, obblighi umani è tratta da Silvana Castiglione (a cura di), I diritti degli animali: prospettive bioetiche e giuridiche, il Mulino, Bologna, 1985.
↑ Il saggio Il diritto di vivere è scritto da Tom Regan; la traduzione riportata in Diritti animali, obblighi umani è tratta da Silvana Castiglione (a cura di), I diritti degli animali: prospettive bioetiche e giuridiche, il Mulino, Bologna, 1985.
Tom Regan, Peter Singer, Diritti animali, obblighi umani (Animal Rights and Human Obligations, 1976), Gruppo Abele, Torino, 1987. ISBN 88-7670-097-8
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