Costanzo, riconosciamo i suoi meriti, aveva il genio della guerra civile. Sapeva quando colpire, e soprattutto chi colpire. Vinceva sempre.
Io avevo preparato una quantità di cose da dire a Costanzo, ma lui non mi aveva lasciato aprir bocca. Era strano, ma quasi tutti l'innervosivano. Non sapeva dire due parole in croce, se non parlava dall'alto del trono. Salvo sua moglie Eusebia e il gran ciambellano, non aveva confidenti. Era uno strano tipo. Ora che sono al suo posto lo capisco meglio, anche se continua a non piacermi. La sua diffidenza era aggravata dal fatto che era un po' meno intelligente delle persone con cui doveva trattare. Questo accresceva il suo disagio e lo rendeva inaccessibile sul piano umano. Da studente era stato bocciato in retorica per la sua scarsa prontezza. Più tardi, cominciò a scrivere poesie, mettendo tutti quanti in imbarazzo. Il suo unico esercizio «intellettuale» erano le dispute teologiche. Mi dicono che in queste cose fosse bravissimo, ma qualsiasi ciarlatano di paese può farsi un nome in un sinodo galileo.
Io capii soltanto che Costanzo era un buon cristiano e tuttavia aveva ucciso la sua carne e il suo sangue. Quindi, se poteva essere un buon cristiano e un assassino, c'era qualcosa che non andava nella sua religione.
La maestà di Costanzo toglieva il respiro. Era la cosa più notevole, in lui: anche i gesti più normali sembravano studiati e provati. Come l'imperatore Augusto, portava dei rialzi nei sandali per sembrare più alto. Era glabro, e aveva gli occhi grandi e malinconici e la bocca sottile e un po' stizzosa di suo padre Costantino. La parte superiore del corpo aveva una muscolatura formidabile, ma le gambe parevano quelle di un nano. Indossava una pesante tunica di porpora, che gli scendeva fino ai piedi; in testa aveva un cerchietto d'argento incrostato di perle.