giornalista e scrittore italiano Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Carlo Bonini (1967 — vivente), giornalista e scrittore italiano.
Con la caduta di Draghi per mano di Conte, Salvini, Berlusconi e Meloni, Putin ha avuto la prova di una sua radicata convinzione. Che al tempo lungo della guerra, al costo che questa comporta, l’Italia non avrebbe resistito. Che, una volta morso nella sua carne viva, il Paese sarebbe fatalmente tornato a liberare gli spiriti animali di sovranismo e populismo. Ecco perché il tempo che ci separa dal voto del 25 settembre e il suo esito è vissuto come un incubo a Washington e a Bruxelles. Ecco perché le intelligence dei Paesi dell’Alleanza, nessuna esclusa, si preparano e prefigurano scenari plumbei. Perché in questa partita, il cartello delle tre destre non è e non sarà semplice attore di una contesa politica, ma il cavallo di Troia di chi sa di poterne condizionare l’esito.[1]
Costruito con il passo narrativo di un thriller politico-spionistico, Morte di un dissidente non lo è. Né pretende di essere un lavoro di inchiesta. Perché le domande poste dalla fine di Litvinenko trovano risposta, sin dalle prime pagine, in quel che il libro dichiara di essere. Un atto di accusa nei confronti del presidente russo Vladimir Putin.
Nel 2000, Berezovskij aveva voluto e favorito, via Istanbul, la rocambolesca "fuga" di Sasa a Londra. Berezovskij gli aveva regalato, con una nuova vita, un nuovo passaporto con un nuovo inglesissimo nome (Edwin Redwald Carter). Aveva sollecitato e finanziato (2003) il suo libro (Blowing up Russia) di denuncia del ruolo svolto dai servizi russi negli attentati di Mosca che avrebbero dovuto giustificare la reazione del Cremlino contro i ceceni. Berezovskij, insomma, aveva trasformato uno sconosciuto ufficiale del Fsb, in una fenomenale arma politica contro il Cremlino.
– 'A Cipolla, ma 'sto cesso non lo riesci a fa' cammina'? O pensi che aspettano noi all'Olimpico? Forse aveva ragione, er Cicoria. Ma con tutto che andava a tavoletta e il rumore nell'abitacolo era quello di un biplano, la Multipla di più non poteva dare. La lancetta del tachimetro era inchiodata sui centodieci. Come se le avessero dato del mastice. E, comunque, non erano neanche le 10 del mattino. A Roma-Juve mancavano ancora cinque ore. I cartelli dell'A1 avevano appena indicato l'uscita per Frosinone. Novanta chilometri, un'ora o giù di lì, e l'Olimpico li avrebbe accolti come ogni domenica.
Incipit
Sabato 6 febbraio 2016. Pomeriggio. Roma. Viale Regina Elena Padiglione del pronto soccorso radiologico del Policlinico universitario Umberto I
Disteso su una lettiga in acciaio, il Corpo del ragazzo era al centro della stanza. Avvolto nel sudario di cotone bianco e garza in cui era stato composto e che lasciava scoperti solo l'ovale del volto e una barba incolta e nera. Ricordava un Cristo. Aveva viaggiato in una bara di legno chiaro laccato. Dal Cairo all'aeroporto di Fiumicino. E, di lì, su un carro della polizia mortuaria, all'Istituto di medicina legale di Roma. La cassa di zinco era stata chiusa con sei viti e quattro sigilli di ceralacca rossi ed era decorata da una coppia di angeli dorati che stringevano una corona di alloro sopra una croce. Incollato alla bene e meglio con dello scotch, un foglio A4 stampato con inchiostro nero indicava il nome dell'impresario funebre, e quello della salma. Giulio Regeni Ventotto anni.
Citazioni
[...] un cadavere non è un paziente. È un testimone. Il primo e il più importante. Quello che non mente mai. Che rispettare un testimone significa mettersi nelle condizioni di non tradirne il racconto, la verità. Considerarlo dunque nel suo apparente paradosso di carne inanimata eppure dialogante. (Epifanie, p. 17)
“Ora lei mi deve dire come è morto mio figlio.” “Signora, purtroppo...” “No. Voglio sapere perché è morto. Come è stato possibile? Stava bene.” “Guardi, mi creda, io purtroppo non ho notizie. A noi non viene detto nulla.” “Lo avete arrestato voi mio figlio. Sette giorni fa. Siete venuti in questa casa...” “Non noi signora...” “I carabinieri. E lei è un carabiniere.” “Voglio dire che noi non c'entriamo con quello che è successo a suo figlio. La divisa che porto non ha colpa, mi creda.” “Qualcuno ce l'avrà.” Il maresciallo riordinò le carte sul tavolo. E fece cenno all'appuntato di guadagnare la porta. “Non so che dirle, signora. Se non che mi dispiace. Arrivederci.” (Parte prima. Arresto cardiaco, p. 24) [sull'omicidio di Stefano Cucchi]
La bocca di Stefano era semiaperta, la palpebra sinistra era richiusa in modo innaturale su un'orbita che sembrava schiacciata all'interno del cranio. La palpebra destra, al contrario, non riusciva a contenere il bulbo oculare, come fosse esploso. Due giganteschi ematomi, dal viola irreale, scendevano dalle sopracciglia fino alle guance, scavate in un ovale dalla magrezza spettrale. La mandibola era storta. Era morto da qualche ora. Ma le sembianze di suo fratello erano quelle di un teschio. Riuscì a non rivolgere lo sguardo altrove. Riuscì a non piangere e a non pensare. Fissò nella mente ogni centimetro di quel volto. Ogni sfumatura del colore di quella pelle che virava al nero. Che di bianco conservava solo lo smalto dei denti. Chi lo aveva ridotto così? Stefano era morto, ma stava provando a dirle qualcosa. E c'era, nella smorfia della bocca fissata dalla rigidità della morte, lo sgomento di una fine nella disperazione della solitudine. (Parte prima. Arresto cardiaco, pp. 26-27) [sull'omicidio di Stefano Cucchi]
“Insomma, posso sapere come è morto mio fratello?” “Di arresto cardiaco, signora.” Anche se non era un medico, la tautologia non le sfuggiva. Tutti muoiono quando il cuore si ferma. Il problema è capire cosa lo ha fatto fermare. Lo disse. Ma non ottenne la risposta che cercava. (Parte prima. Arresto cardiaco, p. 37) [sull'omicidio di Stefano Cucchi]
“Dovete sapere che quello che sta per cominciare sarà terribile...” “Dopo aver perso Stefano, cosa ci può essere di più terribile?” lo interruppe Ilaria. “Quello che accadrà di qui in avanti, Ilaria. Le vostre vite cambieranno. Quando capiranno che non vi rassegnate a una morte clinica per ragioni da accertare, la vostra famiglia verrà passata al setaccio. Diranno cose infamanti di Stefano. Racconteranno che era un tossico, che non si reggeva in piedi e che la storia delle botte è l'alibi di una famiglia che non ha saputo prendersi cura di suo figlio.” “Gli risponderemo.” “Lo dici ora perché non sai ancora quanto ti costerà.” “Non mi stancherò.” (Parte prima. Arresto cardiaco, pp. 49-50) [sull'omicidio di Stefano Cucchi]
“[...] Stefano potrebbe morire un'altra volta. O due, o tre. E l'assassinio della memoria di un uomo, credetemi, è persino peggio della sua scomparsa da vivo. È un veleno che impedisce alle ferite di cicatrizzarsi. Vedete, io tutto questo non potrò impedirlo. Perché tutto questo, purtroppo, non dipende soltanto da me, né da voi. In questi processi non esiste soltanto la controparte. E che controparte, visto che qui parliamo dello Stato. In questi processi, non combatti solo con chi copre la verità per nascondere la propria responsabilità. Esiste un nemico più subdolo e per questo persino più forte.” “Quale?” “Il senso comune.” (Parte prima. Arresto cardiaco, p. 50) [sull'omicidio di Stefano Cucchi]
“Lo sai che non sono un bravo avvocato, vero?” [...] “Perché i bravi avvocati sanno bluffare e arrivare con la tecnica lì dove fa difetto la verità.” “Esatto. Io non sono capace di fare né l'una, né l'altra cosa.” (Parte prima. Arresto cardiaco, p. 64)
“L'eidologia è la scienza che permette l'acquisizione, elaborazione e visualizzazione di immagini del corpo con processi digitali e computerizzati che simulano lo sguardo umano in condizioni reali. [...] l'eidologia può far parlare il corpo di un essere umano anche quando ormai si ritiene che quel corpo non abbia più nulla da raccontare. O quando le condizioni di quel corpo sono tali che gli strumenti tradizionali risultano insufficienti. Infatti la chiamiamo autopsia virtuale. O, se preferisci, digitale.” (Parte seconda. L3, p. 95)
"[...] Le cause delle bradiaritmie, vale a dire del rallentamento del battito cardiaco, possono essere le più diverse. Anomalie del sistema nervoso autonomo, riflessi inibitori del battito e in generale del funzionamento del muscolo cardiaco. Ora, però, nel caso di Stefano, perché di Stefano stiamo parlando, direi che le possibili cause della bradicardia possono essere significativamente ridotte. Primo. Sappiamo che non esistono nella sua storia clinica né indizi, né tracce di una qualsiasi patologia cardiaca. Stefano aveva un cuore sano, insomma. Addirittura, abbiamo la prova che fino a qualche ora prima che venisse arrestato ha continuato ad allenarsi in palestra. Secondo. Il cuore di Stefano, per quello che abbiamo potuto vedere al momento dell'autopsia e anche per quello che documentano gli esami istologici, non solo è perfettamente normale sotto il profilo anatomico, ma non presenta alcuna alterazione patologica. [...] Dunque esiste una sola possibile e logica spiegazione. Una volta che si escludono patologie cardiache, la bradicardia si manifesta come risposta a stimoli traumatici. La letteratura medica è ricca di precedenti. Soprattutto in relazione a danni oculari, alla corda spinale, in caso di emitorace o trauma addominale. E questo perché, nella maggior parte dei casi, si è dimostrato il coinvolgimento dei riflessi del nervo vago. [...] Il nervo vago è uno dei più importanti del corpo umano e, tra le altre cose, media il sistema nervoso autonomo del cuore. Ora, nel caso di Stefano, il trauma lombo-sacrale prodotto dalle due vertebre spezzate con il pestaggio produce un evidente effetto sulla funzione nervosa vagale. Un effetto subdolo. Che non si manifesta immediatamente. Ma di cui abbiamo traccia evidente in relazione a quanto accade alla vescica di Stefano. Una vescica "neurologica". Le spaventose dimensioni del globo vestitale che troviamo al momento dell'autopsia, infatti, sono non solo e non tanto la prova che il catetere era stato posizionato male, ma che la compromissione dei riflessi del nervo vago era tale da impedirne anche un funzionamento minimo." [...] "E gli squilibri metabolici? L'eccesso di concentrazione di sodio e azoto nel sangue? Che significato hanno?" "Sono il segnale di un evidente e progressivo stato di denutrizione e disidratazione che finiscono per peggiorare il quadro di bradicardia, che non era stata tempestivamente avvistata e corretta. Diciamo pure che sono il colpo di grazia, perché tra i fattori scatenanti di una crisi cardiaca ci sono appunto le alterazioni acute del cosiddetto equilibrio idroelettrolitico dell'organismo." "[...] Il Corpo di Stefano presenta traumi al volto, al torace, all'addome e al distretto pelvico-sacrale, con le due vertebre fratturate. Ebbene, tutte le lesioni, dalle più lievi alle più gravi, sono compatibili con un'origine traumatica dovuta a un'azione diretta, ripetuta, di tipo contundente. Violenta, insomma." (Parte seconda. L3, pp. 98-100) [spiegazione del decesso di Stefano Cucchi a seguito del pestaggio]
In quei cinque giorni al Pertini, del resto, la catena di omissioni sembrava non essersi mai interrotta. Tormentato da dolori indescrivibili, isolato dal mondo esterno e da una famiglia che non aveva smesso di cercarlo ma di fronte alla quale era stato alzato un muro di silenzi, Stefano era stato lasciato scivolare lungo un piano inclinato che nessuno aveva saputo o voluto tempestivamente raddrizzare. (Parte seconda. L3, p. 113)
"[...] D'altra parte, è questa una costante di tutta la vicenda interna al Pertini. Tutti hanno un'unica esigenza. Mettere le carte a posto." Già, le carte a posto. Se doveva immaginare un epitaffio alla storia di Stefano, all'ignavia dello Stato, al cinismo dei suoi “servitori”, più o meno fedeli che fossero, quella era l'espressione che meglio li riassumeva. Un veleno che silenziosamente corrode i diritti di ciascuno trasformandoli in concessioni, che degrada i cittadini in sudditi e definisce le pubbliche amministrazioni quali macchine impersonali, ossessionate e dunque governate esclusivamente da un principio di autoconservazione. Tanto inefficiente quanto prevaricante. (Parte seconda. L3, p. 132)
“È una vecchia storia. Si dice: 'Ah, ma la polizia non mena, i carabinieri non menano'. E invece no. Si mena. Si mena! Come fanno tutte le polizie del mondo. Tant'è, signor giudice, e lei lo sa meglio di me, che in Parlamento esiste un progetto di legge per l'istituzione del reato di tortura perché le nostre forze dell'ordine quella legge non la vogliono. Parliamo fuori dai denti." (Parte seconda. L3, p. 167)
Nella sua notte di Halloween, lo Stato si dimostrava capace di riconoscere a se stesso ciò che aveva ferocemente negato a una sua giovane vittima: la rigorosa applicazione delle garanzie processuali, l'habeas corpus, l'intangibilità fisica e psicologica di chi è accusato di un reato, la presunzione della sua innocenza. Quei princìpi trovavano applicazione nei confronti di agenti penitenziari, medici e infermieri del “reparto protetto” dell'ospedale Sandro Pertini. Ma non erano valsi mai, neppure per un istante, per un ragazzo la cui unica colpa era stata quella di consegnare docilmente i propri polsi alle manette di chi lo aveva arrestato per piccolo spaccio. (Parte quarta. Halloween, p. 227)
“[...] la frattura 'recente' della terza vertebra lombare di Stefano non è stata vista da nessuno semplicemente perché la parte di osso su cui insisteva non c'era più. Perché era stata tagliata via quando, appunto, è stata sezionata durante l'autopsia.” “Non ci posso credere.” “Neanche io voglio crederci, ma temo di avere ragione. E se ho ragione questo processo ricomincia.” “Sei un genio.” “Neanche un po', Ilaria, credimi. Sono solo ossessivo e odio quando mi viene dato torto sapendo che ho ragione.” (Parte quinta. Svelamenti, p. 245)
“E magari, professore, ha pensato anche a una spiegazione per questa cosa che mi sembra incredibile. Da sei anni si discute e si è andati a sentenza girando intorno a una vertebra di cui è stata tagliata via la sola parte di interesse scientifico. Come è possibile?” “Ci ho pensato, dottor Musarò. Ma sinceramente non ho una risposta. Posso solo ribadirle che essendo la frattura di L3 la chiave di questa vicenda sarebbe stato necessario esaminare l'intera vertebra. Non una sua parte soltanto. E per giunta quella sbagliata.” (Parte quinta. Svelamenti, p. 251)
Il calvario di Stefano Cucchi, sei anni di menzogne, il balbettio confuso della scienza medica di fronte a un Corpo martoriato era in quell'aggettivo e predicato. Drogato di merda. Dunque, ultimo degli ultimi. Dunque privo di diritti. Dunque, non uguale di fronte alla legge degli uomini. Un diverso. Un Corpo a perdere. Uno di quelli di cui si dice, nel gergo di certi sbirri, che abbiano il nome all'anagrafe scritto a matita. Perché cancellarlo è un attimo. E nessuno verrà a reclamare. Non era la prima volta. Era già successo. Nel 2001, a Genova, nei giorni del G8. Nella caserma della polizia stradale di Bolzaneto. A Napoli, nella caserma Raniero. A Ferrara, a un ragazzo chiamato Federico Aldrovandi. A Varese, a un operaio che di nome faceva Giuseppe Uva. Drogati di merda. Comunisti e zecche di merda. Froci e lesbiche di merda. Immigrati di merda. Una galleria di volti tumefatti ritratti su poster a colori al collo di madri, sorelle, fidanzate, e sventolati di fronte ai palazzi di giustizia. (Parte quinta. Svelamenti, p. 265)
[Su Giulio Regeni] Il suo corpo si era rivelato una lavagna dell'orrore, su cui i suoi carnefici avevano impresso persino una lettera che voleva essere un marchio. E in quella parola – tortura – era ora il cortocircuito tra i destini di due giovani uomini con storie, vite, aspirazioni, pure opposte. Un ricercatore di Cambridge cittadino del mondo. Un tossico di Morena. Due giovani uomini oltraggiati in luoghi che erano agli antipodi del rispetto dei diritti umani. Il regime militare egiziano di al Sisi. La Repubblica italiana nata dalla Resistenza. Eppure, entrambi Corpi diventati testimoni incoercibili di un abuso di Stato. (Parte settima. Contrappasso, p. 285)
C'era qualcosa di avvilente nel sentire ripetere quella parola – tortura – nella sala d'onore di un Parlamento, quello italiano, che, in trent'anni, dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, non era ancora riuscito a dare all'Italia una legge che punisse quel reato. C'era qualcosa di indecente nella constatazione che il Paese che ora legittimamente chiedeva a un regime di consegnargli i suoi carnefici, continuasse a essere in ostaggio del ricatto morale ed elettorale di settori delle forze di polizia e delle propaganda sgangherata di chi riteneva che la tortura fosse o dovesse essere considerata tale, chiamata e punita con il suo nome proprio, solo se consumata in qualche lurida camera della morte in Medio Oriente o in Asia. E non, come pure era accaduto, in una caserma della polizia stradale a Genova (a Bolzaneto, nei giorni del G8 di Genova del luglio 2001), sulla panchina di una piazza di Ferrara (Federico Aldrovandi), o in quella stazione dei carabinieri dove Stefano Cucchi aveva cominciato a morire. (Parte settima. Contrappasso, p. 292)
La morte di Regeni è un mistero che si nasconde alla luce del sole. È sempre così – pensò – quando un Corpo è testimone della verità. Bisogna solo aver voglia di vederla quella verità. E di raccontarla. (Parte settima. Contrappasso, p. 316)
↑ Da Putin alla campagna d’Italia, la Repubblica, 29 luglio 2022, p. 29.
Carlo Bonini, Acab. All Cops Are Bastards, Einaudi, 2009. ISBN 9788806194697
Carlo Bonini, Il corpo del reato, Feltrinelli, Milano, 2016. ISBN 9788807173103