Aung San Suu Kyi (1945 – vivente), politica birmana.
[Sul genocidio dei rohingya] Pulizia etnica è un’espressione troppo forte per descrivere ciò che sta accadendo [...] non si tratta di pulizia etnica ma di persone diverse e divise e noi stiamo cercando di ridurre questa divisione.[1]
Siamo impegnati a riportare la pace e la stabilità e lo stato di diritto in tutto lo Stato.[2]
Nonostante tutti gli sforzi, non abbiamo potuto fermare il conflitto... Ma non è intenzione del governo eludere le sue responsabilità.[2]
Siamo un Paese giovane e fragile con molti problemi, ma dobbiamo affrontarli tutti. Non possiamo concentrarci solo su alcuni di essi.[2]
È profondamente sbagliato e controproducente parlare di genocidio contro in rohingya in Birmania.[3]
Non c'è alcuna prova dell'intento genocida, e [...] questo non può essere l'unica ipotesi.[3]
Il rispetto della dignità umana richiede un impegno che porti alla creazione di condizioni in cui gli individui possano sviluppare un senso di autostima e sicurezza. La vera dignità è accompagnata dalla certezza della propria capacità di risposta alla sfida intrinseca all'esistenza umana. Tale certezza difficilmente potrà essere garantita alle persone costrette a vivere sotto la minaccia della violenza e dell'ingiustizia, sotto un cattivo governo e all'insegna di instabilità o povertà e malattia. L'eliminazione di queste minacce deve essere lo scopo di coloro che riconoscono la santità della dignità umana e di coloro che mirano a promuovere lo sviluppo umano.
Un popolo privato della speranza, impotente e privo della sua dignità difficilmente sarà capace di attività di questo tipo. E ritorniamo così al legame tra sviluppo umano e dignità umana. Lo sviluppo umano abbraccia tutti gli aspetti dell' esistenza umana.
In questo momento in cui il mondo intero è preoccupato per la minaccia del terrorismo, vale la pena considerare il fatto che persone private del controllo sulle loro esistenze, controllo necessario per condurre una vita dignitosa, rischiano di andare alla ricerca di una loro realizzazione seguendo un percorso di violenza. Il fornire loro semplicemente una certa sufficienza materiale non basta a riportare in loro pace e unità. È necessario realizzare il loro potenziale di sviluppo umano e rispettare la loro dignità umana cosicché possano acquisire le abilità e la fiducia per la costruzione di un mondo solido e fiorente alla luce di una diversità armoniosa.
Assentire o dissentire è prerogativa di chi vive in un sistema democratico. In un regime autoritario, dissentire può essere considerato un crimine.
Suppongo che il tipo di vita che conduco a qualcuno sembrerà molto strano, ma è una vita a cui mi sono abituata e davvero non è più strana di tante cose che accadono oggi in Birmania.
Raramente chi visita la Birmania si rende conto delle difficoltà della vita quotidiana nel nostro paese. Apparentemente le cose sembrano tranquille e serene, e solo chi ha familiarità con stati governati da regimi dittatoriali inefficienti riesce a rendersi conto di che cosa accade veramente.
Per quanto mi riguarda, voglio che tutti siano eroi, così non avremo bisogno di speciali eroi per il nostro Paese.
La forza del nostro popolo ha un grande valore, dovunque vado mi salutano con il cuore, caldo e gentile, con fiori e altri doni per seguirmi lungo la stessa strada. Qualcuno mi dona fiori molto costosi, altri portano mazzi di fiorellini presi dal ciglio della strada. Io posso sfiorare solo per un attimo tutti quei fiori e quei regali, ma non importa. Quel che più conta è che sono frutto dell'amore e della gentilezza, un amore davvero prezioso, un valore immenso, come anche tutta la gente che mi saluta e mi dà il benvenuto: ogni singolo individuo è molto importante per me. Anche se non riesco a vedere né a ricordare le facce di tutti, di certo le tengo nel cuore.
Penso al futuro, e mi dico: spero, e per questo m'impegnerò al massimo, di svolgere bene il mio dovere per la mia gente.
Per lunghi anni - circa vent'anni - ho potuto contare sull'enorme sostegno, sull'incoraggiamento, sull'aiuto da parte di tutte le donne che erano attorno a me. Molte anziane ottantenni o novantenni, ma anche adolescenti giovani e carine, e perfino bambine, si sono fatte sentire, alzando la voce attraverso l'intero Paese.
Nel nostro Paese, le donne sono fra gli strati più poveri della popolazione, massacrate dal lavoro; eppure hanno una mente davvero preziosa e forte.
Ho provato spesso, durante il periodo che ho trascorso agli arresti domiciliari, la sensazione di non fare più parte del mondo reale. C'era una casa che era il mio mondo, c'era il mondo di chi non era libero ma stava insieme con altri in una prigione formando una comunità, e infine c'era il mondo dei liberi: tutti pianeti differenti che seguivano ciascuno una propria orbita in un universo indifferente. Ciò che ha fatto il Premio Nobel è riportarmi nel mondo degli altri esseri umani, fuori da quell'area isolata nella quale ho vissuto, di ridarmi in qualche modo il senso della realtà.
Decidendo di conferirmi il Premio Nobel per la Pace, il Comitato ha ribadito che gli uomini oppressi e isolati della Birmania sono anch'essi parte del mondo e ha riaffermato che l'umanità è una sola.
Dovunque la sofferenza è ignorata, si semina il conflitto, perché la sofferenza implica umiliazione, avvilimento e rabbia.
Quando mi si chiede perché lotto per la democrazia in Birmania, la risposta sta nella mia convinzione che le istituzioni e la pratica della democrazia siano necessarie per garantire i diritti umani.
Senza fede nel futuro, senza la convinzione che i valori democratici e i diritti fondamentali dell'uomo non sono soltanto necessari ma anche fattibili nella nostra società, il nostro movimento non sarebbe resistito lungo tutti quegli anni devastanti. La loro fede nella nostra causa non è cieca ma poggia su una lucida valutazione della propria capacità di resistere.
La pace nel nostro mondo è indivisibile. Fintanto che le forze negative avranno la meglio su quelle positive in una qualsiasi parte del mondo, siamo tutti a rischio.
Tra gli aspetti positivi dell'avversità, trovo che il più prezioso sia costituito dalle lezioni che ho imparato sul valore della bontà d'animo. Essere gentili vuol dire dare risposte cariche di sensibilità e di calore umano alle speranze e ai bisogni degli altri. Persino la più sfuggente manifestazione di bontà d'animo può alleggerire la pesantezza di un cuore. La gentilezza può cambiare la vita delle persone.
Se una nazione deve progredire e prosperare, l'unità è della massima importanza. Ecco perché vorrei chiarire che quando abbiamo detto che siamo un regime orientato verso la riconciliazione nazionale, voglio dire che io sono a favore di tutto il popolo, indipendentemente del voto a favore o contro di noi.
Un governo democraticamente eletto è responsabile di tutti i cittadini, essendo giusto ed equilibrato verso tutti, ed esercitando la gentilezza amorevole e la compassione verso tutti.
La giustizia non è qualcosa che viene enunciata a parole; necessita di manifestarsi con l'azione.
Un regime da solo non può fare politica con successo. Non può portare allo sviluppo della nazione. Solo con la partecipazione del popolo si possono raggiungere questi obiettivi.
Voglio che la nostra gente possa tenere alta la testa, orgogliosa di essere del Myanmar ovunque vada. È così che voglio che la mia gente si collochi tra le nazioni del mondo. Dobbiamo lottare duramente per questo. Quando abbiamo chiesto il sostegno popolare, non abbiamo fatto alcuna facile promessa. Non abbiamo mai detto che il nostro Paese prospererà in una notte. Non è che non crediamo in noi stessi, non è che noi non crediamo nella nostra gente, ma siamo consapevoli dei compiti erculei che ci aspettano.
Alcuni sono preoccupati che il nostro nuovo regime manchi di esperienze in materia di amministrazione e gestione. Sì, ci manca l’esperienza. Ma non siamo riluttanti a collaborare con le persone con esperienza. Non vogliamo ignorare chi proviene dai vecchi regimi. Vogliamo che tutti coloro che possono portare beneficio al paese diano una mano.
Quando il nostro popolo ha votato a favore della Lega Nazionale per la Democrazia alle elezioni del 2015, ci ha di fatto affidato il compito di assolvere tre responsabilità: transizione democratica, pace e stabilità e sviluppo. Nessuna di queste sfide è facile o semplice. La transizione per noi è una transizione verso la democrazia dopo mezzo secolo o più di regime autoritario. E ora stiamo facendo crescere la nostra nazione seppure sia una democrazia imperfetta.
La Birmania è una nazione complessa, come tutti voi sapete. E la sua complessità è aggravata dal fatto che le persone si aspettano che noi superiamo tutte queste sfide in breve tempo.
Sono consapevole del fatto che l’attenzione del mondo si concentri sulla situazione nello Stato di Rakhine e, come ho detto all'Assemblea Generale dell’anno scorso, come membro responsabile della Comunità delle Nazioni, il Myanmar non teme il controllo internazionale e ci impegniamo a trovare una soluzione sostenibile che porti alla pace, alla stabilità e allo sviluppo di tutte le comunità di tale Stato.
Nel mondo c'è stata molta preoccupazione per la situazione nello stato Rakhine. Il governo del Myanmar non intende attribuire colpe o negare responsabilità. Condanniamo tutte le violazioni dei diritti umani e la violenza illegale.
Ci sentiamo profondamente colpiti dalla sofferenza di tutte le persone coinvolte nel conflitto. Quelli che hanno dovuto fuggire dalle loro case sono molti. Non solo musulmani e Rakhines, ma anche piccoli gruppi minoritari come Dyna, Mro, Thet, Magyi e Indù, la presenza dei quali è in gran parte sconosciuta all'opinione mondiale.
Il governo sta lavorando per riportare la situazione alla normalità. Dal 5 settembre non ci sono stati scontri armati e non ci sono state operazioni di sgombero. Ciononostante, siamo preoccupati per il fatto che numerosi musulmani fuggono oltre frontiera per raggiungere il Bangladesh. Vogliamo scoprire perché sta accadendo questo esodo. Vorremmo parlare con coloro che sono fuggiti, così come con coloro che sono rimasti. Penso che sia ben poco noto che la grande maggioranza dei musulmani nello Stato di Rakhine non abbia aderito all'esodo. Più del 50 per cento degli abitanti dei villaggi di musulmani sono intatti. Sono come prima degli attacchi. E vorremmo sapere perché.
Non siamo mai stati deboli sui diritti umani in questo paese. Il nostro governo si è affermato come un organismo impegnato nella difesa dei diritti umani, non dei diritti di una particolare comunità, ma dei diritti di tutti gli esseri umani entro i confini del nostro Paese.
Siamo una democrazia giovane e fragile, che si confronta con molti problemi. Ma dobbiamo affrontarli tutti allo stesso tempo nel modo in cui dobbiamo affrontare contemporaneamente tutti i nostri problemi di salute. Non possiamo concentrarci su pochi.
Vorremmo fare del nostro Paese una nazione al cui interno tutti possano vivere in sicurezza e prosperità. Si tratta di un obbiettivo grande. Questa è una grande ambizione. Ma non è impossibile da realizzare.
Non vogliamo che Myanmar sia una nazione divisa da convinzioni religiose, di etnia o ideologia politica. Tutti noi abbiamo il diritto alle nostre diverse identità, e tutti noi abbiamo il diritto di sforzarci di vivere la nostra vita nel modo in cui crediamo che sia giusto. Ma dobbiamo anche lavorare insieme perché apparteniamo a una nazione e, poiché apparteniamo a una nazione, noi apparteniamo anche a questo mondo.
L'odio e la paura sono i principali flagelli del nostro mondo. Tutti i conflitti nascono dall'odio o dalla paura. Solo eliminando le fonti dell’odio e del timore saremo in grado di eliminare i conflitti dal nostro paese e dal mondo.
Mio padre morì quando ero troppo giovane per averne ricordo. Nel tentativo di scoprire che tipo d'uomo fosse stato, ho iniziato a leggere e a raccogliere materiale sulla sua vita. Il resoconto che segue è basato su testi pubblicati e solo in due casi riguardanti la sua vita personale mi sono basata in certa misura su quanto ho saputo dalla mia famiglia e da persone che lo conoscevano bene. Scrivere su una persona alla quale si è strettamente imparentati è un compito difficile e l'autore si espone a possibili accuse di scarsa obiettività. I biografi sono inevitabilmente condizionati dal materiale a disposizione e dagli avvenimenti e dalle conoscenze che influenzano il loro giudizio. Da parte mia, posso solo dire che ho cercato di presentare un ritratto sincero di mio padre così come lo vedo.
Citazioni
[Su Aung San] Erano molto criticati i suoi sbalzi di umore, la sciatteria, i devastanti silenzi compensati da attacchi di loquacità altrettanto micidiali e, in generale, il suo carattere spigoloso. Lui stesso ammetteva di trovare a volte irritanti le persone educate e raffinate e di aspirare ad allontanarsene per vivere una vita selvaggia. Ma la sua visione dei selvaggi era quella romantica di esseri puri, onesti e sani che godevano piena libertà. (p. 10)
Aung San non era un fanatico, né del comunismo, né di qualsiasi altra rigida ideologia. Molte cose lo attraevano nell'ampio ventaglio delle teorie socialiste, ma le sue aspirazioni erano sempre rivolte a idee e tattiche intese a portare la libertà e l'unità al suo paese. (p. 12)
Aung San non era un grande oratore; i suoi discorsi potevano essere monotoni, inconcludenti e molto lunghi, ma il popolo ascoltava con tranquillo rispetto, adeguando i proprio umori ai suoi, apprezzando sia i suoi severi ammonimenti, sia le rare battute di spirito. (p. 34)
[Su Aung San] Ammonì [...] contro la futilità di sprecare tempo ed energie nell'accusare l'imperialismo per tutti i mali del paese ora che il potere era tornato nelle mani del popolo, essendo pienamente convinto che le armi usate per combattere l'imperialismo non erano sempre lo strumento adatto per salvaguardare e sviluppare una nazione indipendente. Aung San guardava al futuro, quando la Birmania avrebbe preso il posto che le spettava nel consesso delle nazioni, e preconizzava che un sincero nazionalismo sarebbe stato «una componente essenziale del vero internazionalismo». (pp. 35-36)
Accuse di ambizione sfrenata, di irragionevolezza e doppiezza gli sono state rivolte da avversari politici e da coloro che consideravano un «tradimento» la sua lotta contro i dominatori stranieri. Queste accuse lasciano il tempo che trovano di fronte ai risultati delle sue azioni. Finché ritenne che altri fossero più adatti ad assumere il comando, accettò senza obiezioni ruoli subordinati, assumendo la posizione preminente solo quando fu chiaro che solo lui poteva unire il paese e guidarlo verso la libertà. (p. 38)
Per il popolo della Birmania, Aung San era l'uomo venuto nell'ora del bisogno per salvare l'orgoglio e l'onore nazionale. Finché la sua vita sarà fonte d'ispirazione, il suo ricordo rimarrà il custode della coscienza pubblica. (p. 39)
La Birmania è uno di quei paesi che sembrano favoriti dalla natura. Il suolo è fertile, produce riso e altri raccolti in abbondanza, e le vaste foreste forniscono una grande varietà di legname pregiato. (p. 41)
Mandalay occupa un posto particolare nei cuori dei Birmani e rimane un simbolo dei giorni gloriosi in cui i re birmani governavano il paese. (p. 43)
La ricchezza delle risorse naturali della Birmania è considerevole, ma il grande fascino del paese risiede nelle sue molte popolazioni, dalle origini e dalle usanze diverse e pittoresche. Sono state le storie e le civiltà delle etnie birmane a formare il carattere del paese. (p. 46)
[Su Gautama Buddha] Il suo scopo era di liberare tutti gli esseri viventi dalle sofferenze dell'esistenza. (p. 47)
Kyansittha non era solamente un grande guerriero, ma un re che amministrò bene il paese, preoccupandosi del benessere dei suoi sudditi. (p. 50)
Nessuna dinastia può produrre sovrani forti e capaci per sempre. (p. 50)
[Su Aung San] È considerato l'eroe nazionale birmano e il padre della nazione. (p. 57)
La Birmania è divenuta una repubblica socialista guidata dal Partito Birmano del Programma Socialista, che è l'unico partito legale. Non sono ammesse altre formazioni politiche. Questa e altre misure di limitazione delle libertà civili hanno lo scopo di creare un governo stabile e un paese unito. Ma l'unità può essere raggiunta solo col consenso popolare. Il governo della Birmania deve ancora fronteggiare molte correnti di ribellione, fra cui in primo luogo i Karen, gli Shan e i comunisti. L'economia non è stata gestita bene e il paese è in gravi condizioni ma, considerata l'abbondanza di risorse naturali, vi è sempre una speranza per il futuro. E quel futuro è nelle mani della sua gente. (p. 58)
I Chin vivono di agricoltura e usano il metodo «taglia e brucia» per coltivare il riso e altri cereali. Questo ha condotto al disboscamento di alcune foreste delle loro montagne; sono anche abili cacciatori e pescatori. In passato allevavano anche animali domestici, utilizzati soprattutto per i sacrifici religiosi; il mithan, una specie simile alla mucca, è particolarmente pregiato. (p. 59)
L'aspetto più caratteristico del costume Chin è la coperta che viene avvolta attorno al corpo; spesse, di morbido cotone a larghe strisce colorate, queste coperte sono molto richieste in tutta la Birmania. (p. 60)
Tradizionalmente, i Kachin erano spiritisti, ma oggi è possibile trovare fra di loro molti cristiani e buddisti. Fra gli spiriti che adorano, domina su tutti Karai Kasang al quale vengono sacrificati solo animali vivi, che nell'attesa vivono liberi e sono intoccabili. Un altro spirito molto potente è certamente Madai, dal quale si ritiene siano discesi i duwa (signori) Kachin. In suo onore si tiene la festa manao, la più importante di questa popolazione. Altre feste manao vengono celebrate per ragioni diverse. Per esempio, per festeggiare una vittoria in battaglia, commemorare la morte di una persona anziana o invitare il Madai in un nuovo territorio. (p. 60)
I Kachin hanno molte danze a cui partecipano sia uomini sia donne. Esse rappresentano la corsa a cavallo, la pesca con le reti, la ricerca del bestiame sparso; ci sono anche quelle funebri, eseguite al suono di gong incitanti. (p. 61)
I Kachin sono un popolo di bell'aspetto; gli uomini appaiono molto battaglieri con i loro turbanti, i pantaloni a sbuffo e le spade ricurve al fianco. Le donne colpiscono per i costumi pesantemente decorati con ornamenti d'argento. (p. 62)
Al pari dei Chin e dei Kachin, anche i Karen erano spiritisti per tradizione; oggi, invece, vi sono molti cristiani e alcuni buddisti, oltre ad altri gruppi religiosi specifici di questo popolo. Uno fra i più interessanti professa la fede Leke, una variante buddista basata sul culto del Maitreya, il Budda che si manifesterà in futuro. Tuttavia, a differenza degli altri buddisti, la loro fede non prevede immagini sacre, pagode o monaci. Il monumento religioso principale è una struttura in legno priva di recinzioni. Al centro si eleva un alto palo sormontato da un ombrello sacro. Gli adepti della fede Leke osservano dieci regole di condotta che sembrano rispecchiare i precetti buddisti. (p. 62)
Come gran parte dei popoli della Birmania, anche i Karen sono vissuti tradizionalmente di agricoltura e hanno fama di esperti boscaioli. Una loro specialità è la cattura e l'addestramento degli elefanti, che imparano a spostare grossi tronchi d'albero. L'addomesticamento si basa sulla pazienza e la perserveranza, senza ricorso a metodi crudeli. (p. 62)
L'unico fattore di grande influenza sulla cultura e civiltà birmana è il buddismo Theravada; in tutte le parti del paese in cui vivono Birmani vi sono pagode e monasteri buddisti. Le cuspidi affusolate delle pagode, dipinte di bianco o d'oro risplendente, sono una componente essenziale del paesaggio. Non a caso la Birmania è sovente definita il «Paese delle pagode». (p. 68)
Tutti i Birmani sanno in che giorno della settimana sono nati; il nome dato all'oroscopo natale di una persona viene stabilito secondo il giorno di nascita. Per esempio, i nati di lunedì dovrebbero avere nomi che iniziano con le sillabe ka, hka, ga, nga, quelli del martedì con sa, hsa, za, nya e così di seguito. Anche i nomi dati dai genitori, come quelli astrologici, seguono solitamente questa regola. L'oroscopo indica la posizione dei pianeti al momento della nascita di una persona e gli astrologi lo usano per predire il futuro. Questa pratica non è esattamente consona agli insegnamenti di Budda, secondo il quale il futuro individuale è influenzato dalle proprie azioni più che dalle stelle. (p. 71)
[Sul buddhismo] In questa religione non esistono divinità alle quali rivolgere preghiere per ottenere grazie o aiuto; il destino personale è deciso esclusivamente dalle azioni del singolo. Pur accettando questa verità, gran parte della gente trova difficile resistere alla necessità di affidarsi a poteri sovrannaturali, particolarmente in circostanze difficili. (p. 72)
Sebbene in teoria gli uomini siano considerati più nobili, in quanto solo solo un maschio più divenire un Budda, le donne birmane non sono mai vissute in una condizione di inferiorità, ma hanno sempre goduto di pari diritti ereditari e condotto esistenze attive e indipendenti. Sicure nella consapevolezza del proprio valore, alle donne non pesa offrire all'uomo quel tipo di trattamento rispettoso che lo fa tanto felice! (p. 73)
I Birmani hanno sempre nutrito un grande rispetto per l'istruzione. Un vecchio detto popolare ammonisce che, mentre le ricchezze possono scomparire come per magia, la conoscenza è un tesoro prezioso che nessuno può rubare. Per tradizione, l'istruzione era considerata non solo quale acquisizione di conoscenze, ma come sviluppo di valori buddisti. Le esigenze dell'era attuale hanno attribuito maggior importanza alle qualifiche formali, ma i genitori non rinunciano ad allevare i figli come buoni buddisti. (p. 76)
Le donne birmane sono celebri per la bella carnagione, probabilmente dovuta all'uso di thanakha, una pasta ottenuta macinando la corteccia dell'albero omonimo, che protegge la pelle dai raggi solari e si ritiene abbia proprietà medicinali. Essendo di colore giallastro, quando viene splamata sul volto ha l'aspetto di una maschera di fango; malgrado ciò, rimane il prodotto di bellezza più importante delle donne birmane. Nemmeno l'arrivo dei cosmetici moderni ne ha diminuito la popolarità. (p. 79)
Thibaw, l'ultimo re di Mandalay, fu uno dei sovrani meno capaci della Birmania. Lui, o se non lui la regina Supayalat, aveva fomentato molti famosi episodi di atrocità motivati da un miope e feroce impulso di autoconservazione. (p. 87)
Gli invasori islamici insediati in India erano diventati parte integrante del subcontinente nel corso dei secoli, anche se la linea di demarcazione fra loro e gli indù era rimasta netta e distinta. Per gli Inglesi, invece, l'India era un avamposto commerciale che, a seguito di una serie di avvenimenti in gran parte imprevidibili, era divenuto un territorio coloniale da governare con una burocrazia sempre più complessa e spersonalizzata. Era raro che un Inglese guardasse all'India come alla sua terra, pur avendovi trascorso gran parte della sua vita. (p. 89)
Il fattore razziale fu forse l'aspetto più macroscopico del rapporto fra Inglesi e Indiani. I conquistatori musulmani si erano comportati con l'arroganza dei vincitori, avallando episodi di persecuzione religiosa, ma non avevano affermato la loro superiorità sugli indù in termini offensivi di razza e di colore. (p. 90)
Nato nel 1771 da una famiglia di bramini, Roy possedeva gli attributi classici dell'uomo rinascimentale: una mente inquisitiva, un intelletto vivace, gusti eclettici, il coraggio dell'innovazione e la padronanza di varie lingue. Inoltre, disponeva di notevoli risorse finanziarie, un vantaggio innegabile per chi voleva impegnarsi nelle riforme. Il più significativo contributo di Roy in campo socioreligioso fu la fondazione del Brahmo Sabha, un movimento che sosteneva una forma purificata d'induismo, basata sui Veda e le Upanisad, teistica ma contraria all'idolatria e in cui erano assimilati alcuni concetti etici dell'Occidente cristiano. (p. 91)
Jawaharlal Nehru, rampollo di una famiglia bramina del Kashmir stabilitasi ad Allahabad, è il tipico rappresentante dell'Indiano anglicizzato e sofisticato. Affidato a istitutori inglesi a casa prima di frequentare Harrow e Cambridge, si ispirava alle parole di Euripide, Eschilo e Yeats per esprimere i suoi pensieri e aspirazioni. Il Bhagavad Gita attirava il suo spirito indagatore come un «poema di crisi, politica e sociale e ancor più di crisi dello spirito umano». Ma lui l'aveva letto, come altri classici sanscriti, solo nella traduzione inglese. (p. 109)
Nehru apparteneva ovviamente a una esigua minoranza, era un uomo con un approccio talmente intellettuale verso la vita che imparò ad accettare con equanimità la sua anomala identità culturale. A differenza di Sri Aurobindo non sentiva l'esigenza di controbilanciare la sua educazione occidentale con una scrupolosa ricerca sul pensiero induista, sebbene l'avesse studiato in una prospettiva storica al fine di capire l'India. (pp. 109-110)
Gandhi aveva una mentalità pratica che lo portava a ricercare idee utili alle esigenze della situazione. Malgrado l'induismo profondamente radicato in lui, la sua elasticità intellettuale gli fece accettare quegli elementi del pensiero occidentale che si adattavano allo schema etico e sociale che riteneva desiderabile. (p. 111)
Mindon era considerato un buon re perché devoto e perché mantenne la pace durante il suo regno. In certa misura cercò di stare al passo con l'evoluzione moderna, ma non possedeva né i requisiti intellettuali, né forse l'inclinazione per mettere in atto riforme politiche e amministrative che avrebbero esteso la base di potere del regno, assicurato la successione al trono e forse evitato l'annessione della Birmania settentrionale. (p. 113)
[Su Thakin Kodaw Hmaing] Dal suo monastero aveva visto Thibaw e la famiglia reale salire melanconicamente a bordo del battello che li avrebbe portati in esilio. Si dice che quell'esperienza gettasse il seme del profondo patriottismo che contraddistinse la sua produzione letteraria. (p. 117)
[Su Thakin Kodaw Hmaing] I suoi scritti, che spaziavano dalle opere teatrali popolari agli articoli giornalistici, dalla storia alla poesia, avevano uno stile fortemente tradizionale. I contenuti mostravano una vivace consapevolezza degli sviluppi economici e sociopolitici del tempo. (p. 117)
Hmaing è stato paragonato dai Birmani a Tagore, in quanto grande poeta nazionalista; il confronto è valido unicamente se il nazionalismo è considerato ampiamente in termini culturali più che in senso strettamente politico. (p. 118)
Sebbene Tagore fosse considerato una istituzione nazionale, non venne sempre ritenuto un nazionalista. C'era il notissimo dissenso con Gandhi a proposito della condanna radicale di quest'ultimo della civiltà occidentale. (p. 119)
Hmaing era più vicino a Tagore essendo innanzitutto un pensatore, ma più simile a Gandhi nel suo nazionalismo. (p. 120)
Il buon governante domina l'ostilità con affettuosa gentilezza, la malvagità con virtù, la parsimonia con la liberalità, la falsità con la sincerità. L'imperatore Ashoka, che regnò conformandosi ai princìpi della non violenza e della comprensione, è sempre esaltato come il re buddista ideale. (p. 175)
Non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo del potere corrompe chi ne è soggetto. (p. 183)
Sarebbe difficile sconfiggere l'ignoranza senza la libertà scevra di paura di perseguire la verità. Dal momento che il rapporto fra paura e corruzione è tanto stretto, non può meravigliare che in ogni società in cui matura la paura, la corruzione si radichi profondamente in tutte le sue forme. (p. 183-184)
L'autentica rivoluzione è quella dello spirito, nata dalla convinzione intellettuale della necessità di cambiamento degli atteggiamenti mentali e dei valori che modellano il corso dello sviluppo di una nazione. Una rivoluzione finalizzata semplicemente a trasformare le politiche e le istituzioni ufficiali per migliorare le condizioni materiali ha poche probabilità di successo. (p. 186)
All'interno di un sistema che nega l'esistenza di diritti umani fondamentali, la paura tende a essere all'ordine del giorno. Timore del carcere, della tortura, della morte, timore di perdere amici, parenti, proprietà o mezzi di sussistenza, paura della povertà, dell'isolamento, del fallimento. Una forma molto insidiosa di paura è quella che si maschera come buon senso o addirittura saggezza, condannando come sciocchi, inconsulti, insignificanti o velleitari i piccoli atti di coraggio quotidiani che contribuiscono a salvaguardare la stima per se stessi e la dignità umana. Non è facile per un popolo condizionato dai timori, soggetto alla regola ferrea che la ragione è del più forte, liberarsi dai debilitanti miasmi della paura. Eppure, anche sotto la minaccia della macchina statale più schiacciante, il coraggio continua a risorgere, poiché la paura non è lo stato naturale dell'uomo civile. (pp. 187-188)
Ciò che conduce l'uomo a osare e a soffrire per edificare società libere dal bisogno e dalla paura è la sua visione di un mondo fatto per un'umanità razionale e civilizzata. Non si possono accantonare come obsoleti concetti quali verità, giustizia e solidarietà, quando questi sono spesso gli unici baluardi che si ergono contro la brutalità del potere. (p. 188)
Le donne che ispirano la mia vita quotidiana sono Christine Lagarde, Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale; Aung San Suu Kyi, volto politico dell'opposizione Birmana, Segretario Nazionale per la democrazia e vincitrice di un Nobel per la Pace, e Patti Smith. Stimo molto queste donne e soprattutto le rispetto molto per la loro personalità, il coraggio, l'intelligenza e la creatività. Il loro grande carisma è per me una continua fonte di ispirazione. (Rula Jebreal)
[Sul genocidio dei rohingya] Negli ultimi anni ho più volte condannato questo trattamento tragico e vergognoso. Sto ancora aspettando che la mia compagna di Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi faccia lo stesso. (Malala Yousafzai)
Sì, stava cercando di proteggere un’apertura democratica conquistata a caro prezzo che si potrebbe chiudere se lei criticasse esplicitamente l’esercito. Oltretutto il birmano medio approva con convinzione quello che ha fatto l’esercito (altre sfumature di Serbia). Ma lei sta tollerando e coprendo un genocidio. Dovrebbe vergognarsi. (Gwynne Dyer)
Vi ricordate di lei? Una volta era una santa laica. (Gwynne Dyer)