Antonio Milo (1968 – vivente), attore italiano.
Citazioni in ordine temporale.
- Napoli rappresenta allo stesso tempo le mie radici e una fonte di ispirazione. Basta camminare per la città per poter attingere a personaggi, tic, modi di dire [...][1]
- [Su teatro e televisione] Credo che la differenza principale sia imparare a rapportarsi con un mezzo che è diverso da quello della platea teatrale. La macchina da presa, l'obiettivo, ti induce a fare un lavoro di sintesi di tutto quello che fai in teatro. È il gap che dopo 15 anni di teatro mi sono trovato a superare quando si è fatta avanti la fiction. Perché quando ho iniziato io, in Italia non c'erano, non venivano prodotte ma comprate dall'estero. [...] Però la prima volta che mi sono trovato davanti la telecamera ho capito che c'era un lavoro da fare ben diverso e che dovevo strutturarmi, quindi sono tornato a studiare tecniche più specifiche che mi aiutassero a sintetizzare e lavorare sulla sfera interiore perché quando un obiettivo ti inquadra in primo piano gli occhi esprimono quello che provi dentro. Se non provi nulla, se non c'è un racconto interiore, l'obiettivo legge il nulla quindi vieni subito sgamato.[1]
- Quando qualcuno ti dice che nella vita non riuscirai a fare mai nulla non fa altro che alimentare le tue insicurezze, ma è questo che mi ha spinto, anche se in maniera inconsapevole, a voler fare l'attore.[2]
- [«La recitazione: quando ti accorgi di avere questo grande talento?»] In uno spettacolo di Natale fui scaraventato sul palcoscenico per caso... e capii che era la mia attitudine.[3]
- [«Il complimento più bello ricevuto?»] Gli occhi spalancati di meraviglia dei miei nipoti quando, qualche anno fa a Natale, mi vestivo da babbo Natale per portare loro i regali.[3]
- Il teatro è un'arte viva, necessita di un palcoscenico, di un pubblico pagante dal vivo, di un'energia particolare...[4]
- Ciò che permette a Napoli di salvarsi è che nonostante i tempi cambino (e con essi la città ed i napoletani), alcune radici rimangono, come l'uso della lingua. Ci sono elementi che non si cambiano ed è anche giusto che non cambino. Poi Napoli ha la capacità di non farsi travolgere dagli eventi che cambiano, ma li assorbe nel proprio tessuto sociale e culturale, li metabolizza e rimanda indietro sotto altra forma, anche migliorata. Il classico esempio è nella lingua partenopea, ricca di francesismi, termini che derivano dallo spagnolo e dall'arabo, frutto delle varie influenze che la città ha avuto. Ma penso anche alla cultura, alla cucina... Tutte cose che sono state poi reinventate: è questa la vera forza di Napoli, che ha un'identità molto forte e stratificata. Anche per questo numerosi film e serie si girano qui: Napoli può essere sempre raccontata in diverse salse, ci puoi ambientare qualsiasi storia. Anche un racconto distopico a Napoli risulterebbe credibile.[4]
Intervista di Davide Pulici, nocturno.it, 5 marzo 2021.
- [Sul Commissario Ricciardi, «tu li conoscevi già, i libri di de Giovanni?»] Sì, avevo iniziato a leggerli una decina di anni fa. Per cui, partivo da una posizione di lettore. Ovviamente, essendo un attore, avevo già adocchiato in qualche modo, il personaggio del brigadiere Maione. Però, avevo letto i libri in tempi non sospetti e non potevo immaginare che a distanza di dieci anni mi sarei ritrovato a interpretare proprio Maione.
- [«Perché l'intrigo noir, poliziesco tira, nella fiction?»] La spiegazione che io mi sono dato è che la figura del poliziotto è la figura dell'eroe per eccellenza. L'eroe che più abbiamo vicino, senza pensare a Superman, che vola o che ha i super poteri. Un eroe normale, del quotidiano. Quindi, è una figura che non tramonterà mai, perché ci dà la convinzione che il bene vince sul male. Quindi è per questa ragione che il poliziesco funziona. La gente si appassiona a un simile archetipo. Poi, parliamoci chiaro, anche se vuoi presentare un progetto, se vai con un poliziesco, oggi hai una marcia in più...
- Ho iniziato nel 1990, quando le serie tv in Italia ancora non esistevano. Vivevo del teatro. Poi, dal Duemila è avvenuta la svolta, quando è decollata la fiction. E quindi per me, come per altri miei colleghi, si è aperta la possibilità di un nuovo sbocco lavorativo. [«Nel periodo in cui hai iniziato, col teatro si campava?»] In realtà, quando io ho iniziato, era difficile entrare. Io sono di Napoli, poi trasferito a Roma. Migliaia di provini, non ti dico. Però, poi, quando si cominciava a lavorare, in qualche modo si seguiva anche un carro. Perché c'era il regista che lavorava sempre con gli stessi attori; col teatro iniziavi a lavorare a ottobre e finivi a maggio, avevi un mesetto di libertà, poi si attaccava di solito con l'estiva. E le estive duravano quaranta date. Era una realtà totalmente diversa da quella attuale [...]. Oggi una tournée ha poche date ed è quindi diventato difficile sostentarsi con il solo teatro. Mentre all'epoca io ci campavo, perché lavoravo praticamente tutto l'anno. Da ottobre ero in tournée e a casa ci tornavo di rado. Le estive, tra l'altro, le facevi in teatri tipo il Teatro di Taormina, a Tindari... c'erano una serie di teatri straordinari, per non dire dei Festival: Borgio Verezzi, Spoleto... C'erano più possibilità, di lavorare e di sostentarsi, col teatro. E soprattutto, quando ho iniziato io, si facevano spettacoli con più attori. Feci uno spettacolo che si chiamava Masaniello, per la regia di Armando Pugliese, in cui eravamo una ventina, una trentina di attori.
- [«Hai lavorato molto con Pugliese...»] Sì, molti anni. Devo ad Armando anche la mia formazione, perché io ho studiato, ho fatto una scuola di teatro, ma la vera scuola è stata quella sulle tavole del palcoscenico. Lavorando.
Intervista di Claudia Casiraghi, vanityfair.it, 22 ottobre 2021.
- Napoli, storicamente, è anarchica rispetto al rapporto con la regola [...]
- Napoli, purtroppo, è conosciuta per alcuni suoi aspetti poco edificanti. Io non voglio negare che esistano, sarebbe inutile. Ma dietro Napoli si estende un tessuto culturale spesso, fatto di persone per bene costrette a soccombere sotto il peso della cronaca nera.
- La cultura è una categoria debole, in Italia, e metterla ai margini è [...] tanto semplice quanto vile.
- [...] il teatro è il luogo della condivisione per eccellenza e l'essere umano è nato per condividere. Quando non lo fa, perde parte della propria umanità. [...] Dovremmo tornare al teatro quanto più possibile così da bilanciare gli effetti che la tecnologia ha su di noi.
- Spero che i cinema non vengano sostituiti dal digitale, che una televisione, per quanto grande, non prenda il posto di una sala buia, della magia del luogo fisico. Le piattaforme streaming hanno tanti lati positivi, hanno portato in Italia prodotti che un tempo sarebbe stato impensabile trovare, hanno costretto la televisione generalista ad alzare l'asticella. Non credo, però, possano sostituirsi al cinema. [«Nemmeno sul lungo termine?»] No, spero di no.
- [...] credo che il teatro abbia bisogno di uno svecchiamento, sia per quel che concerne la drammaturgia, sia per quel che concerne la struttura fiscale. Bisognerebbe dare alle produzioni la possibilità di abbassare il costo dei biglietti, così da attrarre un pubblico più giovane e dinamico.
Citazioni non datate
- [Ti consideri, o vieni considerato, un "caratterista"?] Sinceramente non ho mai capito la definizione che rimane una caratteristica tutta italiana. Credo si riferiscano a tratti fisici marcati che caratterizzano i personaggi. Ma è una definizione che trovo assolutamente inutile. Un attore è un attore punto. E deve essere capace di mimesi e trasformazione. Un Danny De Vito in Italia forse non avrebbe fatto l'attore. Io non mi sento un caratterista, sono un attore.[5]