Antonella Cilento (1970 – vivente), scrittrice italiana.
- [...] Napoli è senza dubbio donna, nel suo aspetto ctonio e ancestrale, nella sua manifestazione vulcanica, nella bellezza che esprime e nel coraggio.[1]
Sembrerà strano, ma il primo collegamento che si stringe fra le zoccole, tradizionalmente luride pantegane ma anche prostitute di città, e scarrafoni, ovvero sia letterali scarafaggi che, in linguaggio delinquenziale arcaico, camorristi è tutto letterario. Anzi, per l'esattezza è il legame più forte stretto da Napoli con il padre della letteratura moderna, Miguel de Cervantes.
Citazioni
- Se c'è una cosa che Cervantes, nella sua incommensurabile grandezza insegna è: attenzione, quel che vi racconto sono favole, ma de te fabula narratur.
È di te che questa storia parla. (p. 10)
- Anche quando tratta un tema mitologico Ribera si chiede come fare a renderlo vero. Più vero che può. E non ci perde in eleganza. Semplicemente, osa. E così l'intestino di Tizio taglia il quadro uscendo dalla pancia risucchiato dal becco d'aquila, il sangue scorre e imbratta, il muscolo scoperto di San Bartolomeo mostra la pelle lacerata e il volto dei vecchi la sofferenza senza energia, di chi è troppo stanco, ma troppo è il male per non soffrirne. (pp. 57–58)
- Questa è la piazza del Comune e del Teatro Stabile Mercadante. Della politica e dello spettacolo. Potremmo davvero dirla cambiata dai giorni dei sovrani stranieri? In attesa di spuntarvi in metrò, la circumnavighiamo (a piedi è un'impresa, ci vuole una mappa) o la guardiamo dal prato sotto il castello, fra i ragazzi che vendono borse, le signore con le buste della spesa che aspettano l'autobus declinato al femminile ("quando arriva 'a R2?"), un occhio al San Carlo e ai giardini reali, sognando gli alberi e i libri della Biblioteca Nazionale. (p. 75)
- Matilde Serao fu il simbolo napoletano della rivoluzione femminile, lei che di certo femminista non era, ma ugualmente esempio straordinario di scrittrice, imprenditrice, organizzatrice e madre insieme: potentissima fondatrice di giornali, ricercatrice di fondi, scrittrice inesauribile di romanzi e racconti, candidata al Nobel, scippatole da un'altra considerevole narratrice e figura di donna, Grazia Deledda. (p. 95)
- Solachianiello è un termine che mi ricorda da vicino l'infanzia: le scarpe degli anni Settanta non erano ancora l'inutile accrocchio di plastiche cinesi che oggi indossiamo sapendo che le butteremmo dopo una stagione o addirittura un mese o due. Erano scarpe costose e cucite a mano che richiedevano una giusta manutenzione, dunque il prezioso intervento del solachianiello. (p. 98)
- Una città nasce spesso per isole e sfere e si trasforma, a colpi di forbice, per linee e tagli: alcuni tagli sono davvero chirurgici, ferite che non sempre risanano. Così accade a Napoli all'alba del famoso Risanamento, quando, dopo l'Unità d'Italia, si sentì il bisogno di mettere ordine nella pancia molle della città antica, dove i fondachi cadenti ospitavano una moltitudine di persone a rischio di epidemia, malavita e povertà. E fu tagliato il Rettifilo, come se fosse una napoletana avenue o un locale boulevard, che ai margini si teneva fra due onde di palazzi fin de siècle. (pp. 111–112)
- [Sul Real Albergo dei Poveri] La Cattedrale nel deserto possiede il tetto più grande d'Europa – centotremila metri quadri –, e nemmeno fu completato: esistono tre cortili monumentali ma nei piani degli architetti di Carlo III dovevano essere cinque. Gli uccelli lo usano come pista di decollo in ogni stagione e come piazza d'armi fra una migrazione e l'altra. È vuoto, un gigantesco corpo privo d'anima. Doveva sorgere nel Borgo Loreto, ma il terreno era instabile e acquitrinoso, così Ferdinando Fuga decise per l'attuale collocazione. (p. 167)
- Le case napoletane somigliano ai denti di una vecchia, storti, raggruppati, caduti, sostituiti. O un complesso ingranaggio d'orologio medievale, con tutti i cardini e i meccanismi che s'inseguono e si perdono, un grosso orologio sfasato con fusi orari di diverse epoche e nazioni che vive come un grande corpo barocco, ma di un barocco immaginario, come le Carceri di Piranesi. [...] qui non ci sono esattezze, non ci sono calcoli che tengano. O, per lo meno, i matematici cabalisti che hanno calcolato Napoli si sono lasciati prendere la mano da algoritmi anatomici che ci sfuggono. (p. 6)
- [Napoli] Io, di notte, salendo via Orazio [...] la vedo che sorge dalla terra, distesa su un fianco. Ha bracciali di corallo – gli stop delle auto nel traffico – e cinture di teschi alla vita, lunghe chiome corvine irte di antenne televisive, candide zanne, un sesso scuro di polpo e occhi che, per fortuna, non apre, perché sarebbero rossi di brace. È Kalì dalle molte braccia e dai molti seni. È la bellissima dea che uccide danzando a ritmo di reggae e sul suono delle tammorre. È una sirena dal canto mortale [...]. (p. 5)
- A causa del digradare della collina, i decumani napoletani sono frutto di geometria non euclidea, somigliano a una corda per panni troppo carica, alla tonda scriminatura dei capelli disordinati della città, che ora c'è ora non c'è. (p. 7)