Le ricerche della nostra età ci hanno permesso di risalire sempre più su nel tempo per stabilire l'origine dell'antica civiltà e l'origine dell'arte. Le straordinarie rappresentazioni di animali nelle grotte dell'Europa occidentale, da principio considerate quasi per lo più con disdegno, si sono rivelate di fatto come opere originali e vetustissime, come precorritrici anche di tutta la civiltà babilonese ed egiziana. Non potevano essere trascurate già quando apparivano come un enigmatico e solitario prodotto di opera umana, quanto più dovranno essere ora tenute in considerazione dopo che si è cominciato a vedere che si ricollegano con ogni sorta di rapporti ai prodotti della civiltà dei periodi seguenti.
Citazioni
Questa convenzionalità del disegno e del rilievo egiziano, questo uso esclusivo delle vedute di profilo e di prospetto, con assoluta rinuncia agli scorci, questa distribuzione delle figure scaglionate nel piano, senz'alcuna riduzione di proporzioni per prospettiva, cioè questa obbedienza alla forma reale del piano disegnativo, da cui l'arte egiziana non ha saputo mai liberarsi, mentre l'arte greca se ne affrancò con lo scorcio, col chiaroscuro, con la prospettiva, è quel fenomeno di tutte le arti primitive, come anche delle arti dei popoli incolti e dei bambini, che comprendiamo sotto il nome generico di parallelismo, inquantoché l'arte, non sapendo dare al piano disegnativo il valore illustrativo dell'obliquità, è costretta a limitarsi alle sole vedute parallele di profilo e di prospetto e per ridurre tutte le parti del corpo a questa rappresentazione parallela è tratta a spezzare la coordinazione naturale delle membra nel corpo umano ed animalesco, la distribuzione naturale degli oggetti e degli esseri nello spazio. (vol. I, A. L'Oriente, cap. I, pp. 13-14)
La perfetta connessione e levigazione dei blocchi di pietra all'interno [delle piramidi] mostra a quale altezza già fosse giunta la capacità tecnica degli Egiziani al principio del III millennio a. C. (vol. I, A. L'Oriente, cap. I, p. 21)
Come l'arte egiziana dal Nilo cosi l'arte dei popoli della Mesopotamia fu determinata alle origini dall'Eufrate e dal Tigri. Il duplice fiume imponeva agli abitanti condizioni e regole di vita ed esercitava un'influenza essenziale anche sul materiale e sulla forma degli edifici. Nella bassa pianura si dovette ricorrere per la costruzione ai mattoni crudi e quindi si ebbero mura di argilla anziché mura di pietra. Solo per la rivestitura esterna delle mura, per fontane ed altre costruzioni idrauliche vennero in uso già per tempo mattoni cotti. (vol. I, A. L'Oriente, cap. II, pp. 57-58)
Le opere architettoniche [mesopotamiche] si innalzavano a terrazze; delle torri a gradini (zikkurrat) furono adoperate in impianti sacrali. Il materiale disadorno e in parte non resistente alle intemperie traeva al sistema del rivestimento delle pareti. Le pareti all'interno erano spalmate di gesso o di asfalto o erano ricoperte di lastre di pietra o erano adorne di mosaici, più tardi di mattoni colorati. (vol. I, A. L'Oriente, cap. II, p. 58)
Anche l'Apollo che saetta il serpente Pitone, opera che Pitagora [di Reggio] creò per Crotone, avrà mostrato già un simile annuncio di movimento nel momentaneo riposo; [...]. Appunto in questi motivi pieni di vita e rappresentanti un istante d'equilibrio, che lo avvicinano al suo contemporaneo e rivale Mirone, Pitagora rivelava quella ricerca del ritmo che i critici d'arte elogiavano come sua caratteristica principale. (vol. I, B. Grecia, cap. VII, p. 269)
Pitagora [di Reggio] sembra che abbia spezzato il parallelismo di posizione fino allora predominante nella scultura libera; probabilmente al pari di Mirone egli si preoccupò del problema di coordinare giustamente i varî piani (ventre, petto ecc.) nel movimento e nella torsione del corpo. Di fronte alle figure più antiche, per lo più in riposo, egli sapeva, come mostrano gli esempi citati, sviluppare in tutte le sue conseguenze dal suo punto di origine, un determinato motivo di movimento e di concepirlo e renderlo fecondamente nel suo momentaneo equilibrio estremo, che deve di nuovo passare subito al movimento; questo doveva succedere senza dubbio anche nel suo Perseo, del quale forse è conservata la testa, e nel suo gruppo di Eteocle e Polinice che si uccidevano reciprocamente. (vol. I, B. Grecia, cap. VII, p. 269)
[...] egli [Pitagora di Reggio] era apprezzato per l'accuratezza anatomica delle sue figure, per la riproduzione dei muscoli e delle vene ed anche dei capelli, tratti che ritornano anche presso altri scultori di questo periodo di transizione, ma che, come sembra, furono dai critici d'arte notati per la prima volta nelle sue opere. (vol. I, B. Grecia, cap. VII, p. 269)
Maggiore di Kalamis[1], un vero innovatore fu Mirone di Eleutere [...]. Come i Peloponnesi egli lavorava regolarmente in bronzo (di lega eginetica), particolarmente statue di vincitori negli agoni più diversi. Delle sue opere non possiamo additare in copie la vacca, celebre particolarmente presso i Romani per la sua vivezza; altre si rivelano come il riflesso ideale della ginnastica e portano al grado più alto la naturalezza piena di vita, la rappresentazione di manifestazioni energiche di forza, di azioni rapide che venivano colte ritmicamente nel breve istante di riposo tra due movimenti. (vol. I, B. Grecia, cap. VII, pp. 272-273)
Il giovane atleta [il discobolo di Mirone] è rappresentato nel momento in cui, secondo le regole dell'arte, poggiando sulla gamba destra si è così rivolto su se stesso che volge il dorso alla meta, e brandendo con la destra il pesante disco stende il braccio per il lancio che egli ora eseguirà con forte movimento e rivolgimento del corpo. Questo atto di massima tensione può durare solo un istante: questo istante Mirone l'ha fissato nella sua statua. L'arditezza del motivo, il «distorto» delle figure, secondo l'espressione di un antico giudizio, risalta assai bene se si guarda il corpo non soltanto dalla veduta principale trattata a modo di rilievo, ma dal di dietro. (vol. I, B. Grecia, cap. VII, p. 273)
Il satrapo persiano della Caria, il re Mausolos, aveva trasferito la capitale del suo dominio dall'interna Mylasa ad Alicarnasso, dove a quel che pare la regina Artemisia innalzò al fratello e sposo dopo la sua morte (333) un sontuoso monumento; sicuramente il re stesso aveva, secondo il costume dei Faraoni, cominciato e portato così innanzi l'edificio, che questo era quasi pronto allorquando Artemisia (351) mori poco dopo il suo sposo. Come si racconta, gli artisti condussero allora da soli l'opera alla fine per amore della propria fama. (vol. I, B. Grecia, cap. X, pp. 359-360)
Una grande varietà regna nei monumenti funerari [romani]. Ancor oggi domina la via Appia la tomba di Cecilia Metella, nuora del triumviro Crasso, un edificio rotondo a maniera di torre, su una base rettangolare, di un effetto grandioso e severo, che fu usato nel Medio Evo come fortezza e coronato di merli. (vol. I, C. Italia, cap. IV, p. 523)
Anche l'ornamento vegetale nell'Ara Pacis mostra una certa duplicità. Esternamente al disotto del fregio delle figure, esso vi sviluppa in una ricca opera a tralci, che ricerca l'effetto essenzialmente con l'elegante delineazione degli steli delle piante attorti a volute e che si ricollega a motivi più antichi ma tende in particolare ad una più naturale conformazione del fogliame; nell'interno la parte superiore della parete è ornata di sontuosi festoni in cui l'artista riproduce chiaramente ogni frutto, ogni foglia ma con ciò rinuncia coscientemente alla leggiadria dell'ornamentazione delineata, perché considera le ghirlande piuttosto come masse ricche di corporeità e di colore e digradanti dal più vigoroso rilievo fino a un sottile disegno che svanisce sul fondo. I nastri svolazzanti, i bucranî da cui pendono i festoni e che sono resi con una grandissima fedeltà naturale, accrescono l'impressione. (vol. I, C. Italia, cap. IV, pp. 528-529)
Preparati da precedenti varî nell'Egitto, in Cipro, nel territorio fenicio, in Grecia, in Etruria, in Roma, i sarcofagi in marmo ornati di rilevi appaiono alla fine del primo secolo d. Cr. in corrispondenza al rito risorto di seppellire invece che di cremare i cadaveri e divengono ben presto una moda dominante. (vol. I, C. Italia, cap. VI, p. 574)
I sarcofagi erano per lo più lavorati in massa e, come di solito, l'esecuzione tradisce soltanto la mano tecnicamente sperimentata dello scalpellino, non quella creatrice dello scultore; così anche la composizione per lo più non è stata ideata per una singola opera ma è stata tolta da taccuini di modelli e simili mezzi di aiuto ed è stata riadattata per il caso particolare, soprattutto con la trasformazione della testa, in generale solo abbozzata. (vol. I, C. Italia, cap. VI, p. 574)
Il Cristianesimo per venire dalla Palestina a Roma, dovette percorrere il vasto dominio della civiltà greca, e nei grandi centri ellenistici dell'Oriente ebbe le sue prime sedi ed i suoi punti di irradiazione; è evidente dunque che l'ambiente ellenico-orientale dovette recare un cospicuo contributo alla formazione della nuova arte universale. (vol. II, A. cap. I, p. 4)
Di Catacombe, ossia di sepolcreti sotterranei cristiani, ne esistono anche fuori di Roma, ad esempio a Napoli, a Siracusa, ad Alessandria d'Egitto, ma quelle di Roma superano di gran lunga tutte le altre per vastità, dignità ed importanza artistica; le più antiche risalgono forse al I secolo; servirono di sepoltura fin verso la metà del secolo V, ma fino dal secolo IV esse erano soprattutto venerate come santuari, e la decorazione che si vede dopo questo tempo non è più esclusivamente propria di esse. Ma nei primi tre secoli le Catacombe sono per noi l'unico monumento nell'antichissima arte cristiana in Occidente. (vol. II, A. cap. I, p. 4)
Molti ancora credono che le Catacombe siano state luoghi di riunione, di rifugio o di abituale soggiorno: esse invece servirono soltanto di sepoltura e solo vi si celebravano delle riunioni liturgiche nell'anniversario dei defunti. (vol. II, A. cap. I, p. 4)
In origine, fino alle persecuzioni dei cristiani del secolo III, le Catacombe erano aperte e protette dalle leggi, e non avevano bisogno di essere situate in luoghi nascosti e segreti; una scala conduceva ai corridoi sotterranei scavati nel tufo, e dentro ai loculi scavati nelle pareti laterali erano tumulati i cadaveri dei credenti. Le tombe erano chiuse con una lastra sulla quale si scriveva il nome, l'età, il giorno della morte del defunto e l'augurio di pace eterna espresso con parole o con simboli (una colomba, un ramo di palma, un'ancora, ecc.). Seguendo in ciò gli usi antichi, i superstiti deponevano presso ai morti oggetti diversi: lampade, vasi di vetro, monete ecc. (vol. II, A. cap. I, p. 4)
La cattedrale di Canterbury è del massimo interesse per la storia dell'architettura; basta osservarne la pianta per vedere come quest'opera sia andata sorgendo man mano, in diversi momenti architettonici. Iniziata ancora nell'età romanica, la cripta e precisamente la parte occidentale di essa, è opera di un Ernulfo, venuto insieme con un Lanfranco dal convento di Bec. Seguì poi la costruzione delle parti contigue al braccio e del transetto orientale; poi si costruì il coro, al quale è addossata la cappella rotonda dedicata a S. Tommaso Becket (la «corona di Becket»). Il coro è ideato sul piano di quello della cattedrale di Sens, ed è meno largo della navata mediana, a cagione delle due torri antiche, che si vollero conservare. Le parti che stanno tra i due transetti, erette da Guglielmo di Sens, nella navata mediana hanno le vòlte divise in sei parti. Il braccio maggiore fu compiuto dal 1390 al 1411. (vol. II, C. cap. II, p. 319)
In generale il duomo di Colonia è un'opera rigorosamente logica: come tutte le misure e proporzioni si riconducono ad una unità fondamentale, così pure nell'alzato la tendenza verticale è mantenuta con inesorabile severità e senza interruzione. Il modulo fondamentale della cattedrale di Colonia è la larghezza della navata di mezzo, da un asse all'altro delle colonne, uguale a cinquanta piedi romani; le navate laterali hanno la larghezza di mezzo modulo, il transetto di due, e l'asse del coro è uguale a tre moduli; similmente , tutte le misure di altezza e di lunghezza hanno la stessa semplicissima base. (vol. II, C. cap. II, p. 336)
[Sul gotico italiano] Nel corso del secolo XIII una nuova corrente artistica invade il territorio italiano. L'architettura gotica passa le Alpi. Se le forme vere e caratteristiche dello stile gotico sono soltanto quelle di cui si riveste nel Nord, allora si durerà fatica a trovare questo stile anche in Italia. Fra tutti i paesi che adottarono lo stile gotico, l'Italia fu forse quella che l'intese di meno; esso si adattava male alle tradizioni artistiche classiche. Ciò che l'Italia fece pel nuovo stile fu quello di darle il nome di gotico, in senso dispregiativo, come di barbaro. (vol. II, C. cap. III, pp. 510-511)
Posta sulla via Appia, in facile comunicazione con Roma, Fossanova era talmente frequentata dai viaggiatori che vi si arrestavano lungo il cammino, che nel 1256 papa Alessandro IV le fece una donazione per permetterle di sostenere le forti spese dell'ospitalità. Divenne ben presto centro di studii, e i monaci delle altre abbazie cistercensi che sorsero in quel giro d'anni nei dintorni andavano ad istruirsi a Fossanova, dove era uno studium artium, in cui si insegnava la geometria e l'architettura. (vol. II, C. cap. III, p. 513)
Fra le chiese gotiche dell'Italia Settentrionale più celebre fra tutte è il duomo di Milano, col quale Gian Galeazzo Visconti volle lasciare magnifico ricordo della sua signoria. Non si può dire con sicurezza quale architetto ne abbia abbozzato il piano: fu cominciato nel 1386 da Simone da Orsenigo; dal 1400 al 1447 i lavori furono diretti da Filippo degli Organi. Oltre a ciò aiutarono col consiglio e con l'opera architetti delle più svariate scuole e dei più disparati paesi, italiani non solo, ma francesi, fiamminghi e tedeschi (Ulrich von Ensingen; Heinrich von Gmünd, 1391); e pare che a Milano regnasse una certa perplessità che si spiega con l'epoca già tarda nella quale l'edificio si costruiva quando il vero sentimento gotico stava per spegnersi. Infatti la maniera gotica usata qui si allontana da quella che si incontra in Italia. (vol. II, C. cap. III, pp. 534-536)
↑ Calàmide (greco antico: Kαλαμις; 500 a.C. circa – ...).
Antonio Springer, Manuale di storia dell'arte, 3a edizione italiana a cura di Corrado Ricci, vol. I Storia Antica, tradotto da Alessandro Della Seta, Istituto italiano d'arti grafiche, Bergamo, 1927.
Antonio Springer, Manuale di storia dell'arte, 3a edizione italiana a cura di Corrado Ricci, vol. II Arte del Medio Evo, tradotto da Antonio Nuñoz, Istituto italiano d'arti grafiche, Bergamo, 1916.