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scrittore, storico e poeta italiano Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Alfredo Oriani (1852 – 1909), scrittore, storico e poeta italiano. Usò anche lo pseudonimo Ottone di Banzole.
«Il dottore era questa notte colla Giovanna» disse la Ghita.
Ida non si mosse.
«Ci vuole proprio il coraggio di un dottore; già, sono come i beccai, che ammazzano i vivi e sparano ai morti. Anche sabato lo incontrai, che ritornava dal camposanto; aveva aperto Tonio. Erano dietro il vicolo dei Cappuccini: l'ho riconosciuta, deve essere in ultimo.»
In quella un magnifico gatto, nero come di onice, con una fettuccia rossa per collarino, entrando dalla porta socchiusa della cucina venne a saltare sulle ginocchia di Ida, e vi si allungò non senza tentare prima mille pose. Stette così qualche secondo, poi avvallandole nelle sottane, e battendogliele carezzevolmente colla coda grossa come una coda di volpe, ne accompagnava ogni movimento con una voluttuosa trepidazione di orecchi.
– Aspettatemi dunque! – esclamò l'avvocato Guglielmi, indugiando nel rimettersi il pastrano grigio da mezza stagione, e aperse la bussola, che dal caffè dava sotto il portico.
Con un ultimo sforzo premé ancora il collo sulla rotaia.
Poi un'estrema convulsione di turbine, di abisso, di valanga, d'incendio, lo fece quasi rivoltolare sopra se stesso; aprì gli occhi nella fiamma, e per una paura più terribile gridò:
– Mio Dio!
Ma l'enorme macchina gli era già passata furiosamente sulla testa, soffocando nel proprio fracasso di cateratta l'inutile parola.
Siamo a Bologna, una delle città più ricche e noiose d'Italia.
Sono caduto il giorno tre di questo mese nel pomeriggio. La giornata era fosca. Grosse nuvole oscillavano nel cielo sotto la pressione di un vento troppo alto per essere sentito. L'aria, ancora più calda che umida, bagnava tutte le piante come di un sudore malato.
Nella caduta non ero solo, ma fortunatamente fui solo ad azzoppirmi.
Per me non suonerà più sulle alture; nè lo vorrei.
Nell'afa del meriggio Mario sollecitava colla frusta il grasso cavallo.
La strada, larga e dritta, in quell'incendio di sole sembrava confondersi col tremolìo dell'aria, entro la quale la polvere, sollevandosi, metteva tratto tratto una nebbia giallognola. Il caldo era soffocante. L'ombra, ritiratasi sotto gli alberi, ne allargava la base dei tronchi, e l'erba appariva sporca sui margini dei fossi, mentre nella strada solitaria il solco dei veicoli e l'orma dei piedi si vedevano sino molto lungi, profondi quanto nel fango.
— Perchè? esclamarono simultaneamente, a voce bassa, Andrea Petrovitch Khartof e Fedor Vassilich Karatajeff.
— Perchè? rispose rattenendosi un istante e gettando sui due interruttori uno sguardo, dentro al quale passò come una luce bianca, Boris Romanovitch Slotkin: perchè? Vi è forse sempre un perchè? Si può saperlo? Perchè tocca a noi questa grande battaglia contro lo czarismo, che dura da quasi mezzo secolo, e nella quale perdemmo tante migliaia di martiri?
La contessa Ginevra volse la testa con un sorriso, tendendo al vecchio medico la bella mano bianca, sulla quale non brillava che il sottile anello matrimoniale.
- Perché così tardi stasera?
- Esco ora dalla casa del marchese Roderigi: sta un po' meglio, il caso è nullameno disperato.
Qualcuno degli invitati scambiò un'occhiata malinconica alla triste notizia, ma la conversazione rimase impacciata come prima.
Roma fu la patria dello stato, il suo impero la prima unità mondiale.
L'individualità antica vi ottenne colla coscienza della propria interezza, quella dei rapporti che la riunivano allo stato. Infatti mentre nella Grecia, patria dell'individuo, questi rimaneva chiuso in se medesimo e lo stato era piuttosto una somma che una unità capace di subordinarsi gli individui imponendo loro le proprie necessità come un'idea superiore, per la quale fossero nati e nella quale vivessero, a Roma individuo e stato, astrattamente concepiti, si costituiscono con reciproca personalità. La libertà dell'uno risulta dalla necessità dell'altro, il destino di Roma è la spiegazione e la gloria d'entrambi.
Vien qui, divina
bionda fanciulla dalla fronte pallida:
vieni e ti china
sull'infelice che t'amava incognito.
Egli uscì a testa alta, col volto lucido di quel sorriso, che sembra illuminarsi dall'interna contentezza di un buon pranzo.
Aveva mangiato copiosamente, solo ad un tavolino dell'ampia sala bislunga, nella quale gli avventori rumoreggiavano, e i camerieri in giacchetta nera e cravatta bianca mutavano correndo i piatti sporchi coi piatti pieni, fra l'incrociarsi degli ordini e il vocìo saliente delle conversazioni. Parecchie donne della piccola borghesia pranzavano in cappellino, colle mantiglie ripiegate sul dossale delle sedie, perché gli attaccapanni delle pareti erano già carichi di pastrani e di cappelli maschili; ma nessuna era bella, e tutte avevano nell'atteggiamento quel ritegno nervoso, che tradisce nel suo stesso disagio la brama di attirare l'attenzione. Da alcuni tavoli affollati di studenti il chiasso si allargava come un'onda, facendo spesso rivolgere le teste con atto fra furioso e scontento di tale trivialità non abbastanza giustificata dal buon mercato del luogo e dalla eccellente riputazione del suo vino.
Anch'egli è morto.
L'ultima volta, che lo salutai alla stazione di Bologna, la notte estiva era cupa; grosse nuvole si spostavano grevi nel cielo senza stelle, l'aria stagnava. Eravamo venuti a piedi per la nuova via della vecchia città, quasi deserta a quell'ora ma vivamente illuminata sotto i portici alti e sonori. Come sempre, egli parlava ammonendo, mentre a me pareva di sentire nell'aria, al disopra delle nostre teste, avvicinarsi qualche altra tristezza. Eppure la sua parola aveva la consueta limpidità quasi di alba, quando nel chiarore del giorno nascente traspare come la luce di un altro mondo lontano, e le prime voci della terra somigliano al murmure di una preghiera.
- Mostratemi dunque un piedino.
Ella lo allungò subito fuori dalla corta sottana nera.
- Grazie, principessa.
- Mi avete riconosciuta? – domandò con un tremito nella voce sottile, abbassando vezzosamente il volto sotto il mascherino per guardare la scarpetta scollata, in pelle bronzina, a bottoncini rotondi sopra un fianco, che teneva ancora alzata.
- Talento di calzolaio! – l'altro replicò, mentre il gruppo delle maschere si scioglieva come per incanto a quel nome di principessa.
Caro Bariè,
Ho finito or ora il libro, e riprendo la penna per dedicartelo. Quando, fra qualche mese o qualche anno sarà stampato, chissà quali avventure, sorprendendo le nostre vite e divertendone la direzione apparente, potrebbero impedirmi di farlo.
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