Aldo Braibanti (1922 – 2014), scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano.
- Sono stato imprigionato la prima volta dai fascisti, la seconda volta dai repubblicani. Chi vuole può notare una certa continuità.[1]
- Aldo era omosessuale, ma non ci fu mai nessun contatto tra noi. Era molto più vecchio di me. Uno dei miei tanti padri. Mi sentì un giorno che leggevo Campana. "Il più grande poeta italiano", disse. M'insegnò con quella sua vocetta a leggere i versi, come marcare tutto, battere ogni cosa. Gli devo questo, tra l'altro. Non è poco. Progettavamo insieme come demolire la convenzione teatrale e letteraria italiana.
- Contro Braibanti si scatenò la rappresaglia del sociale, la vendetta delle masse. Era l'intellettuale migliore che avesse l'Italia all'epoca. Aveva interessi pittorici, letterari e musicali. Profeta in anticipo di trent'anni. "A tredici anni s'impicca e prima scrive, ciao mamma, tanti saluti a Dracula. La gente dice cuore e vorrebbe dire culo", scriveva. Fu uno dei primi a condannare il consumismo. I "diversi" allora in Italia si contavano. Lui, Pasolini, pochi altri.
- "Vieni a trovarmi a Fiorenzuola D'Adda", mi aveva detto quella volta a Milano. Abitava in una torre molto bella. Aveva un formicaio che curava maniacalmente. Sapeva tutto delle formiche e di molte altre cose. Passai da lui dopo la vacanza veneta. Una settimana insieme a un altro pazzo, il suo editore, progettando spettacoli su palloni aerostatici a Portofino, sopra le teste dei miliardari in vacanza. Dormivo in camera sua, su questi letti Ottocento in radica.
- Un fatto ignobile. Uno dei tanti petali di questo fiore marcito che è l'Italia. Fu condannato a undici anni Braibanti, di cui quasi dieci scontati nella peggiore galera, per un reato mai tirato in ballo fino ad allora. Il plagio. Per giunta ai danni di un maggiorenne...