La sera del 20 luglio 1944, cioè alla conclusione di quel terribile giorno in cui il colonnello Claus von Stauffenberg aveva collocato la sua bomba sotto il tavolo nella sala delle riunioni del Quartier generale di Hitler, a Rastenburg, senza riuscire ad uccidere il dittatore, Mussolini, che si trovava in Germania da qualche giorno, si precipitò alla sede del comando militare tedesco nella Prussia orientale, ispezionò il grande sconquasso e, davanti a Hitler che gli esibiva i propri pantaloni stracciati, la giacca ugualmente lacerata e, insieme, i modestissimi graffi riportati, commentò impressionato e commosso: «È stato proprio un segno del Cielo!» Nell'appello rivolto dalla radio tedesca all'una di notte in quello stesso giorno, Hitler convenne con la tesi del «miracolo» affermando tra l'altro: «... Vedo in questo una conferma del compito, affidatomi dalla Provvidenza, di proseguire l'obiettivo di tutta la mia vita, esattamente come ho fatto fino ad oggi...» Nessuno potrà mai precisare a quale Cielo o a quale Provvidenza si riferissero il dittatore italiano che era stato nei suoi anni giovani la punta di diamante dell'ateismo socialista e quello tedesco che aveva respinto «la vile morale giudaica del Cristianesimo» riproponendo il culto di Wotan e delle antiche divinità germaniche: certo, i disegni della Grazia si erano fatti, quel giorno, di una sconcertante imperscrutabilità se avevano consentito al cattolico von Stauffenberg di innescare e collocare, non visto, il suo ordigno infernale e poi avevano provveduto a che la fatale valigetta fosse rimossa prima dello scoppio e il Führer si trovasse protetto da un tavolone di quercia solido come una corazza.
Citazioni
Nei giorni immediatamente successivi al fallito attentato, Hitler sterminò, facendoli impiccare a dei ganci di macelleria con delle corde da pianoforte (non ne mancavano certo, nella patria di Bach e di Beethoven) fucilandoli o inducendoli al suicidio (come nel caso di Rommel) tutti gli esponenti in uniforme di quegli Junkers prussiani che avevano costituito per secoli i depositari della tradizione militarista tedesca. Liquidò così alla sua sanguinaria e sbrigativa maniera l'opposizione nell'esercito.
Nello stesso spietato modo si era comportato nel febbraio dell'anno prima quando Sophie Scholl e suo fratello, due studenti, anch'essi cattolici, influenzati dall'idealismo religioso e morale del loro professore, Kurt Huber, avevano distribuito manifestini nei quali si leggeva «il nome della Germania sarà macchiato per sempre se la gioventù tedesca non insorgerà finalmente ad annientare i suoi oppressori e a far rivivere lo spirito dell'Europa.»
La classe operaia che in tutta l'Europa occupata costituiva la colonna portante della resistenza, in Germania manteneva un atteggiamento di acquiescenza col potere nazista, una collaborazione che si stenta a definire passiva, se non volendo far ricorso ad un eufemismo assolutorio.
Il fascismo tedesco fu, come sostenne con coraggiosa lucidità Clara Zetkin all'esecutivo dell'Internazionale comunista a Mosca, «il bacino di raccolta delle masse deluse dal socialismo» e la congrega degli «elementi più abili, più forti. più decisi, più audaci di tutte le classi».
Per Joachim Fest il nazismo «liberò i tedeschi dalla politica», una pratica che era loro fastidiosamente estranea e convogliò la forza vitale e l'entusiasmo del Paese dentro l'affratellante, disimpegnativa formula della «comunità nazionalpopolare».
[Nazismo] Esso si rivelò, almeno apparentemente e per quasi tutto il corso degli Anni Trenta, ideologicamente più forte e dinamico del marxismo («Adolf Hitler frisst Karl Marx!», «Adolfo Hitler si mangia Carlo Marx!» era la suggestiva parola d'ordine di Goebbels), riportò in auge il «Reich interiore» di ogni tedesco, figlio della cultura idealistica e romantica del secolo precedente, fiorita in contraddizione di un così imperfetto sviluppo politico.
Trent'anni prima dell'avvento al potere di Hitler, lo scrittore Heinrich Mann, uno dei padri del romanzo realista tedesco, tratteggiò il colorito personaggio di Diedrich Hessling, interprete del suo «Il suddito», dato alle stampe nel 1914. Questo signor Hessling, dottore in chimica, è l'archetipo di quello che sarà, di lì a pochi decenni, il tedesco sotto il nazismo.
«Hitler», scrive Golo Mann nella sua Storia della Germania moderna, «aveva creduto temporaneamente a confuse teorie economiche rivoluzionarie, ma le aveva rapidamente abbandonate quando notò che queste teorie gli nuocevano presso i ricchi industriali. In fondo, l'economia non interessava l'opportunista. Essa era una cosa secondaria e vi dovevano provvedere gli specialisti, gente che non sapeva fare altro. L'essenziale era la politica da cui dipendeva tutto il resto. L'essenziale era il potere». Il nazismo riuscì a tirar fuori dalla sua rozzezza culturale tutta la furberia necessaria per fornire alla coscienza degli intellettuali gli alibi di cui potevano necessitare. Erano circostanze appartenenti alla storia della cultura tedesca e, quando non vi appartenevano, ve le si poteva ricondurre con qualche manipolazione.
La teoria del superuomo di Nietzsche fu saccheggiata dai nazisti e presentata come pensiero precorritore delle teoriche hitleriane mentre veniva da un filosofo il quale aveva potuto scrivere che quasi tutti i processi di trasformazione violenta si rivelavano «una patetica e sanguinosa baracconata».
Alberto Tagliati, Adolfo Hitler si mangia Carlo Marx, Historia, giugno 1978, n. 244, Cino del Duca.
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