[Sul putsch di agosto] La resistenza, la mobilitazione democratica del popolo hanno vinto sul tentativo reazionario. Il processo avviato con la perestrojka si è dimostrato inarrestabile.[2]
La Rivoluzione d'Ottobre ha aperto le porte al riscatto di intere porzioni dell'umanità, oppresse, sfruttate, governate da regimi dispotici.[3]
[...] la sinistra unita e al governo, resta un sogno. Eppure ci siamo andati vicini di un soffio. Quando? Il 27 marzo del 1994. Può sembrare un paradosso ma non lo è. Quel giorno, se avessimo completato la maturazione istituzionale, se avessimo davvero riformato le regole, se ci fosse stato il doppio turno e un candidato-presidente da presentare agli elettori, la destra non avrebbe vinto.[4]
[Parlando di Antonio Tatò] La sua vita, lo stile, le azioni e i risultati del lavoro di Tonino, in tutti questi anni, sono un esempio della politica vissuta come passione. Come attenzione alle cose della vita, alle sofferenze e alle ingiustizie della vita, e come volontà di incidere su di esse, di cambiare realmente, di intervenire in ogni momento negli aspetti più minuti della vita politica. Era anche attenzione nel valutare la realtà per quel che è, le relazioni, i rapporti di forza, anche, per quel che sono, e la convinzione che non ci si possa, però, limitare a registrarli, ma che la politica ha invece senso solo se su di essi si interviene, appunto per modificarli, per introdurre la novità. La sua casa era diventata, per i segretari del Pci prima e del Pds dopo, centro di incontri politici ad alto livello, incontri nei quali si respirava la volontà della politica – di quella politica che aveva fatto questa Repubblica – di ritrovare il respiro antico del progetto democratico. Ma ciò avveniva sempre in rapporto alle masse, avremmo detto un tempo, agli interessi, ai bisogni delle donne e degli uomini in carne ed ossa. Perché fuori di questo riferimento, di questo ancoraggio, non vi è reale creatività politica. Questa intuizione dell'agire politico, ne sono convinto, è il filo rosso che unisce l'esperienza di Tonino partigiano, militante nella Sinistra cristiana, nel sindacato, nel Pci, nel Pds.[5]
Intervista di Marco Sappino sul putsch di agosto, L'Unità, 21 agosto 1991.
C'è stata in Occidente un'incertezza nelle prime ore. Si sono manifestate due posizioni. Una sostanzialmente dettata da una sorta di precoce real-politik che dava per scontato l'esito del colpo di Stato e s'è mossa prevalentemente, è il caso tedesco, con l'idea di porre delle condizioni ai nuovi gruppi dirigenti, di intavolare una trattativa. L'altra posizione, che è anche la nostra, critica proprio questo punto di fondo: rifiuta di considerare legittima e rappresentante dell'Urss ogni altra autorità se non quella del suo presidente Gorbaciov.
La dinamica degli avvenimenti dimostra [...] che l'Urss come l'abbiamo sempre vista e considerata non esiste più. L'Urss di oggi è già un Paese profondamente diverso. Il processo di democratizzazione è stato avviato. Oggi lo scontro politico non si condensa nel chiuso di un partito unico depositario della direzione dello Stato, ma tra una pluralità di soggetti. Perciò io non convido l'atteggiamento di alcuni giornali e di alcuni opinionisti che recitano una sorta di «de profundis» per Gorbaciov. Quasia dire: è un riformista che ha perso. Ventitré anni fa ci fu l'invasione di Praga e si disse che Dubcek aveva perso. Oggi sappiamo che è vero l'opposto. Io credo che Gorbaciov non sia un perdente come non lo è stato Dubcek. Spero e voglio che questa volta non si perdano non dico vent'anni, ma nemmeno venti giorni.
Se questo colpo di Stato può fallire è esattamente per questa ragione: perché la perestrojka ha inciso nel profilo politico, istituzionale, morale di un Paese e di popoli a lungo immersi in un regime totalitario. Certo, il rischio di un passo indietro è enorme. Ma la scommessa è ancora aperta, le forze sono tutte in campo a battersi.
Intervista di Marco Sappino sul putsch di agosto, L'Unità, 22 agosto 1991.
Quando ho saputo dalla tv che il colpo di Stato era sconfitto, battuto, ho provato un'enorme soddisfazione: per i popoli dell'Urss, per tutte le forze democratiche. [...] Sono stato tra i primi ad averci creduto, ad aver creduto che era possibile fermarli, togliere la parola ai carri armati e ridarla alla democrazia, che si doveva non subire la logica del fatto compiuto e si poteva incidere sul corso degli eventi.
La perestrojka ha fatto la sua prova del fuoco. E l'ha superata. Ha saputo vincere la prova che in sostanza aleggiava da sempre come una componente necessaria di questo grande dramma: il momento del colpo di coda conservatore. Una specie di morte preannunciata. E invece no. Ci hanno provato, ma la nuova Urss è sopravvissuta a un cimento tanto duro, a un passaggio così infido e potenzialmente tragico.
La vittoria della democrazia sul golpe dimostra innanzi tutto che le posizioni conservatrici legate a una vecchia ideologia, non solo non avevano capito la perestrojka, ma non avevano capito che il mondo era cambiato. Ritenevano, con una sorta di tragica e perfino farsesca «coazione a ripetere», che la loro tradizionale visione e il loro senso del potere, il valore magico di un certo richiamo all'ordine, pur efficaci in altri momenti, potessero ripetersi oggi.
Mi ha particolarmente commosso sentire la folla di Mosca acclamare il nome di Eltsin assieme al nome di Gorbaciov. Sono quegli spettacoli che, come dire, hanno il valore di un'aurora: eventi che cambiano improvvisamente le aspettative, perché hanno in sé la grandezza dei fatti storicamente maturati ed esprimono perciò una forza impressionante.
I comunisti, i socialisti, più semplicemente i liberali-democratici prevedono, desiderano ed auspicano la partecipazione, la militanza, la presenza democratica. Il fatto che oggi si dimentichi anche questo dimostra a quale obnubilamento, a quale arretramento culturale sono arrivati i gruppi dirigenti della sinistra.
In uno Stato democratico i cittadini hanno diritto di fare politica dove vogliono.
La sinistra era finita in un pantano totale. Encefalogramma piatto. Solo i girotondi e le iniziative di Cofferati le hanno consentito una flebile ripresa.
Cambiare idea non è reato, ma si ha l'onere della prova, bisogna spiegare qual è il percorso intellettuale, morale e politico. In alcuni casi si passa dall'altra parte per dispetto, per una disillusione personale, per i vezzeggiamenti dei nuovi amici. C'è sempre qualche avversario che sa innaffiare e coltivare un "io" ferito.
È pericoloso indicare un giornalista preferito. Gli altri ti diventano subito nemici.
↑ Dal discorso riportato dall'Agenzia DIRE, supplemento al n. 218/21, novembre 1992, p. 5.
↑ 12 novembre 1989, in risposta ad un giornalista che gli aveva chiesto se le sue parole lasciassero presagire che il PCI avrebbe potuto anche cambiare nome. Citato in La svolta della Bolognina, 30 anni fa, su ilpost.it.