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paleontologo italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Vittorio Vialli (Cles, 1º febbraio 1914 – Bologna, 5 febbraio 1983) è stato un paleontologo italiano.
Catturato dai tedeschi a Istmia (Canale di Corinto) l'8 settembre 1943, riuscì a scattare più di 400 foto clandestine come Internato Militare Italiano all'interno di vari lager in Polonia e in Germania.
In seguito divenne professore universitario di geografia, geologia e paleontologia.
Nel 1933 si reca a studiare a Pavia, dove suo cugino Maffo Vialli è già un luminare dell’Università, titolare della cattedra di Anatomia Comparata. Amante della natura, degli animali e delle sue montagne, sceglie di studiare Scienze Naturali con la cugina Giulia Vialli, figura importante della sua vita, anche lei futura docente universitaria. Nel 1937 si laurea; la sua tesi riguarda le amate marmotte del monte Peller. Il 1º gennaio 1939 diviene Conservatore per la Paleontologia e la Geologia al Museo Civico di Storia Naturale di Milano.
Nel 1941, richiamato alle armi, è inviato al fronte greco-albanese con il grado di tenente di fanteria. In Albania combatte in trincea, mentre in Grecia, a Istmia, presso il canale di Corinto, è aggregato alla Marina Militare Italiana come responsabile del funzionamento strategico del canale, in qualità di geologo: è suo compito perlustrare tutti i giorni il territorio circostante; documenta inoltre fotograficamente le sponde del canale per controllarne lo stato di sicurezza. Il 21 maggio 1941 sposa per procura la diciassettenne Liana Mazzoldi, nata a Zara e figlia di un trentino, conosciuta a Milano, che sarà la compagna della sua vita.
L’8 settembre 1943, a Istmia viene catturato dai tedeschi e deportato, dopo un viaggio in carro bestiame durato 30 giorni, in vari lager in Polonia e in Germania.
Da quel momento a Vialli viene imposta una scelta: aderire con una semplice firma alla Repubblica fascista di Salò, e quindi essere rimandato immediatamente in Italia, libero, a combattere gli alleati a fianco dei nazisti; oppure rimanere prigioniero del nemico. Sceglie la seconda ipotesi, come del resto altri circa 650.000 soldati italiani.
Vialli ama la fotografia, per cui ha sempre con sé la sua Zeiss Super Ikonta con la quale ha già documentato la quotidianità della guerra in Grecia e in Albania; per lui fotografare non è soltanto un passatempo, ma uno strumento abituale per il suo lavoro scientifico. Egli sviluppa e stampa da solo per scegliere le sue inquadrature con un taglio personale; è quindi abituato a esprimersi attraverso immagini, senza bisogno di ricorrere a tante parole. E anche in questa drammatica occasione riesce a portare la macchina con sé, riuscendo fortunosamente a nasconderla durante le numerose perquisizioni; in seguito consegnerà la Zeiss, troppo ingombrante, a un militare tedesco della Wehrmacht, che gliela restituirà alla fine della guerra: Vialli d’ora in poi userà una piccola Leica, molto più maneggevole, fornitagli dal suo fedele amico e complice Vittorio Paccassoni.
Ed è stata questa piccola macchina a fargli scattare il desiderio irresistibile di beffare i tedeschi a rischio della propria vita e a dargli la forza di resistere per poter poi raccontare in un diario visivo, completo e per questo eccezionale, la sua verità, dal giorno della cattura a quello della liberazione, avvenuta nell’aprile 1945; con la macchina nascosta dentro al cappotto o nelle mutande insieme a un pugno di rullini, smontata e rimontata, finita in autoclave per ben due volte, avvolta in stracci, e tuttavia sempre funzionante, Vialli fotografa la vita quotidiana del campo, i suoi carcerieri, il fotografo tedesco che immortala gli internati, gli appelli al gelo, le conferenze, le messe, le lezioni universitarie organizzate dagli ufficiali nelle baracche, le sequenze di un assassinio perpetrato a sangue freddo da una sentinella tedesca, il comandante del lager, la radio clandestina.
All’inizio del 1945 gli italiani internati rifiutano anche il lavoro agricolo proposto: i tedeschi rispondono riducendo le razioni di cibo agli ufficiali. Si diffondono tubercolosi ed edemi da fame. Il 5 aprile arriva l’ordine di trasferimento solo bagaglio a spalla; due le destinazioni possibili: Buchenwald o Bergen-Belsen, ambedue campi di sterminio. Il trasferimento non avverrà: una divisione corazzata inglese è alle porte di Hannover.
Il 16 aprile 1945 Vialli esce dal campo e fotografa l’avanzata dei carri armati inglesi: l’unica fotografia che risulterà mossa per l’emozione. Documenta i 2.500 morti del cimitero italiano di Fallingbostel; si reca a Bergen-Belsen, situato a pochi chilometri di distanza; vede i forni crematori e le fosse comuni. Non ha più il coraggio di scattare: l’unica immagine è quella di una tomba di una quindicenne ebrea italiana che non ce l’ha fatta a sopravvivere alla soluzione finale. Poco dopo la liberazione, denutrito, pesa infatti 40 chili, si ammala di pleurite ed è costretto a rimanere nel campo di Bomlitz, trasformato in ospedale militare inglese, dove viene curato e trascorre la convalescenza. Poi il ritorno in Italia, passando per Merano, il 30 agosto 1945.
Ritornato a Milano riprende il lavoro di conservatore al Museo Civico di Storia Naturale, che nel frattempo è stato anch’esso bombardato; si occupa della sua ricostruzione, allestendo le prime sale didattiche e attuando importanti scambi di materiali fossili con varie nazioni. Nel frattempo, nel 1947 nasce la figlia Silvana, e nel 1953 il figlio Bruno.
Nel 1957 diventa vicedirettore del Museo di Storia Naturale di Milano. Dall'A.A. 1955-56 sino al 1960-61 tiene il corso di Geografia per Scienze Geologiche e Scienze Naturali presso l'Università di Milano. Nel 1958 consegue la libera docenza in Paleontologia. Nel 1961 vince il concorso per la neocattedra di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bologna, definita la più giovane cattedra della più antica università. Si trasferisce con tutta la famiglia nel capoluogo emiliano dove affiancherà la passione per la ricerca a quella dell’insegnamento, distinguendosi con il suo atteggiamento controcorrente e ostile verso la baronia universitaria dai poteri occulti. Sarà molto amato dagli studenti e stimato dai colleghi. Nel 1963 allestisce una sala didattica all’avanguardia, ancora oggi molto attuale e usata dagli studenti, a lui intitolata, presso il Museo Capellini. Nel 1965 è il responsabile del recupero di uno scheletro completo di balena fossile rinvenuto in val di Zena, nei pressi di Bologna. Attraversa indenne le turbolenze studentesche del 1968, comportandosi da uomo giusto e illuminato. Dal 1970 al 1980 ricopre la carica di direttore di Istituto e anche di direttore del Museo di Paleontologia Capellini. Nel 1979 Vittorio subisce un primo infarto. Il 5 febbraio 1983 Vittorio Vialli, dopo un secondo infarto, viene colpito da ictus e muore improvvisamente.
In questi anni pubblica parecchi articoli scientifici e due testi ancora oggi usati dagli studenti. Nel 1975, la moglie Liana, assieme ai figli Silvana e Bruno, lo spinge a pubblicare il primo libro Ho scelto la prigionia, contenente una parte delle foto scattate durante la prigionia. Liana lo aiuterà soprattutto nel difficile e doloroso lavoro di cernita, stampa e ricostruzione delle didascalie in rigoroso ordine cronologico. Per lui è un lavoro faticoso e soprattutto doloroso. Questo primo libro ha una distribuzione assai limitata. Nel 1982 l’ANEI con sede a Roma pubblica un secondo libro Ho scelto la prigionia, con le stesse foto ma migliorandone la qualità, con l’aiuto del figlio Bruno; tuttavia, questo volume addirittura non viene neanche venduto in libreria, ha una bassissima tiratura e un circuito limitato. Nel 2001 Il fondo Vialli, composto di più di 400 fotografie, viene donato dalla famiglia all’Istituto Storico Parri di Bologna.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 6534156677165233770009 · ISNI (EN) 0000 0003 5827 3426 · SBN CFIV056162 · GND (DE) 1222200392 |
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