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Il Vijñānavāda (detto anche Cittamātra o Yogācāra, cinese 瑜伽行派 Yújiāxíng pài o anche 唯識宗 Wéishì zōng, coreano Yugahaeng pa o anche Yusik jong, giapponese Yuishiki shū o anche Yugagyō ha, tib. Sems tsam pa, vietnamita Duy thức tông) è una scuola buddista indiana sorta nel III secolo che ha profondamente influenzato il Buddismo Mahāyāna sia nella sua versione tibetana che in quella cinese, coreana e giapponese.
La scuola ha, come la precedente scuola dei Mādhyamika, dei precisi testi di riferimento e un suo variegarsi in sottocorrenti. In ambito sino-giapponese le sue tesi hanno profondamente influenzato molte scuole, segnatamente la Huāyán (華嚴宗, Huāyán zōng, lignaggio giapponese Kegon), il Chán (禪宗, Chán zōng, lignaggio giapponese Zen) e lo Zhēnyán (眞言宗, Zhēnyán zōng, lignaggio giapponese Shingon), trovando una compiuta collocazione nella scuola Fǎxiāng (法相宗, Fǎxiāng zōng, lignaggio giapponese Hossō) fondata da Xuánzàng nel 645 dopo il suo ritorno dal viaggio in India.
La scuola Cittamātra si inserisce nel procedere ermeneutico dei Prajñāpāramitā Sūtra e nella loro interpretazione da parte della scuola che l'ha preceduta, il Mādhyamika.
Il sutra più antico della scuola Cittamātra è probabilmente il Saṃdhinirmocanasūtra. È in questo Sutra che compare la dottrina dei "Tre giri della Ruota del Dharma"[1]: il primo giro è rappresentato dall'insegnamento delle Quattro nobili verità[2], della Coproduzione condizionata[3] e dell'Ottuplice sentiero[4], insegnamenti che si conservano negli Āgama-Nikāya; il secondo giro è rappresentato dall'insegnamento della vacuità[5], che indica come privi di sostanzialità inerente a tutti i dharma costituenti la "realtà", insegnamento proprio dei Prajñāpāramitā Sūtra; il terzo giro è nell'insegnamento della coincidenza tra Saṃsāra[6] e Nirvāṇa[7] indicato nella scuola Mādhyamika.
Lo sviluppo dei 'giri' della Ruota del Dharma corrisponde, secondo la scuola Cittamātra, ai testi da interpretare e quelli da prendere alla lettera. I sūtra da interpretare (o provvisori) sono denominati in sanscrito neyârtha[8] mentre quelli dal significato chiaro (definitivi) sono denominati in sanscrito nītārtha[9].
Per il Madhyamaka sono già i Prajñāpāramitā Sūtra e i relativi commentari Mādhyamika ad essere definitivamente chiari, secondo i Cittamātra invece anche i Prajñāpāramitā Sūtra come gli Āgama-Nikāya devono essere interpretati, mentre solo a partire dal Saṃdhinirmocanasūtra gli insegnamenti risultano di per sé espliciti e rappresentano la dottrina definitiva[10]. Il nome e la dottrina di questa scuola sono ben rappresentati da una strofa di un altro sutra Cittamātra, il Samādhirājasūtra: «O figli dei Vittoriosi, i tre regni non sono altro che mente». La scuola Cittamātra sostiene infatti che i fenomeni, così come noi li percepiamo, non sono altro che mente, non esistono se non come apparenze. L'unica cosa realmente esistente è la coscienza[11]. L'ignoranza dell'uomo fa sì che egli creda non solo che questa coscienza sia un "soggetto" ovvero che abbia una sua identità permanente ma che esistano, con la stessa qualità, anche gli oggetti percepiti. Questa illusione viene sempre paragonata, in questa scuola e nei suoi Sutra, come "l'illusione di una magia", "illusione ottica", "miraggio", "sogno", "riflesso della luna sull'acqua", a una "eco", a una città "aerea", a un "fantasma". La vacuità (Śūnyatā) è, per i Cittamātra, la fine della differenza tra soggetto e oggetto e corrisponde al Risveglio (bodhi), mentre ciò che sperimentiamo nella coscienza illusa è il frutto del nostro karma[12]. Quindi la sede della vacuità è, per la scuola Cittamātra, la coscienza che è la sola ad esistere anche se sempre priva di identità inerente.
L'aver considerato la sede della vacuità la coscienza provocò l'accusa da parte di autori di scuola Mādhyamika nei confronti delle dottrine Cittamātra di essere sostanzialiste in quanto avrebbero "sostanziato" la vacuità nella coscienza (e da qui anche il famoso dibattito tra il mādhyamika Candrakīrti e il cittamātra Candragomin all'università di Nālandā durato sette anni senza che nessuno dei due prevalesse). In sostanza i Mādhyamika preferirono limitarsi alle due Verità: assoluta (sans. paramārtha-satya o śūnyatā-satya, cin. 空諦 kōngdì, giapp. kūtai, tib. don-dam bden-pa) e relativa (sans. saṃvṛti-satya, cin. 假諦 jiǎdì, giapp. ketai, tib. kun-rdzob kyi bden-pa), ritenendo quest'ultima "mondana"[13]. Per il Mādhyamika Candrakīrti, ad esempio, la Verità è quella assoluta della vacuità di tutto l'esistente (e non della coscienza "non soggettiva" dei Cittamātra). Mentre i Cittamātra accusavano i Mādhyamika di tendenze nichiliste in quanto ponevano, di fatto, il Dharma nel vuoto. La posizione Cittamātra, si fonda comunque sempre sulla fine esperienziale della distinzione soggetto-oggetto tipico di alcune pratiche meditative e quindi sulla realizzazione della tathātā (cin. 眞如 zhēnrú, giapp. shinnyo, tib. de bzhin nyid), della realtà così come è, facendo scomparire concetti e distinzioni.
La scuola Vijñānavāda pur prendendo avvio dal Saṃdhinirmocanasūtra venne sviluppata da due fratelli, Asaṅga e Vasubandhu (IV secolo). Le loro opere descrivono otto coscienze (âṣṭâvijñāna), sei coscienze dei sensi, una mentale contaminata dal karma detta kliṣṭamanas (cinese 染汚意 rǎnwū yì, giapp. zenmai, tib. nyon mongs pa can gyi yid, yid kun nas nyon mongs par byed pa) e l'ottava coscienza, l'ālayavijñāna incontaminata (cinese 阿賴耶識 ālàiyéshì, giapp. arayashiki, tib. kun gzhi rnam shes pa). Per Asaṅga e Vasubhandhu solo l'ottava coscienza, l'ālayavijñāna, che ricevendo come un ricettacolo i semi contaminati dalla settima coscienza, è quella assoluta che non muore ma rinasce di corpo in corpo fino alla liberazione (sanscrito bodhi). L'ālayavijñāna "non è né bene, né non bene" ed è comunque e sempre del tutto priva di soggettività. Dopo la morte di Vasubandhu, la scuola Vijñānavāda si svilupperà in due distinte branche: quella che continuerà l'opera più legata alla tradizione psicologico-abhidharmica dei due fratelli, rappresentata dalle opere di Sthiramati (VI secolo), Dharmapāla (VI o VII secolo), Vinītadeva (VII secolo, discepolo di Dharmapāla) e Xuánzàng (602-664); e quella che curerà un approccio più prettamente logico ed epistemico con Dharmakīrti (VII secolo) e Dignaga (fine IV secolo, discepolo di Vasubandhu), la quale però si indica solo sei coscienze: i cinque sensi più quella mentale, ritenendo quella mentale quella di base. A quest'ultimo indirizzo appartengono anche Sāntarkṣita (VII secolo, discepolo di Dharmakīrti) e Ratnakīrti (XI secolo, discepolo di Jñānaṡrīmitra).
Sempre nel Canone cinese (ma nello Yúqiébù) e nel Canone tibetano (nel Kangyur) vengono invece conservati:
Anche se non può essere considerata una delle opere principali della scuola Cittamatra ricordiamo l'Āryagambhīrasaṃdhinirmocanasūtraṭīkā del discepolo coreano di Xuánzàng, Wŏnch'uk (원측, cinese 圓測 Yuáncè, giapp. Enjiki, 613-696), un commentario del Saṃdhinirmocanasūtra che verrà tradotto in tibetano con il titolo di 'Phags pa dgongs pa zab mo nges par 'grel pa'i mdo'i rgya cher 'grel pa e collocato nel Tanjur a dimostrazione di come le opere di questa scuola, come quelle dell'avversaria Mādhyamika, spesso non avessero confini.
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