Venere di Milo
statua greca di epoca ellenistica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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L'Afrodite di Milo, meglio conosciuta come Venere di Milo, è una delle più celebri statue greche.
Venere di Milo | |
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Autore | Alessandro di Antiochia |
Data | 130 a.C. |
Materiale | Marmo pario |
Altezza | 202 cm |
Ubicazione | Museo del Louvre, Parigi |
Coordinate | 48°51′35.8″N 2°20′14.24″E |
Si tratta di una scultura greca di marmo pario alta 202 cm priva delle braccia e del basamento originale, che è conservata al Museo del Louvre di Parigi.
Sulla base di un'iscrizione riportata sul basamento andato perduto si ritiene che si tratti di un'opera dello scultore Alessandro di Antiochia anche se in passato alcuni la attribuirono erroneamente a Prassitele.
La Venere di Milo risale al 130 a.C. circa: è dunque un'opera ellenistica, sebbene si tratti di una scultura che fonde i diversi stili dell'arte del periodo classico.
Venne ritrovata spezzata in due parti nel 1820 sull'isola greca di Milo in un suo terreno da un contadino talvolta indicato come Georgios Kentrotas, altrimenti come Theodoros Kentrotas e più raramente come Botonis, di mestiere un "valutatore del valore dei campi", cioè qualcosa come un mediatore dell'epoca. Kentrotas nascose l'opera la quale fu poi tuttavia sequestrata da alcuni ufficiali turchi. Un ufficiale della marina francese, Olivier Voutier, ne riconobbe il pregio e grazie alla mediazione di Jules Dumont d'Urville e del Marchese di Rivière, ambasciatore francese presso gli Ottomani, riuscì a concluderne l'acquisto. Dopo alcuni interventi di restauro, la Venere di Milo fu presentata al re Luigi XVIII nel 1821 e collocata al museo del Louvre, dove è tuttora conservata.
La grande fama raggiunta dall'opera nel XIX secolo non fu dovuta soltanto alla sua bellezza e alla sua perfezione, ma anche alla "propaganda" delle autorità francesi. Nel 1815, infatti, la Francia dovette restituire la Venere de' Medici agli italiani, dopo che questa era stata portata in Francia tra le spoliazioni napoleoniche. La Venere di Milo, dunque, venne "sponsorizzata" dai francesi per rimpiazzare così la perdita dell'altra opera.[senza fonte]
Celebrata da artisti e critici, la Venere di Milo fu da molti considerata una delle più significative rappresentazioni della bellezza femminile; l'unico che si distinse fu Pierre-Auguste Renoir che la liquidò definendola "un gran gendarme".
La statua, che si ritiene raffiguri la dea greca Afrodite (Venere per i Romani) non presenta tuttavia segni caratteristici tali da permettere una sicura corrispondenza con la Dea (come ad esempio l'elmo di Atena o l'arco di Artemide). Per questo motivo, in epoca successiva alla sua attribuzione, si è ipotizzato che la statua potesse invece rappresentare la dea del mare Anfitrite, sposa di Poseidone, il cui culto era molto diffuso sull'isola di Milo al tempo in cui la statua venne scolpita.
La dea si leva stante col busto nudo fino all'addome e le gambe velate da un fitto panneggio. Il corpo compone una misurata tensione che richiama un tipico chiasmo di derivazione policletea. Il modellato è reso con delicate suggestioni chiaroscurali, col contrasto tra il liscio incarnato nudo e il vibrare della luce nei capelli ondulati e nel panneggio increspato della parte inferiore.
Non si conosce precisamente quale episodio mitologico della vita di Venere venga rappresentato: si ritiene possa essere una raffigurazione della Venus Victrix che reca il pomo dorato a Paride. Del resto, alcuni frammenti di un avambraccio e di una mano recante una mela sono stati ritrovati vicino alla statua stessa. In generale comunque colpisce l'atteggiamento naturale della dea, ormai lontana dalla compostezza "eroica" delle Veneri classiche dei secoli precedenti. Può essere accostata come atteggiamento alle statue di Afrodite di Capua e della Vittoria alata di Brescia.
Dopo il ritrovamento dell'opera, sono stati numerosi i tentativi di ricostruirne la posa originaria (una raffigurazione per opera di Adolf Furtwängler riproponente la forma originale dell'opera è pubblicata in un articolo di Kousser).
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