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Si definisce transizione di genere il percorso che porta un individuo a smettere di vivere secondo ruolo e fisionomia di genere relativi al genere biologico (sesso biologico) per arrivare a vivere pienamente nel genere in cui si identifica, che può essere maschile, femminile o non binario. In Italia il termine è riferito solitamente all'iter che comprende:
Il processo di transizione comprende quindi il momento del coming out (sia esso personale o rivolto ad altri), la graduale transizione sociale e l'eventuale percorso di riassegnazione sessuale (il desiderio di intraprendere una transizione medica non accomuna tutte le persone trans). Non necessariamente in questo ordine.
Il processo di transizione non è da confondersi in nessun modo con il crossdressing, in quanto quest'ultimo riguarda un'attività ludica improntata sull'espressione di genere, mentre la transizione si basa sull'identità di genere.
In Italia, dopo una mobilitazione del Movimento Identità Trans e dei Radicali[1][2], che sensibilizzò l'opinione pubblica sulla questione, si arrivò alla legge 164 del 14 aprile 1982[3]. Questa legge riconosce alle persone transessuali la loro condizione e ne riconosce il sesso di transizione. La legge recita all'art. 3:
«Il tribunale, quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, lo autorizza con sentenza. In tal caso il tribunale, accertata la effettuazione del trattamento autorizzato, dispone la rettificazione in camera di consiglio»
Nella teoria, dunque, nel caso il medico non ritenga necessario l'intervento chirurgico per raggiungere l'equilibrio, in Italia è possibile comunque ottenere il cambiamento dei dati anagrafici, come ha chiarito una sentenza del Tribunale di Roma nel 2012[4][5]. Nei fatti, si è sempre data una interpretazione rigida della legge e si è dunque sempre ritenuto necessario l'intervento chirurgico al fine dell'adeguamento dei dati anagrafici.
Come obiettivo di massima della mobilitazione da parte del Movimento Identità Trans e dei Radicali si considerò la legge tedesca (10 settembre 1980, I, nr.1654), che prevedeva due "tappe", chiamate soluzioni:
Nel dicembre 2022 in Spagna è stata approvata una legge [6] che consente il cambiamento del nome sui documenti senza dover intervenire chirurgicamente sul proprio corpo e senza procedure giudiziarie e senza terapia ormonale sulla base dell’autodeterminazione di genere.
In deroga alla legge n. 164/1982 (vigente al 2023) che prevede l'obbligatorietà dell'intervento chirurgico ai fini della riattribuzione del sesso anagrafico, con sentenza n. 221/2015 la Consulta ha stabilito che tale intervento non è più necessario né obbligatorio.[7] Anche la Cassazione si è pronunciata in tal senso.[8] Ciò consente alle unioni di coppie omosessuali di superare il divieto di adozioni, stante la possibilità per uno dei partner di registrarsi anagraficamente come persona del sesso opposto, risultando quindi una coppia eterosessuale a tutti gli effetti di legge.
L’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016 prevede espressamente che “la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”. Il comma 27 stabilisce l'instaurazione di unione tra persone dello stesso sesso qualora la transizione abbia avuto luogo in una coppia eterosessuale e le parti " abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili."[9] Tuttavia, nel primo caso, lo scioglimento dell'unione civile fra persone del medesimo sesso non dà automaticamente luogo al riconoscimento di un matrimonio civile, parificato a quello di una coppia eterosessuale.
Il tribunale di Trapani il 6 luglio 2023 ha riconosciuto a una donna transgender il diritto di cambiare nome e identità di genere all’anagrafe senza alcun intervento chirurgico effettuato o programmato e senza alcuna terapia ormonale; primo caso in Italia di una donna transgender riconosciuto dai giudici .
La legge 164 del 14 aprile 1982 non prevede un regolamento di applicazione, quindi - a oggi[non chiaro] - la procedura giudiziaria è frutto di un'interpretazione tendenzialmente condivisa, che lascia comunque ampi vuoti. La legge non descrive una "normalità" acclarata né una "diversità" certa da correggere, non si esprime in modo rigoroso e restrittivo, quindi dà luogo alla possibilità di non uniformarsi del tutto agli stereotipi di genere.
Si può osservare che rimane difficile eliminare ogni traccia che riguardi il nome e il sesso originari, nonostante sia questa un'intenzione alla base della legge: i curricula scolastici e accademici, alcuni attestati e certificazioni in alcuni casi non sono riscrivibili. E anche nel caso di figli biologici si rende impossibile la ri-certificazione.
Il più antico intervento di cui si abbia un resoconto storico (la cui veridicità è peraltro contestata) sembra essere quello cui Nerone sottopose un giovane liberto, Sporo, dalle fattezze muliebri e simili a quelle di Poppea. Dopo la morte di quest'ultima, Nerone lo avrebbe fatto castrare e rivestire di abiti e belletti femminili, unendosi con lui in un vero e proprio matrimonio. Tuttavia, non è possibile, attualmente, impiantare gli organi genitali nell'individuo che ha cambiato sesso, ma si può rimuovere il pene (transizione femminilizzante) o farsene trapiantare uno (transizione mascolinizzante).
Il primo intervento documentato di cambio di sesso riguarda Dora Richter che tra il 1922 e il 1931 si sottopose ad asportazione chirurgica dei testicoli, asportazione del pene e vaginoplastica. In seguito Lili Elbe, che si sottopose a intervento nel 1930, ispirò il libro e l'omonimo film da esso tratto, The Danish Girl.
Nel terzo millennio si è verificata un fenomeno crescente di transizione minorile, che ha portato a indagini a riguardo, sollevando come queste venissero effettuate su soggetti a rischio di problemi mentali, effettuando l'intervento anche senza il consenso dei genitori o giudici, ma solo dei medici e dei diretti interessati, costringendo il governo a chiudere la "Tavistock’s Gender Service" del Tavistock and Portman Nhs Foundation Trust di Londra[11], portando all'apertura di nuovi servizi esplicitamente pensati per minori[12][13]
Il primo intervento di de-transizione è avvenuto nel 1991 su Walt Heyer.[14]
Il fenomeno del pentimento alla transizione non è chiaro, principalmente per l'imprecisione della misura della de-transizione e del rimpianto dei casi più recenti con perdite di follow-up e i quali possono essere inadeguati, sull'affidamento su campioni di parte o campioni con scarsa generalizzabilità in quanto pur precisi, sono basati su casi poco recenti molto standardizzati e che non rappresentano una popolazione giovane[15], in alcuni casi l'analisi del fenomeno viene ostacolata[16] o si fa ricadere la colpa su chi si è sottoposto a interventi.[17]
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