Tommaso Ponzi, detto Tom (Pola, 25 settembre 1921 – Busto Arsizio, 9 maggio 1997), è stato un investigatore e criminologo italiano.
Biografia
Nel 1948 Tom fondò la Mercurius Investigazioni, che l'anno dopo viene ri-denominata Tom Ponzi investigazioni. Ebbe un rapido successo anche in campo internazionale: lavorò, tra gli altri, per Nelson Rockefeller, gli Agnelli, Enzo Ferrari, l'Aga Khan. Il noto investigatore accompagnò la vita italiana del dopoguerra, raccontando o indagando - soprattutto negli anni sessanta e primi anni settanta - i cambiamenti nella sfera privata, nella vita delle famiglie e nella società più in generale di un paese che sarebbe rapidamente diventato una delle maggiori potenze industriali.[1] Tom Ponzi fu per molti versi il primo in Italia a fare delle investigazioni una professione ad alto livello, passando negli anni dalle investigazioni matrimoniali a più complesse indagini industriali, patrimoniali e finanziarie. Tom Ponzi, secondo quanto dichiarato in un'intervista a Enzo Biagi dallo stesso[2], fu avviato inizialmente alla carriera investigativa dal famoso fotografo Elio Luxardo che gli prestò una sua macchina da scrivere. Divenne funzionario di prefettura nel periodo della Repubblica Sociale Italiana da cui venne in seguito epurato rimanendo senza lavoro.
Il primo incarico di rilievo fu per conto di Vittorio Valletta, l'allora amministratore delegato della FIAT, che gli affidò il compito del recupero crediti e il controllo della solvibilità dei clienti che acquistavano le prime automobili. Un settore molto importante è sempre stato quello delle indagini a carattere privato e, fra i clienti di Tom Ponzi, si può annoverare anche l'Aga Khan III, il nonno dell'attuale Karim Aga Khan IV, che dubitava fortemente della fedeltà della sua quarta moglie. Dopo ventitré giorni di sorveglianza all'Hôtel Negresco di Nizza, il rapporto dettagliato dell'investigatore privato arriva alla conclusione che Begum Om Habibeh Aga Khan, Miss Francia nel 1930, era una moglie assolutamente fedele.[3] L'Aga Khan fu molto contrariato per aver dilapidato una somma ingente in un'investigazione che non aveva dato alcun risultato e se la prese proprio con Ponzi, che però gli rispose a tono: "Se era una patente di cornuto che voleva, bastava chiederla".[4] Il fatto di aver lavorato per uno degli uomini più ricchi del mondo accrebbe notevolmente la popolarità dell'agenzia investigativa nel campo del jet set internazionale[5].
Nel 1949, gli viene affidato il primo caso importante da una grossa azienda e la stampa cominciò a interessarsi veramente di lui. La Star si era accorta che i suoi dadi da brodo venivano contraffatti, allora assoldò Ponzi che si mise a pedinare personalmente il furgone che consegnava ai negozi i dadi "truccati" e smascherò in breve tempo i truffatori. La sua reputazione si consolidò ulteriormente in tutti gli ambienti, e non solo in quelli investigativi, con un'altra indagine condotta a regola d'arte sempre nel campo della contraffazione, in questo caso dei medicinali Squibb ad opera di una banda che operava sia in Italia che fuori da essa. In seguito si occupò, sempre con successo, di un caso di contraffazione del profumo N. 5 di Chanel. Fra gli altri clienti illustri, è da segnalare, negli anni settanta, il senatore Vittorio Cini, mentre una squadra della Tom Ponzi era sempre presente ai box della scuderia Ferrari, per controllare eventuali sabotaggi. Più o meno nello stesso periodo, fa il suo ingresso in agenzia la figlia Miriam.[4] Nel 1982, in occasione del ventennale della testata Diabolik, le sorelle Giussani assoldarono Ponzi per ritrovare Zarcone, il disegnatore che illustrò il primo numero del fumetto (Il re del terrore) per poi sparire misteriosamente, ma in questo caso Ponzi non ebbe successo.[6]
La vicenda di Terrazzano
È noto, nel 1956, il suo intervento nella scuola elementare di Terrazzano, dove due balordi avevano sequestrato un centinaio di alunni e tre maestre: assieme all'operaio Sante Zennaro, riuscì a penetrare nell'edificio e a disarmare i malviventi. La vicenda si concluse però con l'uccisione di Zennaro, colpito per errore dalle forze dell'ordine. Zennaro fu insignito della medaglia d'oro al valor civile, mentre Ponzi non ottenne alcun riconoscimento (secondo quanto dichiarato dal fratello Angelo in un'intervista, a causa delle sue esplicite simpatie fasciste). Ponzi affermava inoltre di essere stato testimone delle manomissioni della scena da parte dei poliziotti, che intendevano occultare le loro responsabilità attorno alla morte dell'operaio[7][8][9], ucciso, secondo Ponzi, dalla forze dell'ordine perché scambiato per uno dei rapitori.
Una sorta di riconoscimento ufficiale si ebbe da parte del procuratore della Repubblica Mauro Gresti, che il 5 ottobre 1984 scriveva al questore di Milano:
«Risponde effettivamente al vero l'affermazione contenuta nell'esposto [inviato da Tom Ponzi il 4 luglio precedente]: che cioè il Ponzi ebbe in occasione del tragico episodio di Terrazzano un comportamento estremamente coraggioso e di collaborazione fattiva con le forze dell'ordine[8]»
La latitanza in Francia
Nei primi anni settanta fu coinvolto in un vasto scandalo giudiziario con l'accusa di aver pianificato una vasta rete di intercettazioni non autorizzate ai danni della Montedison e di alcuni esponenti politici.[3] Tom Ponzi riuscì a fuggire a Nizza prima dell'arresto, dove rimase sei anni. Tornato in patria, fu assolto con formula piena[7]. In quell'occasione, tuttavia, gli fu ritirata la licenza di investigatore e non riuscì più a riottenerla; lo stesso Ponzi dichiarava di essere vittima di una persecuzione a causa della vicenda di Terrazzano. Poté in qualche modo continuare a occuparsi della sua agenzia investigativa intestandola ai figli[2][8][9][10].
Carriera cinematografica
Tom Ponzi ebbe anche un ruolo di attore nel piccolo schermo: nel 1970 interpretò il commissario Sciancalepre nella miniserie Rai I giovedì della signora Giulia, ispirati all'omonimo romanzo di Piero Chiara[7].
La morte
Gravemente malato di diabete, Tom Ponzi si ritirò negli anni novanta e morì all'ospedale di Busto Arsizio nel 1997[7].
Le contese sul marchio e questioni giudiziarie
Al momento del ritiro di Tom dalle scene dell'investigazione, sono sorti dei forti attriti tra vari membri della sua famiglia attorno all'utilizzo del marchio della storica Tom Ponzi investigazioni. La disputa ha riguardato nello specifico il fratello Tony e la figlia Miriam, titolari entrambi di due diverse agenzie investigative[11].
Negli anni dopo la sua morte si sono sviluppate diverse dispute anche giudiziarie, che in particolare hanno coinvolto la figlia Miriam, circa l'uso del nome e per la proprietà del dominio web e la gestione dell'agenzia che porta il nome del padre. Oggi esistono infatti numerose agenzie di investigazione in Italia che si rifanno al marchio "Ponzi" e che non sono direttamente collegate all'agenzia dello storico investigatore. Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 16 settembre 1994, R.G. 56782/94, ha stabilito che in considerazione della prolungata attività di diversi soggetti, ciascuno dei quali facente uso del cognome Ponzi, nessuno di essi possa vietare agli altri di utilizzare il marchio Ponzi. Ha imposto anche che si facesse chiarezza sulle differenze tra le varie agenzie, per evitare di confonderle. Il garante della pubblicità ingannevole poco dopo impose alla Tony Ponzi di Roma di modificare il logo per rendere palese la non appartenenza alla società di Tom Ponzi.
Nel 2015 la figlia Miriam, dopo essere stata arrestata nel 2012 su ordine della Procura della Repubblica di Milano, è stata condannata dal Tribunale di Milano a 4 anni e 3 mesi di reclusione per corruzione e bancarotta della società di investigazioni Miriam Tom Ponzi, oltre ad essere stata interdetta per 10 anni dalla guida di società.[12][13].
Note
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