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storico bizantino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Teofilatto Simocatta (in greco antico: Θεοφύλακτος Σιμοκάττης?, Theophýlaktos Simokáttes, o semplicemente Simokattes; Alessandria d'Egitto, 580 circa[1] – dopo il 640) è stato uno storico bizantino del VII secolo.
Nato in Egitto, forse in Alessandria[2], studiò legge in un luogo non meglio precisato. Entrato a corte, divenne prefetto e segretario dell'Imperatore Eraclio.
Scrisse, oltre alle Storie, chiamate anche Storia Universale («Οἰκυμενικὴ ἱστορία»),[2][3] altre opere minori:
L'opera principale di Teofilatto Simocatta sono, appunto, le Storie in cui narra (in otto libri) i venti anni di regno dell'Imperatore Maurizio (582-602).
L'opera si apre con un proemio che narra di un dialogo tra la Filosofia e la Storia, quest'ultima risorta dopo la fine della tirannide di Foca (l'assassino di Maurizio) e l'ascesa al potere di Eraclio. I primi libri narrano per lo più della guerra romano-persiana del 572-591 a partire dall'ascesa al trono di Maurizio (quindi a partire dal 582). Nel III libro tuttavia, dopo aver narrato l'inizio della ribellione di Bahram Chobin, interrompe la narrazione per narrare gli inizi della guerra persiana, dal 572 fino all'ascesa dell'Imperatore Maurizio.[7]
I Libri IV e V narrano la sconfitta dell'usurpatore Bahram e la fine della guerra persiana. I libri VI e VII sono concentrati sulla guerra balcanica contro gli Avari e gli Slavi, mentre il libro VIII narra la tragica fine del regno di Maurizio, assassinato da una ribellione dell'esercito che elesse come imperatore Foca, descritto a tinte fosche da Simocatta.[8] Dopo la tragica scena dell'uccisione di Maurizio, Teofilatto scrive che mentre leggeva al pubblico quella parte dell'opera, tutti si misero a piangere e allora lui decise di recitare un'orazione in cui deplorava il crimine orrendo che era stato commesso con l'uccisione di Maurizio.
Gli ultimi capitoli narrano sinteticamente che il sovrano di Persia Cosroe II usò come pretesto l'assassinio di Maurizio per dichiarare guerra all'Impero e lodano Eraclio per il fatto che, dopo aver vendicato l'assassinio di Maurizio detronizzando Foca, nel 628 riuscì a vincere i Persiani imponendo loro una pace vantaggiosa all'Impero. Nei capitoli finali, infatti, si descrive la guerra intrapresa dell'imperatore Eraclio I contro i Persiani Sasanidi (602-628), anche se non ricorda gli Arabi che strapparono a Costantinopoli (a partire dal 634) la Siria, la Palestina e l'Egitto e, più tardi, il Nordafrica.
Simocatta usa come fonti archivi, relazioni di ambasciatori, testimonianze orali, fonti scritte; tra l'altro, descrive con precisione gli usi e costumi di Avari e Turchi, i vari popoli barbari che erano entrati in contatto con l'Impero. Del resto, il suo lavoro, che pure ha un minore spessore rispetto a quello di Procopio di Cesarea, è un'importante fonte d'informazioni sul tardo VI secolo e, in particolare, su come i Bizantini videro e giudicarono Slavi e Persiani.[9] Inoltre, oltre a questi excursus geografici, la narrazione degli eventi è spesso interrotta anche da aneddoti e prodigi, in linea con l'interesse paradossografico e aneddotico mostrato dalle opere minori.
Lo stile, in linea con le tendenze retoriche dell'epoca, è alto, pieno di metafore e circonlocuzioni, come rilevava già Fozio:[10]
«Il suo stile ha qualche cosa di elegante, anche se, abusando di voci figurate e allegorie, cade in una certa freddezza e in inezie puerili. Insomma, quel suo poco opportuno interporre tante massime dimostra una diligenza tanto studiosa che va oltre il bisogno.»
La prima traduzione latina di Simocatta fu composta da Niccolò Copernico: il libro, oggi estremamente raro, fu stampato a Cracovia nel 1509.[11]
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