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Supplizio della ruota
forma di tortura corporale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Il supplizio della ruota era una forma di tortura e di pena capitale usata in Europa nel Medioevo e nei secoli seguenti.[non chiaro]

«Condotti al luogo del patibolo, le siano dal carnefice con una ruota ben ferrata spezzate ad uno ad uno tutte le ossa principali del corpo del cranio della testa in poi, poiché possino i loro corpi intessuti vivi fra i raggi di detta ruota, e poiché in essa fra quelli accerbi cruciati in pena della sua scelleratezza ad esempio dei simili mostri di crudeltà avranno vomitata quella anima infelice, che informava quel corpo scelerato, sia quell'infame cadavere come peste del mondo gettato nelle fiamme e ridotto in minima polvere che sparsa nell'acqua di un vicino fiume, si disperda, non convenendo che qualsivoglia minima parte di lui abbia sepoltura in quella città o luogo, che avrà così empiamente tradito.»
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Varianti nel metodo di esecuzione
Il condannato era legato per i polsi e le caviglie ad una grande ruota e con una mazza gli venivano rotte le ossa di braccia e gambe. Talvolta al condannato poteva venire dato il colpo di grazia sullo sterno oppure veniva lasciato vivo per ore esposto al pubblico prima di essere ucciso[1].
In altre circostanze la persona che aveva commesso il crimine era legata sulla ruota che veniva fatta girare per indurre nausea e vomito. Se la rotazione era veloce e prolungata il suppliziato poteva soffrire di disturbi circolatori. Questa forma di tortura raramente si rivelava mortale.
In alcuni casi sotto la ruota del supplizio venivano messe delle punte su cui gli arti del condannato, durante la rotazione, venivano lacerati, inducendo così la morte per dissanguamento.
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Condannati al supplizio della ruota
Al supplizio della ruota era stata destinata santa Caterina d'Alessandria, ma, secondo la tradizione cristiana, lo strumento di tortura venne miracolosamente rotto, e a tale figura è legata la ruota nell'iconografia cristiana.[2]
Tra i condannati a questo supplizio si ricordano: Federico di Isenberg (o Federico II conte di Altena) nel 1226, Peter Stubbe pluriomicida tedesco, Francesco Arcangeli, assassino di Johann Joachim Winckelmann; Jasper Hanebuth nel 1653[3], assassino seriale tedesco e, in epoca precedente, i presunti untori Gian Giacomo Mora, Guglielmo Piazza ed altre persone accusate di aver diffuso la peste in Milano nell'anno 1630, la stessa epidemia che Alessandro Manzoni descrive ne I promessi sposi e in Storia della colonna infame; Jean Calas nel 1762, di cui Voltaire riporta l'affare nel suo celeberrimo Trattato sulla tolleranza, esponendo la vicenda per la sua eloquente crudeltà e ingiustizia. [4]
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Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni
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