Selinunte
città della Sicilia antica e sito archeologico nel comune italiano di Castelvetrano (TP) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Selinunte (in greco antico: Σελινοῦς?, Selinùs; in latino Selinus) era un'antica città siceliota situata sulla costa sud-occidentale della Sicilia, nell'odierna provincia di Trapani; è il parco archeologico più esteso d'Europa[1][2][3]. I ruderi della città si trovano nel territorio del comune di Castelvetrano, nei pressi della foce del Belice.
Selinunte Σελινοῦς, Selinùs | |
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Colonne del tempio C, sull'acropoli | |
Civiltà | Greca |
Utilizzo | Città |
Stile | Dorico |
Epoca | V-III secolo a.C. |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Comune | Castelvetrano |
Dimensioni | |
Superficie | 3 770 000 m² |
Amministrazione | |
Patrimonio | Beni Culturali Regione Siciliana |
Ente | Parco Archeologico di Selinunte, Cave di Cusa e Pantelleria |
Responsabile | Dirigente del Servizio - Dott. Felice Crescente |
Visitatori | 204 397 (2022) |
Sito web | parchiarcheologici.regione.sicilia.it/selinunte-cave-cusa-pantelleria/ |
Mappa di localizzazione | |
Nel sito archeologico, sull'acropoli vi sono alcuni templi insieme ad altre costruzioni secondarie, mentre altri templi si trovano su una collina poco lontana[4]. Le sculture trovate negli scavi di Selinunte si trovano soprattutto nel museo nazionale archeologico di Palermo; fa eccezione l'opera più famosa, l'Efebo di Selinunte, che oggi è esposto presso il museo civico di Castelvetrano.
Selinos: statere | |
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Foglia di selinon. Alla base una testa di pantera | Quadrato incuso |
AG - 9,08 g |
Selinunte, chiamata dai greci Selinùs, deriva il suo nome da σέλινον (sélinon), il sedano che tuttora vi cresce selvatico, divenuto simbolo della monetazione della città. La città ebbe una vita breve (circa 240 anni). In questo periodo la sua popolazione crebbe fino a raggiungere i 100.000 abitanti[5]. Lo stato in cui si presenta oggi la città non è dovuto solo alla sua distruzione ad opera dei Cartaginesi, ma anche a terremoti, a secoli di incuria e di gravi spoliazioni.
Selinunte, sottofondazione di Megara Hyblea, fu fondata nel 650 a.C. (Diodoro Siculo)[6][7] lungo la costa del Mar Mediterraneo, tra le due valli del Belice e del Modione, su un luogo non interessato da precedenti insediamenti indigeni. Selinunte fondò a sua volta nel 570 a.C. Heraclea Minoa presso la foce del suo estremo confine meridionale, il fiume Platani. Raggiunse velocemente il suo massimo splendore nel VI e V secolo a.C.; la sua ricchezza era forse dovuta al dominio che esercitava su un vasto territorio[8]. Selinunte è la colonia greca più occidentale della Sicilia, a diretto contatto con l'area occupata dai Cartaginesi; tutta la sua storia è condizionata da questa posizione di confine, fino al dissolvimento del problema con la conquista romana della Sicilia.
Dapprima in buoni rapporti con i Cartaginesi[9], dopo la loro disfatta nella Battaglia di Imera (480 a.C.), Selinunte strinse alleanza con Siracusa, cui rimase fedele.
La sua politica di espansione territoriale verso Segesta causò diverse guerre: il primo scontro avvenne nel 580 a.C. dal quale Segesta uscì vittoriosa. Nel 415 a.C. Segesta chiese aiuto ad Atene perché intervenisse contro l'intraprendenza selinuntina supportata da Siracusa. Gli ateniesi presero come pretesto la richiesta di Segesta per intraprendere una grande spedizione in Sicilia attaccando per prima Siracusa alleata di Selinunte. Dalla battaglia di Siracusa, Atene ne uscí disastrosamente sconfitta. Segesta, indebolita dalla sconfitta ateniese, minacciata da Selinunte, chiese allora aiuto a Cartagine: nel 409 a.C. i Cartaginesi, sbarcati in Sicilia con un esercito di 5.800 uomini al comando del generale Annibale Magone (figlio di Giscone),[10] colsero di sorpresa la città che cadde, dopo soli nove giorni di assedio, prima che potessero giungere i soccorsi da Siracusa e da Agrigento. Selinunte venne saccheggiata e distrutta, 16.000 cittadini selinuntini furono uccisi, 5.000 fatti schiavi, 2.600 riuscirono a fuggire ad Agrigento.
Ripopolata con i suoi profughi e con altre popolazioni che il fuoriuscito siracusano Ermocrate vi condusse, Selinunte fu ricostruita (comprese le mura) nella sola area dell'acropoli, divenendo per alcuni anni il quartier generale di Ermocrate dal quale partivano le sue azioni belliche contro le città puniche. Alla morte di questo, Selinunte perse definitivamente la sua importanza politica; venne rioccupata dai cartaginesi – occupazione confermata, del resto, in tutti i successivi trattati greco-cartaginesi – quindi da Pirro (276 a.C.), fino alla definitiva evacuazione della sua popolazione da parte dei Cartaginesi a Lilibeo durante la I Guerra Punica (250 a.C.), e all'assorbimento del suo territorio nei domini romani.
Selinunte non fu più riabitata: le foci intasate dei fiumi resero la zona malsana, dissuadendo così nuovi insediamenti[11]. Si sa infatti che Selinunte era disabitata già alla fine del I secolo a.C. (Strabone).[12] Successivamente la città fu interessata solo ancora in modo episodico da insediamenti, per altro molto modesti (e.g. nell'alto medioevo divenne dimora di eremiti e comunità religiose). Il colpo di grazia, infine, le fu inferto da un violentissimo terremoto che, in epoca bizantina (VI-IX secolo), ridusse i suoi monumenti a un cumulo di rovine. Un ultimo vano tentativo di farla rinascere fu fatto in epoca araba (IX-XI secolo) - il cronista Edrisi la chiama "Rahl'-al-Asnam" cioè "villaggio dei pilastri" - dopo di che di Selinunte si perse pure la memoria.
Reidentificata soltanto nel XVI secolo, per opera del teologo e archeologo Tommaso Fazello,[13] religioso dell'Ordine dei predicatori. Lo studioso documentatore effettuò l'attenta rilettura dei testi di Erodoto, Diodoro Siculo,[7] Eusebio, Tucidide,[14] Empedocle, Diogene Laerzio,[15] Strabone, Pausania,[16] Tolomeo, Plinio.[12] Dopo una prima ricognizione a Mazara del Vallo compiuta per la quaresima del 1549, approfondì ulteriormente gli studi sui libri di Diodoro e le gesta di Annibale Magone.[10] Nell'ottobre del 1551, attraverso la descrizione dei particolari topografici, individuò ed identificò univocamente con la terra di Lipulci[17] le rovine di Selinunte, distinguendole dalle architetture di Mazara e dagli immediati centri abitati del comprensorio nel raggio di decine miglia.
Nel 1779, nonostante un decreto di re Ferdinando III di Sicilia vietasse lo smantellamento delle sue rovine (usate dagli abitanti della zona come cave di pietra), le devastazioni proseguirono fino a quando il governo italiano non vi pose una custodia permanente. I primi saggi e scavi furono eseguiti nel 1809 da parte degli inglesi. Nel 1823, due architetti inglesi, Samuel Angell e William Harris, iniziarono a scavare a Selinunte nel corso del loro tour in Sicilia e si imbatterono in diversi frammenti delle metope dal tempio arcaico oggi chiamato come “Tempio C.” Benché le autorità borboniche avessero cercato di fermarli, costoro continuarono il loro lavoro e cercarono di spedire i loro reperti in Inghilterra, per il British Museum. Nell'ombra delle attività di Lord Elgin, le spedizioni di Angell e Harris furono bloccate e dirottate a Palermo dove da allora si conservano nel Museo archeologico.[18]
Selinunte viene detta da Diodoro (XIII, 44) città ricca e popolosa. Ciò è confermato dall'estensione del suo abitato, dalla vastità delle sue necropoli, e anche da alcune epigrafi. La cifra di 23.600 persone tramandataci a proposito della distruzione di Selinunte non sembra una cifra fantasiosa, eppure pone il problema della sua reale comprensione ed entità. Non è ben chiaro che cosa si intendesse per 23.600 persone, ossia se fossero solo cittadini maschi, oppure l'intera popolazione. Si tramanda che Ermocrate, dopo pochi mesi dalla distruzione di Selinunte, avesse messo su un esercito di 6.000 uomini – per quanto potesse averlo incrementato con altri fuoriusciti – quando i profughi sopravvissuti erano stati appena 2.600. Purtroppo il limite delle fonti antiche è dato proprio dal fatto che esse parlano generalmente di cittadini, e non di popolazione; come pure disattendono al rapporto fra territorio agricolo e area cittadina, rapporto per altro cangiante anche da zona a zona e da un'epoca all'altra. Per quanto possa essere verosimile che sotto il numero di 23.600 siano da intendersi "cittadini maschi adulti", qualsiasi valutazione sulla reale consistenza numerica della popolazione di una città greca antica non può che basarsi su congetture e stime grossolane.
È tra le prime città della Sicilia a coniare monete, datate intorno al 550-530 a.C., all'incirca nelle stesso periodo di Himera. Nelle prime coniazioni Selinunte, come Himera, usa la tecnica del quadrato incuso, tecnica caratteristica di monetazione greca arcaica. Al dritto è rappresentata la foglia di sedano, ("tipo parlante"); al rovescio vi è il quadrato incuso.
La monetazione subirà un'interruzione nel 480 a.C., in coincidenza della sconfitta dei cartaginesi, da loro appoggiati, nella battaglia di Imera. Le emissioni ripresero verso il 461 con lo stesso piede monetario di Siracusa, ossia un tetradramma dal peso di 17,40 g. Come tipi della nuova moneta adotterà al dritto la quadriga con Apollo e Artemide, al rovescio la personificazione del fiume Selinus nell'atto di fare un sacrificio.
La topografia della città si presenta piuttosto articolata. La città è in riva al mare, fra due fiumi (il Modione-Selino ad ovest, e il Cottone a est), posta sopra due alture unite da un istmo: la parte di città a sud ospita l'acropoli (caratterizzata dall'incrocio di due strade principali e da numerosi templi: A, B, C, D, O); quella a nord ospita l'abitato (di schema ippodameo) contemporaneo all'acropoli, e due necropoli (in località Galera-Bagliazzo e Manuzza). Altre importanti vestigia vi sono ai lati della città sulle alture oltre i fiumi: a est vi sono tre templi (E, F, G) e una necropoli (località Buffa) situata a nord dell'attuale villaggio Marinella; ad ovest vi sono gli insediamenti più antichi di Selinunte: il santuario della Malophòros e la necropoli arcaica (in località Pipio, Manicalunga, Timpone Nero). I due porti che la città aveva si trovano in corrispondenza delle foci dei fiumi.
Il parco archeologico di Selinunte è stato istituito dalla Regione Siciliana nel 2013[19]. Ha un'estensione di circa 270 ettari[20] ed è divisibile nelle seguenti aree[21]:
Gli ingressi al parco sono due. Uno dal lato est dalla frazione di Marinella di Selinunte (collina orientale), e uno dal lato ovest dalla frazione di Triscina di Selinunte (santuario della Malophòros).
L'Acropoli è un altopiano calcareo che a sud è a strapiombo sul mare, mentre a Nord si restringe fino a m 140. L'insediamento, di forma grossomodo trapezoidale, fu ampliato verso nord alla fine del VI secolo a.C. con un formidabile muraglione a gradini (altezza m 11 circa), e circondato da mura – più volte restaurate e modificate – formate da cortine in blocchi squadrati con un riempimento di pietrame (emplècton), e scandite da 5 torri e 4 porte. A nord, l'acropoli presenta delle fortificazioni (vedi sotto) con contromuro e torri, databili all'inizio del IV secolo a.C.
Presso l'ingresso all'acropoli vi è la cosiddetta Torre di Polluce che fu costruita nel XVI secolo contro i corsari, sui resti di una torre o faro antico.
L'impianto urbano è suddiviso in quartieri da due strade principali (larghezza m 9) che si incrociano ad angolo retto (quella nord-sud lunga m 425; quella est-ovest lunga m 338), intersecate a loro volta – ogni m 32 – da altre vie minori (larghezza m 5). Questa sistemazione urbanistica – che riproduce quella più antica – risale però al IV secolo a.C., cioè alla Selinunte punica.
Ai primi anni della colonia, invece, sono da attribuire diverse aree e piccoli santuari innalzati sull'acropoli, sostituiti circa cinquant'anni più tardi da templi più grandi e duraturi; il primo di essi sembra sia stato il cosiddetto mègaron nei pressi dei Templi B e C.
Ancora incerta resta la localizzazione dell'agorà (che invece altri studiosi ipotizzano che si trovasse a nord nell'area del centro abitato).
Davanti al Tempio O si è rinvenuta un'area sacrificale punica – posteriore alla conquista del 409 a.C. – caratterizzata da ambienti costruiti con muretti a secco, all'interno dei quali erano depositati vasi contenenti ceneri, e anfore a siluro di tipo cartaginese.
Sulla collina dell'acropoli sono stati rinvenuti i resti di numerosi templi di ordine dorico[21].
A 34 metri ad est del Tempio A vi sono i resti dell'ingresso monumentale all'area: si tratta di un propileo con pianta a forma di T, consistente in un corpo avanzato rettangolare (di m 13 x 5,60) con peristilio di 5 x 12 colonne, e in un altro corpo pure rettangolare (di m 6,78 x 7,25).
A est del Tempio C vi è il suo grande altare rettangolare (lunghezza m 20,40; larghezza m 8) di cui restano le fondazioni e qualche gradino, e poi l'area dell'Agorà ellenistica; poco oltre i resti delle case, la terrazza è limitata da un portico dorico (lunghezza m 57; larghezza m 2,80) che si affaccia su un imponente tratto del muro di sostegno dell'acropoli.
Intorno ai Templi C e D vi sono le rovine di un villaggio bizantino del V secolo d.C., costruito con materiale di recupero. Il fatto che alcune case risultavano sepolte dal crollo delle colonne del Tempio C, ha dimostrato che il terremoto che ha portato al crollo dei templi selinuntini deve essere avvenuto in epoca altomedievale.
Verso nord l'acropoli presenta due quartieri della città (uno a ovest ed l'altro ad est della grande strada nord-sud), ricostruiti da Ermocrate dopo il 409 a.C.: le case sono modeste, edificate con materiali di recupero; alcune di esse mostrano delle croci incise, segno che furono adoperate come edifici cristiani o da parte di cristiani.
A nord, prima di raggiungere l'abitato, vi sono le grandiose fortificazioni a difesa dell'acropoli. Si articolano come una lunga galleria (originariamente coperta), parallela al tratto delle mura nord, con numerosi passaggi chiusi ad arco, seguita da un profondo fossato difensivo varcato da un ponticello, e con tre torri semicircolari ad ovest, nord e ad est. Girando all'esterno della torre nord – con un deposito di artiglieria alla base – si entra nella trincea rettilinea est-ovest con passaggi in entrambe le pareti. Le fortificazioni, attribuibili solo in piccola parte alla città antica, sono da riferire sostanzialmente alle ricostruzioni di Ermocrate e a interventi successivi (IV-III secolo a.C.). Infatti vi furono reimpiegati degli elementi architettonici, che dimostrano che alcuni dei templi erano stati abbattuti già nel 409 a.C.
A nord dell'acropoli, sulla collina di Manuzza, la strada moderna (strada 6) traccia il confine di un'area di forma grossomodo trapezoidale in cui si presume si dovesse trovare anche l'agorà. Tutta l'area era occupata dall'abitato di schema ippodameo – riconosciuto con fotografie aeree – lievemente divaricato rispetto all'asse dell'acropoli, ma con isolati allungati di m 190 x 32 rigorosamente orientati nord-sud, che originariamente era cinto da un muro difensivo. Nell'area non sono stati fatti ancora degli scavi sistematici, ma solo dei saggi i quali hanno comunque confermato che il luogo era abitato fin dalla fondazione di Selinunte (VII secolo a.C.), e che dunque non si tratta di una fase successiva di espansione della città. Dopo la distruzione di Selinunte, quest'area della città non fu più riabitata; i profughi tornati al seguito di Ermocrate, si insediarono unicamente sull'acropoli, in quanto era più facilmente difendibile.
Sulla collina Manuzza nel 1985 è stata rinvenuta una costruzione in tufo, probabilmente un edificio pubblico risalente al V secolo a.C.[21].
A nord infine, oltre l'abitato, stanno due necropoli: quella di Manuzza e quella più antica (VII-VI secolo a.C.) in località Galera-Bagliazzo.
Sulla collina orientale vi sono tre templi che, benché disposti lungo lo stesso asse nord-sud, tuttavia non sembra avessero un unico recinto sacro (tèmenos), come dimostrerebbe il muro di separazione esistente fra il Tempio E ed il Tempio F. Questo complesso sacro ha fortissime analogie con le pendici occidentali dell'acropoli Caria di Megara Nisea, madrepatria di Selinunte, elemento prezioso, forse indispensabile, per un discorso corretto sull'attribuzione dei culti praticati nei vari templi.
Ai piedi della collina, alla foce del fiume Cottone vi è il porto est; esteso per m. 600 circa verso l'interno e guarnito probabilmente da un molo o da una diga che si protendeva dall'acropoli, subì nel IV-III secolo a.C. delle trasformazioni: infatti fu allargato e fiancheggiato da banchine (orientate nord-sud) e da depositi. Dei due porti di Selinunte – attualmente insabbiati – il porto W, posto alla foce del fiume Selino-Modione, era quello principale.
I quartieri extra moenia, collegati alle attività emporiche, commerciali e portuali, erano sistemati invece su grossi terrazzamenti lungo le pendici della collina.
A nord dell'attuale villaggio Marinella, infine, si trova una necropoli in località Buffa.
Sulla collina occidentale vi si giunge per un sentiero che parte dall'acropoli ed attraversa il fiume Modione.
In contrada Gàggera si incontrano i resti del più antico santuario selinuntino dedicato alla dea della fertilità, il Santuario di Dèmetra Malophòros, scavato a più riprese fra il 1874 ed il 1915. Costruzione complessa, molto rimaneggiata ed altrettanto danneggiata, fu eretta nel VI secolo a.C. sul declivio sabbioso della collina; serviva probabilmente da stazione dei cortei funebri che proseguivano poi per la necropoli di Manicalunga.
Agli inizi il luogo, sicuramente privo di qualsiasi costruzione, prevedeva pratiche cultuali all'aperto intorno a qualche ara; solo in seguito all'erezione del tempio e dell'alto muro di recinzione (tèmenos), esso fu trasformato in santuario.
Questo consiste in un recinto quadrangolare (m 60 x 50) al quale si accede sul lato E attraverso un propileo quadrato in antis – costruito nel V secolo a.C. – preceduto da una piccola gradinata e da una struttura circolare; all'esterno del muro di recinzione, il propileo è affiancato dai resti di un lungo porticato (stoà) fornito di sedili per i pellegrini, davanti al quale si evidenziano diversi altari o donarii. All'interno del temenos, invece, al centro, vi è il grande altare (lunghezza m 16,30; larghezza m 3,15), rinvenuto colmo di ceneri, di ossa animali e di altri resti di sacrifici; esso mostra un'aggiunta verso sud-ovest, mentre i resti di un precedente altare arcaico sono visibili presso la sua estremità nord-ovest, ed un pozzo quadrato è posto in direzione del tempio. Tra l'altare ed il tempio vi è inoltre un canale in pietra che, provenendo da N, attraversa tutta l'area portando al santuario acqua da una vicina sorgente.
Subito oltre il canale vi è il vero e proprio Tempio di Demetra a forma di mègaron, (lunghezza m 20,40; larghezza m 9,52), privo di basamento e di colonne, con pronao, cella e adyton con nicchia voltata nella parete di fondo; un ambiente di servizio rettangolare si appoggia al lato nord del pronao. Il mègaron ebbe una fase più antica, riconoscibile però solo a livello di fondazione. A sud del tempio vi sono una struttura quadrata e una struttura rettangolare a ridosso del muro di cinta, di non chiara funzione; a nord del tempio, un'altra struttura a due vani, comunicante sia con l'interno sia con l'esterno del recinto sacro, costituisce forse un ingresso secondario al tèmenos, rimaneggiato in epoca tarda.
Del muro di recinzione, il lato sud fu periodicamente rinforzato per trattenere le spinte del terreno sabbioso. A sud del propileo, addossato al muro di cinta, vi è un recinto dedicato ad Ecate[24]: di forma quadrata, il sacello è posto nell'angolo E presso un ingresso al recinto, mentre nell'angolo sud vi è un piccolo spazio quadrato pavimentato a lastre, di ignota destinazione. A m 15 in direzione nord, un altro recinto quadrangolare (m 17 di lato) è dedicato a Zeus Meilìchios e Pasikràteia (Zeus "dolce come il miele" e Persefone): molto rimaneggiato – tanto che non sempre è facile comprenderne le varie strutture – fu eretto alla fine del IV secolo a.C. È costituito da: un recinto circondato su due lati da colonne di tipo diverso, attribuibili ad un porticato rifatto in epoca ellenistica; un piccolo tempio prostilo in antis (lunghezza m 5,22; larghezza m 3,02) posto in fondo al recinto, con colonne monolitiche di tipo dorico, ma trabeazione di tipo ionico; due altari al centro dell'area. All'esterno, ad ovest, erano state collocate dai fedeli diverse piccole stele coronate dalle immagini della coppia divina (due volti: uno maschile e l'altro femminile) rese con pochi tratti incisi: rinvenute insieme a ceneri e resti di offerte, testimoniano il convergere del culto greco di divinità ctonie con la religiosità punica.
Moltissimi sono i reperti provenienti dal santuario della Malophòros (tutti conservati al Museo di Palermo): arule scolpite con scene mitologiche; circa 12.000 figurine votive di offerenti maschili e femminili in terracotta (alcune delle quali ricavate dalla stessa matrice), databili tra il VII e il V secolo a.C.; grandi busti-incensieri che raffigurano Demetra e forse Tanit; una grande quantità di ceramica corinzia (del primo corinzio e del tardo proto-corinzio); un bassorilievo raffigurante il ratto di Persefone da parte di Ade proviene dalla zona dell'ingresso al recinto. I materiali cristiani rinvenuti (soprattutto lucerne col monogramma XP), provano la presenza dal III al V secolo d.C. di una comunità religiosa cristiana nell'area del santuario.
Ad ovest del santuario della Malophòros vi è la necropoli più vasta di Selinunte, quella in località Pipio, Manicalunga e Timpone Nero. Nelle numerosissime tombe a cassa con copertura a lastre di tufo, si sono rinvenuti soprattutto vasi attici del VI e V secolo a.C.; ma non mancano tombe del VII secolo a.C., e neppure tombe non elleniche. In generale le necropoli di Selinunte sono per l'85% a inumazione, e non presentano corredi particolarmente ricchi.
Procedendo lungo le pendici della collina della Gàggera, poco oltre si raggiunge la sorgente da cui si approvvigionava di acqua il Santuario della Malophòros; a m 50 a valle di essa, vi è un edificio già creduto un tempio (il cosiddetto Tempio M), in realtà si tratta di una fontana monumentale. Di forma rettangolare (lunghezza m 26,80; larghezza m 10,85; altezza m 8), costruita con blocchi squadrati, era formata da una cisterna (cosiddetta "cella"), un bacino chiuso protetto da un portico a colonne (cosiddetto "pronao"), e una gradinata di accesso a quattro gradini (cosiddetto "altare") con vasta area lastricata antistante. L'edificio, che aveva forme doriche, si data alla metà del VI secolo a.C. principalmente per le terrecotte architettoniche rinvenutevi. I frammenti di metope con Amazzonomachia, invece, seppure rinvenuti nei paraggi, non sono pertinenti all'edificio, che aveva metope lisce e di misura minore.
Un altro mègaron è stato scoperto di recente a poche centinaia di metri dal santuario della Malophòros, in direzione nord-est.
Attorno a Selinunte possono essere individuate alcune aree adibite a necropoli.
Le Cave (o Rocche) di Cusa, caratterizzate da banchi di calcarenite, si trovano presso Campobello di Mazara, a 13 km da Selinunte. Si tratta delle cave di pietra da cui veniva estratto il materiale per le costruzioni selinuntine. L'elemento più significativo che vi si nota è la brusca interruzione dei lavori di estrazione, di lavorazione e di trasporto dei rocchi di colonna, dovuta alla minaccia che incombeva sulla città nel 409 a.C. per l'improvviso sopraggiungere dell'esercito cartaginese. La repentina fuga dei cavatori, degli scalpellini e degli operai addetti, ha fatto sì che tutte le varie fasi di lavorazione oggi si possano non solo riconoscere ma anche seguire: dalle prime profonde incisioni circolari, fino ai rocchi finiti che attendevano soltanto di essere trasportati via.
Oltre a rocchi di colonne, nelle cave è possibile riconoscere anche qualche capitello, come pure incisioni rettangolari per ricavare dei blocchi squadrati, tutti destinati ai templi di Selinunte. Alcune gigantesche colonne – sicuramente destinate al Tempio G – si notano nella zona ovest delle Rocche di Cusa, allo stato ancora di primo abbozzo. Dei rocchi già estratti, alcuni erano pronti per essere trasportati via; altri, già in viaggio alla volta di Selinunte, furono abbandonati e si riconoscono lungo la strada.
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