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esclusione di un membro da una comunità religiosa Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La scomunica è una pena prescritta dal codice di diritto canonico comminata dalla Chiesa cattolica, ma prevista anche dalle Chiese evangeliche e ortodosse, che implica l'esclusione di un suo membro dalla comunità dei fedeli a causa di gravi e ostinate infrazioni alla morale e/o alla dottrina riconosciuta. Un istituto simile (lo ḥerem) è conosciuto anche nell'ebraismo.
L'origine della scomunica in termini cristiani è normalmente ricondotta al detto di Gesù sul "legare e sciogliere" in Matteo 16,19[1] (rivolto a Pietro) e Matteo 18,18[2] (ai discepoli, cfr. Giovanni 20,23[3]).
L'apostolo Paolo prevede dei livelli di sanzioni disciplinari verso membri della Chiesa che hanno commesso gravi infrazioni, varianti da privazioni a livello sociale a piena esclusione dalla comunità.
La punizione, in questo caso, era responsabilità dell'intera assemblea dei cristiani: "Nel nome del Signore Gesù, essendo insieme riuniti voi e lo spirito mio, con l'autorità del Signore nostro Gesù" (1 Corinzi 5,4[10]) e intesa per il bene sia del trasgressore che della Chiesa (1 Corinzi 5,5-7[11]; cfr. 1 Timoteo 1,19[12]). Con la crescita della Chiesa, sorge gradualmente il problema di chi abbia l'autorità di scomunicare (Cfr. 3G 9[13]).
Nella Chiesa primitiva, la scomunica in quanto tale ("...ho deciso che quel tale sia consegnato a Satana") (1 Corinzi 5,5[14]) implicava un certo isolamento. Il termine appare per la prima volta in documenti ecclesiastici nel IV secolo. Nel XV secolo si cominciò a fare una distinzione fra gli scomunicati che dovevano essere anche fisicamente allontanati, a causa di gravi errori (i vitandi), e quelli che potevano essere tollerati (i tolerati, che dovevano essere solo rigidamente esclusi dai sacramenti).
Nell'ambito del diritto canonico cattolico, la scomunica è la più grave delle pene che possa essere comminata a un battezzato: lo esclude dalla comunione dei fedeli e lo priva di tutti i diritti e i benefici derivanti dall'appartenenza alla Chiesa, in particolare quello di amministrare e ricevere i sacramenti.
La scomunica è una delle tre censure ecclesiastiche previste dal diritto canonico: le altre censure sono l'interdetto e la sospensione a divinis (quest'ultima può essere inflitta solo ai chierici). La scomunica può essere inflitta solo a una persona fisica, laica o ecclesiastica, non a enti e confraternite, e cessa con l'assoluzione che può e deve essere data non appena lo scomunicato si pente sinceramente della colpa commessa.
È tuttavia da notare che, per quanto la scomunica sia una pena di enorme gravità, è comminata dalla Chiesa avendo riguardo alla sola salus animae del battezzato[15]. Infatti, lo stato di peccato grave, di per sé già idoneo a dannarlo, se accompagnato a comunione sacrilega, aggraverebbe il suo stato di peccato. Inoltre, chi commette peccato grave, specie quelli per i quali è comminata la pena in discorso, è, di fatto, fuori dalla comunione con Cristo Gesù, ergo, scomunicato. Dunque, non si tratterebbe solamente di un provvedimento giuridico di particolare gravità, ma anche e soprattutto di una forma di tutela dell'anima del peccatore.
Anticamente esistevano vari gradi di scomunica, il "minore" o dei tolerati (tali persone erano comunque ammesse all'interno della comunità) e il "maggiore" per i vitandi (persone "da evitare", quindi escluse dalla comunità)[16].
Oggi le scomuniche si definiscono latæ sententiæ se scaturiscono da un comportamento delittuoso in quanto tale e non è necessario che vengano esplicitamente irrogate da un ente ecclesiastico: chi compie un certo atto si trova a essere scomunicato automaticamente. Si definiscono invece ferendæ sententiæ se non sono automatiche, ma devono essere inflitte da un organismo ecclesiale.
Esistono anche le scomuniche "riservate": infatti in genere una scomunica può essere tolta dal sacerdote durante una normale confessione; se però la scomunica è riservata al vescovo, può essere tolta solo da un vescovo o da un suo delegato; se è riservata alla Santa Sede, può essere tolta solo ricorrendo a essa (attraverso il competente ufficio della Curia romana, cioè la Penitenzieria apostolica). Naturalmente le scomuniche "riservate" sono quelle associate ai delitti più gravi.
Le scomuniche sono disciplinate dal Codice di diritto canonico ai canoni 1331 e 1364-1398.
Le Chiese sui iuris che non sono di rito liturgico occidentale sono soggette invece al Codice dei canoni delle Chiese orientali, promulgato da papa Giovanni Paolo II ed entrato in vigore il 1º ottobre 1991. Le sanzioni penali sono definite nel titolo XXVII e includono la scomunica minore (can. 1431), la sospensione (can. 1432), la deposizione (can. 1433), e la scomunica maggiore (can. 1434).[17]
Viene scomunicato ipso facto e deve ricorrere alla Santa Sede:
È scomunicato automaticamente:
«Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche... l'iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione.»
Anche la simonia o altri accordi condizionanti l'elezione del papa nel conclave, come stabilito dalla costituzione apostolica Universi dominici gregis, fanno incorrerere nella scomunica latæ sententiæ.
Questi effetti civili si vedono per esempio nella scomunica da parte di papa Gregorio VII, nel corso del conflitto che l'oppose all'imperatore Enrico IV[22], il papa scomunicò l'imperatore Enrico IV, sciogliendo i sudditi cristiani dal giuramento di obbedienza a lui prestato e l'effetto di questa scomunica spinse gli avversari dell'imperatore a insorgere, minacciando di deporlo[23]. Enrico IV dovette, per ottenere la revoca della scomunica inflittagli dal papa, umiliarsi attendendo inginocchiato per tre giorni e tre notti innanzi al portale d'ingresso del castello di Matilde di Canossa, mentre imperversava una bufera di neve.
Secondo la Chiesa la scomunica è una pena medicinale, che invita al ravvedimento, alla conversione e alla riparazione dello scandalo.[24]. Essa comporta l'esclusione dalla comunità dei fedeli e dalla partecipazione ai sacramenti (fra cui il ricevere la santa Eucaristia):
«Can. 1331 § 1. Allo scomunicato è fatto divieto:
1º di prendere parte in alcun modo come ministro alla celebrazione del Sacrificio dell'Eucaristia o di qualunque altra cerimonia di culto pubblico;
2º di celebrare sacramenti o sacramentali e di ricevere i sacramenti;
3º di esercitare funzioni in uffici o ministeri o incarichi ecclesiastici qualsiasi, o di porre atti di governo.»
Infatti il fedele, secondo la dottrina cattolica, in stato di peccato mortale si è precluso da solo dalla ricezione della santa Eucaristia, dunque il sacrilegio, involontario o meno, peggiorerebbe comunque il suo stato di cose. Il fedele è quindi esortato a pentirsi e a rivolgersi a un sacerdote per completare la riconciliazione con la Chiesa, accettando l'autorità a essi affidata secondo le parole di Cristo:
«a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi»
La scomunica priva il fedele dell'esercizio dei suoi diritti, ma non dei doveri, fra cui la partecipazione la domenica e le feste di precetto alla messa (senza ricevere la comunione), e il digiuno nei giorni prestabiliti.
La scomunica non esclude dalla ricezione dei sacramentali, per cui il fedele sotto scomunica può, ad esempio, richiedere le esequie religiose (che possono però essere negate).[25]
Il fedele scomunicato che si pente ha diritto alla remissione della scomunica dall'ordinario locale (o, in casi molto particolari citati sopra, dalla Santa Sede).
La Riforma protestante chiama la Chiesa a una posizione più biblica al riguardo della Disciplina della chiesa, il che è la preoccupazione maggiore dei riformatori di seconda generazione come Martin Bucer e Giovanni Calvino. Calvino sosteneva che la disciplina, secondo la Parola del Signore, è "il migliore aiuto" della sana dottrina, dell'ordine e dell'unità della chiesa e che bandire i peccatori ostinati a non conformarsi allo standard della fede cristiana e i contumaci, significa esercitare una giurisdizione spirituale che il Signore di fatto ha accordato all'assemblea dei credenti. Per Giovanni Calvino la scomunica ha un triplice scopo: (1) che il nome di Dio non sia insultato da cristiani che conducono una vita vergognosa e viziosa; (2) che il buono... non sia corrotto dalla costante comunicazione con l'empio; (3) "che il peccatore si vergogni e cominci a ravvedersi dalle sue turpitudini". Rammentando l'esempio dell'apostolo Paolo e dei padri della Chiesa, Calvino insiste a che sia l'intera assemblea dei credenti a testimoniare a ogni scomunica.
Nell'ambito delle Chiese evangeliche moderne la scomunica formale è imposta molto raramente. I canoni riveduti attuali della Chiesa anglicana (1969) continuano a prevederla.
I Testimoni di Geova hanno una forma di disciplina che ha delle similitudini con la scomunica, conosciuta come "disassociazione". Essi affermano che la disassociazione verso chi commette peccati biblicamente condannati apertamente senza alcun ravvedimento, sia una procedura basata su quanto Paolo di Tarso ordinò ai Corinzi; ritenendo che sia biblicamente riportata come in uso nel I secolo nella chiesa apostolica.[26]
I disassociati sono oggetto di un annuncio alla congregazione in cui si informa la comunità che il soggetto (nome e cognome) non è più un Testimone di Geova. Ciò comporta l'interdizione dei rapporti sociali con i precedenti confratelli, i quali negheranno la convivialità ai pasti (non il semplice saluto), riferendosi alla lettera scritta di San Paolo ai Corinzi: "consegnate tale uomo a Satana per la distruzione della carne, affinché lo spirito sia salvato nel giorno del Signore. Ma ora vi scrivo di cessar di mischiarvi in compagnia di qualcuno chiamato fratello che è fornicatore o avido o idolatra o oltraggiatore o ubriacone o rapace, non mangiando nemmeno con un tal uomo. mentre Dio giudica quelli di fuori?“Rimuovete l'[uomo] malvagio di fra voi. "[27].
I Testimoni di Geova quindi decidono di evitare forme di svago con i soggetti disassociati, con la distinzione di parentela o legame affettivo.[28] Solo con i familiari conviventi le attività e i rapporti quotidiani tra i membri della famiglia possono continuare ma verranno ad essere cessati i rapporti di carattere spirituale[28]. Nel caso di figli minorenni, i genitori hanno ancora la responsabilità genitoriale nei loro confronti, quindi potrebbero decidere di continuare anche con le attività che definiscono "spirituali"[29]
Questo allontanamento sociale non preclude tuttavia la frequentazione delle adunanze nella Sala del Regno né la via della riammissione futura quale membro della congregazione. È cura degli anziani della congregazione visitare il disassociato per offrirgli disponibilità e assistenza morale nel percorso di rientro nella congregazione.[30]
Soprattutto nel Medioevo, ma anche in epoca più recente, numerosi regnanti hanno subito la scomunica:
Scomuniche recenti che hanno avuto risonanza mediatica:
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