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testimone di giustizia italiana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Rita Atria (Partanna, 4 settembre 1974 – Roma, 26 luglio 1992) è stata una testimone di giustizia italiana.
Ufficialmente si tolse la vita a 17 anni una settimana dopo la strage di via D'Amelio, in cui perse la vita il magistrato antimafia Paolo Borsellino; avendo grande fiducia in Borsellino, aveva deciso di collaborare alle indagini su Cosa nostra. Tuttora ci sono dubbi se si sia trattato di un suicidio[1].
«Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta[2].»
Figlia di Vito Atria (1939-1985) e di Giovanna Cannova (1939-2012), nel 1985, all'età di undici anni, Rita Atria perse il padre, pastore affiliato a Cosa nostra, ucciso in un agguato. Alla morte del padre, si lega ancora di più al fratello Nicola ed alla moglie di lui, la diciottenne Piera Aiello (i due si erano sposati, con un matrimonio combinato, nove giorni prima dell'omicidio di Vito Atria). Da Nicola, anch'egli mafioso, Rita raccoglie le più intime confidenze sugli affari e sulle attività della mafia a Partanna. Nel giugno 1991 Nicola Atria viene ucciso e Piera Aiello, che era presente all'omicidio del marito, decide di denunciare i due assassini e collaborare con la polizia[3].
Nel novembre 1991, all'età di 17 anni, Rita decide di seguire le orme della cognata, rivolgendosi alla magistratura in cerca di giustizia per quegli omicidi. Il primo a raccogliere le sue rivelazioni è il giudice Paolo Borsellino, all'epoca procuratore di Marsala, al quale si lega come a un padre. Le deposizioni di Rita e di Piera, unitamente ad altre testimonianze, permettono di arrestare numerosi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala e di avviare un'indagine sul deputato democristiano Vincenzino Culicchia, per trent'anni sindaco di Partanna[4][5].
Una settimana dopo la strage di via D'Amelio, in cui perse la vita il giudice Borsellino, Rita si uccise a Roma, dove viveva segretamente, lanciandosi dal settimo piano di un palazzo di viale Amelia 23[6][7]. Sua sorella Anna, in seguito, andò a vivere a Roma a sua volta. Rita Atria per molti rappresenta un'eroina, per la sua capacità di rinunciare a tutto, anche all'affetto della madre (che la ripudiò e che dopo la sua morte distrusse la lapide a martellate)[8], per inseguire un ideale di giustizia attraverso un percorso di crescita interiore che la portò dal desiderio di vendetta al desiderio di una vera giustizia. Rita Atria e Piera Aiello non possono essere definite collaboratrici di giustizia o "pentite", in quanto, pur avendo informato gli organi giudiziari dei reati mafiosi di cui erano a conoscenza, non sono mai state coinvolte direttamente in tali fatti. Correttamente le si definisce testimoni di giustizia, figura questa che è stata legislativamente riconosciuta con la legge n. 45 del 13 febbraio 2001[9].
A lei è intitolato un capannone confiscato alla criminalità a Calendasco, in provincia di Piacenza, inaugurato il 12 maggio 2018 con la presenza di don Luigi Ciotti. È stato intitolato anche un punto di ritrovo presso l'istituto tecnico commerciale "P. Calamandrei" di Roma, dove la sua figura viene introdotta e ricordata, nel primo giorno di scuola, ai ragazzi delle prime classi. Il 10 novembre 2023 inaugurato a Scordia (CT) un parco giochi, con campi di tennis e basket intitolato alla giovane, con la speranza che molti dei giovani di oggi possano prendere ispirazione da una ragazza così forte e determinata nel cercare di sconfiggere un male così radicato. A lei è intitolata inoltre l'aula magna di uno dei Licei più importanti di Bologna, il Liceo Scientifico N. Copernico.
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