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sussidio in vigore in Italia dal gennaio 2019 al gennaio 2024 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Reddito di cittadinanza è stato un sussidio in vigore in Italia dal gennaio 2019 al gennaio 2024.[1][2]
A dispetto del nome, era in realtà totalmente privo delle caratteristiche di un reddito di base, trattandosi piuttosto di una forma condizionata e non individuale di reddito minimo garantito.[3]
Il sussidio, da tempo presente nel programma politico del Movimento 5 Stelle, fu istituito nel corso della XVIII legislatura dal governo Conte I (formato dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega) tramite il Decreto-legge 28 gennaio 2019, n° 4 (convertito con legge del 28 marzo 2019, n° 26).[4][5]
Nel corso della XIX legislatura, con il governo Meloni, la legge di bilancio 2023 (ufficialmente legge 29 dicembre 2022, n° 197) stabilì all'art. 1, comma 318 che, a partire dal 1º settembre 2023, il reddito di cittadinanza sarebbe stato erogato solamente alle famiglie con al proprio interno persone disabili o ultrasessantenni, per poi essere abolito del tutto a partire dal 1º gennaio 2024.[6][7]
Successivamente, tramite il decreto 4 maggio 2023, n° 48 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n° 85) furono istituiti, quali misure sostitutive del reddito di cittadinanza, due diversi sussidi: l'assegno di inclusione e il supporto alla formazione e al lavoro.[7]
A dispetto del nome "reddito di cittadinanza", attribuito al sussidio nel Decreto-legge d'istituzione, non si trattava di un reddito di base, bensì un ammortizzatore sociale.
Prevedeva l'obbligo di essere assistiti da centri per l'impiego, assistenti sociali e, fino al 2022, dai navigator.
Si trattava quindi di un reddito minimo garantito in quanto:
I cittadini italiani, o gli stranieri con regolare permesso di soggiorno residenti in Italia da almeno dieci anni (dei quali gli ultimi due in via continuativa[9]), potevano presentare le domande tramite il portale www.redditodicittadinanza.gov.it, tramite i CAF o negli uffici di Poste Italiane. L'INPS valutava se la domanda possedesse i requisiti di legge e, in caso affermativo, consegnava una carta prepagata ricaricabile che poteva essere utilizzata per acquistare beni e servizi oppure per prelevare denaro contante, entro un tetto massimo mensile.
Era previsto che i non-cittadini UE dovessero ottenere a proprie spese dalle autorità del loro Paese la certificazione del nucleo famigliare, del patrimonio e del reddito, comprensivo di proprietà all'estero, che tale documento fosse tradotto in lingua italiana e legalizzato dalle autorità consolari italiane.[9] Erano esonerati da quest'obbligo coloro che possiedono lo status di rifugiato politico o provengono da uno Stato presente nella lista a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, relativa ai Paesi nei quali era materialmente impossibile produrre tale documentazione,[10] ad esempio per la mancanza di un catasto nazionale.[11]
La carta veniva caricata mensilmente dall'INPS.
L'erogazione della prestazione patrimoniale era «condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni […] nonché all’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale».
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 19 del 2022, trasse anche da questo la considerazione secondo cui "il reddito di cittadinanza, pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla povertà, non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale. A tale sua prevalente connotazione si collegano coerentemente la temporaneità della prestazione e il suo carattere condizionale, cioè la necessità che ad essa si accompagnino precisi impegni dei destinatari, definiti in Patti sottoscritti da tutti i componenti maggiorenni del nucleo familiare (salve le esclusioni di cui all’art. 4, commi 2 e 3, del d.l. n. 4 del 2019). È inoltre prevista la decadenza dal beneficio nel caso in cui un solo componente non rispetti gli impegni (art. 7, comma 5, del d.l. n. 4 del 2019)" (Considerato in diritto, paragrafo 4).
Il beneficiario poteva perciò essere convocato «dai centri per l'impiego per sottoscrivere un Patto per il lavoro o dai Comuni per sottoscrivere un Patto per l'inclusione sociale»[12]. Nell'ambito del "Patto per l'Inclusione sociale", il beneficiario del "reddito di cittadinanza" - salvo espresse esclusioni volute dal legislatore per talune categorie di percettori, come ad esempio gli studenti o gli over 65 - doveva prestare la propria attività per la realizzazione di "progetti di pubblica utilità" (PUC) da svolgere nel comune di residenza e a titolo gratuito, per un minimo di 8 ore e un massimo di 16 ore settimanali[13].
Secondo uno studio pubblicato dall'ISTAT nel 2022, in Italia c'erano "un milione di poveri in meno grazie al Reddito di cittadinanza",[15] ma il 56% dei poveri non percepiva l'assegno o perché non si rivolgevano a CAF e patronati, o perché possedevano risparmi da parte, oppure perché si trattava di cittadini stranieri residenti in Italia da meno di 10 anni.[16] Anche per questi motivi, nonostante la presenza del sussidio, la povertà assoluta in Italia continuò ad avere andamento crescente.
Notizie su soggetti che avevano percepito illecitamente il reddito di cittadinanza (i cosiddetti "furbetti") furono più volte riportate dai vari media. A novembre 2021, oltre 48 milioni di euro furono erogati senza che ve ne fossero i presupposti. Da controlli dei Carabinieri, furono rilevati nel 2019 10.778 illeciti per 969.450,68 euro; nel 2020 18.131 illeciti per 5.614.247,80 euro; nel 2021 (primi dieci mesi) 156.822 illeciti per 41.359.042,02 euro.[17]
In seguito a un esposto del novembre 2022, la Procura regionale del Lazio presso la Corte dei Conti aprì un'inchiesta su una presunta omissione calcolata dei controlli sui percettori da parte dell'INPS a fini politici per favorire il Movimento Cinque Stelle, risoltasi poi in un nulla di fatto.[18]
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