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oratore, senatore e scrittore romano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Quinto Aurelio Simmaco (in latino: Quintus Aurelius Symmăchus; Roma, 340 circa – 402 o 403) è stato un oratore, politico e scrittore romano.
Simmaco | |
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Console dell'Impero romano | |
Possibile ritratto di Simmaco dal dittico dell'apoteosi al British Museum | |
Nascita | 340 circa Roma |
Morte | 402 o 403 |
Consorte | Rusticiana |
Figli | Quinto Fabio Memmio Simmaco |
Gens | Symmachi |
Padre | Lucio Aurelio Avianio Simmaco |
Consolato | 391 |
Proconsolato | 373 nell'Africa proconsolare |
Prefetto | Urbi 383-385 |
È considerato il più importante oratore in lingua latina della sua epoca, paragonato dai contemporanei a Cicerone; la sua famosa relazione sulla controversia riguardante l'altare della Vittoria fu però fallimentare, e il suo coinvolgimento con un usurpatore insieme alla sua opposizione all'imperatore cristiano Teodosio I lo obbligarono ad allontanarsi dalla vita politica. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla filologia, e tra il 365 e il 402 fu al centro di una corposa rete di scambi epistolari, che permettono di formare un ritratto insolitamente ricco della classe dirigente romana dell'epoca e di un personaggio non-cristiano della fine del IV secolo.
Simmaco apparteneva ad una nobile famiglia romana di rango senatoriale, che aveva raggiunto la prominenza sotto Costantino I. Il padre era Lucio Aurelio Avianio Simmaco, praefectus urbi di Roma nel 364-365 e console designato per il 377 (ruolo che però non ricoprì). La famiglia dei Symmachi aveva rapporti stretti con i Nicomachi, altra famiglia nobile ed influente; Simmaco strinse un rapporto d'amicizia con Virio Nicomaco Flaviano.
Sposò, non oltre il 371, Rusticiana, da cui ebbe Quinto Fabio Memmio Simmaco; la figlia, invece, sposò nel 393 l'omonimo figlio di Flaviano, e in questa occasione fu probabilmente prodotto il dittico dei Simmachi e dei Nicomachi. Il suo bisnipote fu Quinto Aurelio Memmio Simmaco, autore di una Storia romana andata perduta e padre adottivo del filosofo Boezio. Tra i suoi discendenti, dopo l'unione con la gens Anicia, vi fu anche papa Gregorio I.
La famiglia dei Symmachi era molto potente e ricca; tra i suoi possedimenti erano tre dimore a Roma e una a Capua e quindici ville suburbane, tre delle quali a Roma. Fu educato in Gallia e fu amico di Decimo Magno Ausonio, oltre ad essere un buon conoscitore della letteratura greca e della letteratura latina. Nel suo cursus honorum ricoprì importanti cariche tra cui: questore, pretore, pontefice maggiore, Corrector di Lucania et Bruttii, comes del terzo ordine proconsole d'Africa nel 373, praefectus urbi dal 383 al 385, fino a diventare console nel 391.[1]
In qualità di prefetto dell'urbe scrisse molti rapporti, o relationes, il più conosciuto dei quali è quello rivolto all'imperatore Valentiniano II nel 384 in cui si schiera a favore del mantenimento della antica Religione romana nelle cerimonie ufficiali dello Stato. L'occasione fu data dalla polemica sorta in occasione della rimozione dell'altare della Vittoria dalla curia del Senato romano, voluta dai senatori cristiani. I senatori pagani rendevano infatti ad essa omaggio, considerandola come simbolo della romanità e della sovranità dello stato, più che come divinità. I senatori cristiani, offesi da questo comportamento, ottennero nel 382 dall'imperatore Graziano la sua rimozione, anche grazie all'intervento del vescovo Ambrogio di Milano. Morto Graziano, il senato di Roma inviò a Milano una delegazione al suo successore Teodosio. In questo contesto si sviluppò la polemica tra Simmaco e Ambrogio: Ambrogio, convinto assertore della superiorità del Cristianesimo su ogni altra religione, riteneva che solo il Dio dei cristiani fosse il vero Dio ipse enim solus verus est deus: da tale posizione discendeva l'illegittimità di qualsiasi forma di culto o religione che non fosse quella cristiana. Teodosio diede ragione ad Ambrogio e l'ara della Vittoria non venne ripristinata nella curia.
Delle sue opere sono pervenuti:
Nelle orazioni appare come difensore della tradizione e del mos maiorum. Simmaco, inoltre, si fece portatore di una concezione ispirata al pluralismo e alla tolleranza religiosa che egli riassunse nelle parole:
«Dobbiamo riconoscere che tutti i culti hanno un unico fondamento. Tutti contemplano le stesse stelle, un solo cielo ci è comune, un solo universo ci circonda. Che importa se ognuno cerca la verità a suo modo? Non si può seguire una sola strada per raggiungere un mistero così grande.»
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