Poeta vate
poeta in grado di ispirare e guidare un intero popolo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il poeta vate, o soltanto vate (dal latino vates, «indovino», «profeta» o «veggente»), è un titolo attribuito a un poeta animato da spirito profetico, dotato di un'aura sacra per il tono elevato delle sue opere e l'ispirazione civile dei suoi testi poetici. [1] Vengono così definiti gli autori che cercano di interpretare e guidare i sentimenti delle masse della loro epoca.

Storia del termine
Riepilogo
Prospettiva
Tale appellativo fu attribuito per la prima volta ad autori latini, impegnati nella ricerca dei valori perduti dell'antica romanità, venuti a mancare durante il periodo di grande corruzione in cui versò Roma dall'età di Cesare in poi. La funzione di poeta-vates, attribuita ad esempio a Lucrezio o ad Orazio, è quella, secondo la concezione latina, di un poeta divinamente ispirato e quasi profetico, in grado di proporsi come guida della comunità, impegnato attivamente per il ripristino di valori morali, ma anche filosofici come nel caso dello stesso Lucrezio, scomparsi o, a volte, considerati in alcuni casi nefasti, come la stessa dottrina epicurea.
Una ripresa significativa di tale fenomeno si ebbe alla fine del Romanticismo, quando con il risorgere della poesia e del sentimentalismo poetico, in contrapposizione al periodo precedente del Neoclassicismo, in cui i sentimenti erano oscurati dal rigore e dall'ordine conferito dalla precisione dello studio e della ragione, i poeti cominciarono a sentire la necessità di aprirsi e rendersi interpreti del mondo, verso tutti coloro che avrebbero voluto apprezzarne i valori nascosti.
Poeti guida si sono riscoperti autori del romanticismo tedesco, dello Sturm und Drang come Goethe, o anche contemporanei italiani dello stesso periodo come Foscolo, portatori dei nuovi ideali del Risorgimento. Foscolo, infatti, come ogni poeta vate si abbandonava completamente alle passioni e agli istinti.[2] Anche Giosue Carducci ha ricevuto l'appellativo di poeta "vate"[3]. Gabriele D'Annunzio si faceva, inoltre, chiamare allo stesso modo per le sue poesie con versi ricchi di musicalità e sentimento e per il suo grande culto della parola.[4]
Attribuzioni
Nella storia della letteratura italiana, il titolo di vate è stato associato a:
- Dante Alighieri, il Sommo Vate per antonomasia;[5]
- Ugo Foscolo, durante il Risorgimento, quale vate della Patria italiana e della sua libertà;[2]
- Vittorio Alfieri, in maniera analoga a Foscolo;[6]
- Giosuè Carducci;[7]
- Giovanni Pascoli, specialmente dopo il discorso "La grande proletaria si è mossa";[8]
- Gabriele D'Annunzio.[4]
Note
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