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militare italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Pietro Fumel (Ivrea, 1º gennaio 1821 – Milano, 11 agosto 1886) è stato un militare italiano.
Pietro Fumel | |
---|---|
Nascita | Ivrea, 1º gennaio 1821 |
Morte | Roma, 11 agosto 1886 |
Dati militari | |
Paese servito | Regno di Sardegna Regno d'Italia |
Forza armata | Esercito piemontese Regio esercito |
Arma | Esercito |
Grado | Tenente Colonnello |
Guerre | Prima guerra d'indipendenza italiana |
voci di militari presenti su Wikipedia | |
Compiuti gli studi militari, nel 1848-1849 col grado di Tenente d'Artiglieria prese parte alla Prima Guerra di Indipendenza, in cui si schierò con le truppe del Re Carlo Alberto di Savoia. Dopo una rapida carriera che lo portò ai vertici dell'Esercito Sabaudo, nel 1859 organizzò la difesa armata di Ivrea in previsione di un attacco austriaco. L'anno seguente fu nominato Maggiore della Milizia Mobile della città e venne inviato a Bologna, dove appoggiò la popolazione che si ribellava allo Stato Pontificio ed organizzò il plebiscito che sancì l'unione dell'Emilia-Romagna con il Regno di Sardegna.
Successivamente all'unità d'Italia, dopo l'arrivo della spedizione di José Borjes fu mandato in Calabria (precisamente nel Cosentino) con il Grado di Colonnello per domare il brigantaggio. La repressione attuata da Fumel fu spietata, usando i metodi più estremi per eliminare i briganti, ricorrendo alla tortura e al terrore, senza distinzioni tra briganti e manutengoli o presunti tali e a prescindere dall'osservanza di qualsiasi garanzia legale.[1] Egli decimò le bande di Palma, Schipani, Ferrigno, Morrone, Franzese, Rosacozza, Molinari, Bellusci e Pinnolo.
Le esecuzioni comandate da Fumel avvenivano in pubblica piazza e lungo le strade. Le vittime venivano decapitate e le loro teste venivano impalate come avvertimento per chi aderiva o appoggiava le bande brigantesche, altri cadaveri invece venivano gettati nei fiumi.[senza fonte] L'episodio più noto della sua attività antibrigantaggio avvenne a Fagnano Castello, quando ordinò la fucilazione di cento contadini inermi.[2]
A Cirò il 12 febbraio del 1862, Fumel scrisse un proclama sulla risoluzione del problema del Brigantaggio:
«Io sottoscritto, avendo avuto la missione di distruggere il Brigantaggio, prometto una ricompensa di cento lire per ogni brigante, vivo o morto, che mi sarà portato. Questa ricompensa sarà data ad ogni brigante che ucciderà un suo Camerata; gli sarà inoltre risparmiata la vita. Coloro che in onta degli ordini, dessero rifugio o qualunque altro mezzo di sussistenza o di aiuto ai briganti, o vedendoli o conoscendo il luogo ove si trovano nascosti, non ne informassero le truppe e la civile e militare autorità, verranno immediatamente fucilati. Tutte le capanne di campagna che non sono abitate dovranno essere, nello spazio di tre giorni, scoperchiate e i loro ingressi murati. È proibito di trasportare pane o altra specie di provvigione oltre le abitazioni dei Comuni, e chiunque disubbidirà a questo ordine sarà considerato come complice dei briganti[3][4]»
L'eco di questo bando arrivò anche a Londra, dove il parlamentare lord Alexander Baillie-Cochrane affermò che «un proclama più infame non aveva mai disonorato i giorni peggiori del regno del terrore in Francia».[5] Il deputato Giuseppe Ricciardi disse alla Camera il 18 aprile 1863: «Questo colonnello Fumel si vanta d'aver fatto fucilare circa trecento briganti e non briganti».[6] Anche Nino Bixio, così come molti altri comandanti dell'esercito, presero le distanze dalle decisioni di Fumel.
Ricevette la Cittadinanza Onoraria da più comuni calabresi:Cosenza, Bisignano, Roseto Capo Spulico e Amendolara nel 1862, San Marco Argentano[7] l'anno successivo. Allontanato una prima volta dalla provincia di Cosenza per aver incriminato il barone Campagna di San Marco Argentano con l'accusa di favoreggiamento[8], sollevato dall'incarico e richiamato dal governo, si ritirò a Ivrea e sarebbe stato lo stesso re Vittorio Emanuele II a fargli avere l'impiego di magazziniere di generi di privativa (sale e tabacchi), prima a Livorno e poi a Milano. Nel frattempo in Calabria venne di nuovo richiesto il suo intervento. Fumel ritornò ai primi di agosto del 1866 come Maggior Generale Ispettore con base a Rogliano[9]. I suoi poteri erano però fortemente limitati ed ebbe forti contrasti con i Prefetti tanto che si dimise e, nel gennaio del 1867, tornò a lavorare a Milano, sempre come magazziniere di generi di privativa e morì in questa città l'11 agosto 1886.
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