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tecnica che si utilizza per trattare le cardiopatie coronariche basata sulla dilatazione del tratto di arteria occluso mediante un catetere a palloncino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'angioplastica coronarica è una tecnica che si utilizza per trattare le cardiopatie coronariche basata sulla dilatazione del tratto di arteria occluso mediante un catetere a palloncino. È nota in inglese con l'acronimo PTCA, da percutaneous transluminal coronary angioplasty, o PCI, da percutaneous coronary intervention. Può essere realizzata anche con l'utilizzo di laser a eccimeri, e in tal caso è chiamata PELCA o ELCA, da percutaneous excimer laser coronary angioplasty[1][2][3].
L'angioplastica coronarica rappresenta una tecnica mediante la quale è possibile dilatare un ramo coronarico occluso, o significativamente ristretto, a causa di un processo aterosclerotico. La procedura viene effettuata in anestesia locale, inserendo un catetere attraverso l'arteria femorale (o in alternativa attraverso l'arteria radiale) che permette di giungere fino alle arterie coronariche. La dilatazione dell'arteria coronarica interessata viene effettuata mediante il gonfiaggio di un "palloncino" al suo interno. Contestualmente al gonfiaggio del palloncino, viene spesso posizionato uno stent, rappresentato da una struttura metallica cilindrica a maglie che viene introdotta nel lume dell'arteria, consentendo di "conservare" la dilatazione ottenuta con il palloncino.
L'angioplastica coronarica può essere effettuata nella fase acuta di una sindrome coronarica (angina instabile, NSTEMI, STEMI) per ricanalizzare l'arteria coronarica responsabile della sindrome stessa o, in alternativa, in un paziente con angina stabile (angina che presenta solo in condizioni di stress) che presenta un restringimento coronarico significativo. Secondo le linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) pubblicate a novembre 2008, l'angioplastica coronarica, rappresenta la tecnica d'eccellenza in caso di infarto miocardico in cui il tracciato elettrocardiografico mostri un sopraslivellamento del tratto ST[4]. Le condizioni che rendono preferibile tale tecnica, rispetto alla riperfusione farmacologica, sono:
Nei casi di sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST, invece, l'angioplastica coronarica non necessita generalmente dei tempi rapidi della sindrome coronarica acuta con sopraslivellamento del tratto ST, ma viene effettuata entro le 72 ore dall'esordio dei sintomi[5]. Infine, nei pazienti con ischemia miocardica documentata da test provocativi (ECG da sforzo, ecostress farmacologico, tomoscintigrafia miocardica), l'angioplastica viene effettuata, in elezione, nei casi in cui sussista una stenosi coronarica emodinamicamente significativa (> 70%).
Oltre ai diversi trattamenti antipiastrinici e antitrombotici a sostegno delle procedure effettuate, esistono dei dispositivi collaterali che hanno lo scopo di migliorare la riperfusione (riapertura dei vasi e conseguente passaggio di sangue in tutti i vasi) del muscolo cardiaco in caso di infarto acuto. Tra questi sempre più importanza ricoprono i dispositivi di trombo-aspirazione. Questi sistemi consistono in un piccolo tubicino (catetere), che viene inserito nelle coronarie per via percutanea, ossia utilizzando la stessa via di accesso dell'angioplastica. Tramite il catetere, prima di dilatare l'arteria, si tenta di aspirare il trombo, ossia il materiale solitamente molle che aveva ostruito la coronaria. Diversi studi dimostrano che questo trattamento migliora la condizione clinica dei pazienti nel breve, medio e lungo periodo.
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