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film del 1991 diretto da Massimo Troisi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Pensavo fosse amore... invece era un calesse è un film italiano del 1991 diretto da Massimo Troisi. Questo era l'ultimo film diretto da Massimo Troisi e inoltre è l'ultimo film interpretato da Massimo Troisi ad essere stato rilasciato durante la sua vita.
Pensavo fosse amore... invece era un calesse | |
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Francesca Neri e Massimo Troisi in una scena del film | |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1991 |
Durata | 113 min |
Genere | commedia, sentimentale |
Regia | Massimo Troisi |
Soggetto | Anna Pavignano e Massimo Troisi |
Sceneggiatura | Anna Pavignano e Massimo Troisi |
Produttore | Gaetano Daniele, Mario e Vittorio Cecchi Gori |
Casa di produzione | Esterno Mediterraneo Film, Cecchi Gori Group |
Fotografia | Camillo Bazzoni |
Montaggio | Angelo Nicolini |
Musiche | Pino Daniele |
Scenografia | Francesco Frigeri |
Interpreti e personaggi | |
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Tommaso e Cecilia sono due giovani fidanzati napoletani. Fanno una vita regolare con i soliti amici: lui ha una trattoria nel Borgo Marinari accanto a Castel dell'Ovo, vicino alla libreria del loro amico Amedeo, celibe e bigotto, con una sorella adolescente di nome Chiara innamorata di Tommaso. Il matrimonio dei due è alle porte, ma la gelosia di Cecilia rischia di rovinare tutto: durante un momento di intimità crede di sentir pronunciare da Tommaso il nome di un'altra donna, Elena; in un'altra occasione lo prende per i capelli quando viene a sapere che un'altra donna lo ha cercato al telefono. Infine, durante la scelta delle bomboniere fa una scenata pensando ai fantasmi di queste rivali ipotetiche, fino a quando gli comunica, per citofono, che intende lasciarlo, di non sposarsi più e di sparire.
Raccogliendo le voci di amici, Tommaso viene a sapere che Cecilia si è fidanzata con Enea, un avventuriero più vecchio di lei, dedito a molte attività, che le promette grandi orizzonti ma un modesto, se non inconsistente, presente. Tommaso non riesce a capire come faccia Cecilia a innamorarsi di un uomo di non bell'aspetto e per giunta con un nome che trova ridicolo, mentre tutti quanti, con suo stupore, lo trovano bello e affascinante. Nel frattempo Amedeo si fidanza con Flora, ex fidanzata di Giorgio, un amico comune. La sorella di Amedeo, non riuscendo a conquistare Tommaso, tenta di avvelenarlo con il veleno per topi nel caffè, e in un'altra occasione, per gelosia, darà anche fuoco alla lambretta di Enea.
Tommaso tenta anche la via della magia presso una sedicente fattucchiera per sistemare le cose: le porta alcune ciocche di capelli di Cecilia, Enea e Chiara, chiedendo di far sparire dalla sua vita la ragazzina ed Enea, e di far tornare da lui Cecilia. I due alla fine tornano insieme, e si fanno trovare in flagrante in effusioni amorose nella biblioteca dallo stesso Enea, il quale con rassegnazione rivela a Tommaso di adorare Cecilia al punto di non riuscire a sfiorarla con un dito. I due giovani, ritrovatisi, riprendono a organizzare il loro matrimonio. Tuttavia, il giorno delle nozze è Tommaso a non presentarsi all'altare. Manda una lettera a Cecilia dandole appuntamento in un bar, dove giunge anch'essa in abito nuziale. Qui le confida che uomo e donna non sono fatti per il matrimonio. Lei si trova d'accordo, e i due si organizzano per uscire la sera.
Il film è principalmente girato a Napoli dal 15 luglio 1991, per nove settimane (in particolare a Borgo Marinari, vicino Castel dell'Ovo), e nel bar Meridiana di Roma per la scena finale; per gli interni, stabilimenti De Paolis.
Il ruolo di Amedeo era stato scritto per Lello Arena[1].
Le musiche del film sono curate dal cantante napoletano Pino Daniele; in particolare è utilizzata la canzone Quando, scritta appositamente per il film, che fa da sottofondo ai titoli di testa, a molte scene del film e ai titoli di coda.
Uscito il 20 dicembre del 1991, incassa 1 miliardo e mezzo di lire al botteghino[senza fonte]. In seguito diventa uno dei film più visti nel 1992 con 15 miliardi di incasso[senza fonte][2][3], anche grazie ad un audace spot pubblicitario che vede protagonista un Troisi che parla in dialetto lombardo: «Massimo Troisi nun ghe piàse no. Ma andùmm a veder el suo film, e dopo, ma solo dopo, mi raccomàn, dicìmm: è 'na schifezza».
«Di cosa parliamo quando parliamo d'amore? È la domanda chiave che l'autore con questo film intende porsi e porre. E la sua risposta è, nel film e a voce (in realtà più a voce, nelle intenzioni per esempio espresse nell'intervista di Maria Pia Fusco su Repubblica di pochi giorni fa), che occorrerebbe la stessa attenzione e lo stesso amore tanto per conquistare che per lasciare qualcuno.»
«Perché calesse?... per spiegare al meglio la delusione di un qualcosa le cui aspettative non sono state mantenute, poteva essere usato un qualsiasi altro oggetto, una sedia o un tavolo, che si contrappone come oggetto materiale all'amore spirituale che non c'è più.[3] Mi piaceva e poi si possono trovare tante cose con il calesse: si va piano, si va in uno, si va in due, ci sta pure il cavallo... Quando non è più amore ma «calesse», bisogna avere il coraggio della fine, piano piano, con dolcezza, senza fare male... ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell'inizio. Le storie d'amore non mancano mai nei film, quindi farne un'altra mi sembrava una cosa né stupida, né eccezionale ma raccontata in questi termini mi incuriosiva.»
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