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etimologia apparente ma errata Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
In linguistica, la paretimologia (composto moderno dei due termini greci παρά para, “contro”, e ἐτυμολογία etymología, "studio del vero significato delle parole") o etimologia popolare (calco dal tedesco Volksetymologie[1]) è il processo con cui una parola viene reinterpretata sulla base di somiglianze di forma o di significato con altre parole, deviando dalla forma o dal significato originario.[2] In senso lato, si può intendere con lo stesso termine un'etimologia errata o falsa.
Da un punto di vista tecnico, la paretimologia si può definire come il procedimento attraverso il quale un parlante tenta di rimotivare un segno altrimenti oscuro per la sua competenza linguistica.[1] Generalmente la cosa avviene quando si perde la trasparenza della parola e occorre trovare un sostegno per significato o suono a una parola che sembra averlo perso, anche forzandone la forma stessa: per esempio bonaccia (dal latino malacia, a sua volta dal greco μαλακία malakia, "debolezza, mollezza"), ha sostituito la parte iniziale della parola, interpretata negativamente come radice dell'aggettivo malus (cattivo), con quella di bonus (buono), considerato più "adatto" al significato del termine stesso.[2]
Le paretimologie dotte a carattere pseudolinguistico caratterizzano il metodo proprio dello studio prescientifico del linguaggio, concepito come entità immutabile e atemporale e portatore di simbologie al limite dell'oracolare. In questi casi non si ha alterazione della forma della parola, ma una semplice interpretazione forzata, a partire dalle convinzioni personali dell'erudito.
Un classico esempio di paretimologia dotta è la leggenda della fondazione di Roma da parte dell'eroe eponimo Romolo, quando in realtà è il nome di quest'ultimo a derivare da quello di Roma. Varrone fa derivare canis "cane" da canō "(io) canto" perché "Il cane canta"; Elio Stilone interpreta vulpēs "volpe" come volipēs "che vola con i piedi".[2] Il pionierismo linguistico del tardo rinascimento e dell'età barocca produsse paretimologie in quantità. Ad esempio l'espressione a bizzeffe secondo l'umanista Paolo Minucci (1688) sarebbe derivata dal latino bis f ("due volte effe"; in realtà proveniva dall'arabo bizzāf, "molto"[3]).
La linguistica comparativa che nasce tra la metà del XIX secolo e l'inizio del XX inaugura lo studio controllabile e sistematico del linguaggio, basandosi della regolarità dei mutamenti fonetici e morfosintattici e sull'analisi della distribuzione geografica delle varianti dialettali. Le paretimologie dotte rimangono confinate a studi eccentrici o a scopi satirici.
Del tutto scherzose sono le paretimologie della scrittrice Bianca Pitzorno,[4] nel suo libro Parlare a vanvera: ogni racconto "svelerebbe" l'etimo di un modo di dire della lingua italiana, come ad esempio avere la stoffa del campione, filare all'inglese, o proprio parlare a vanvera, che dà il titolo alla raccolta. Tuttavia, come l'autrice avverte nella prefazione, tutti gli aneddoti riportati sono completamente inventati da lei, così come l'origine delle frasi che fanno loro da titolo. Ad esempio, il racconto Scendere a patti fa riferimento alla città di Patti in Sicilia, non alla vera etimologia della parola patto. I racconti sono dunque paretimologie intenzionali, ideate appositamente per divertire il lettore, senza alcuna pretesa di scientificità.
Una paretimologia o pseudoetimologia in senso lato è un'etimologia popolare diffusa tra la gente, grazie alla fantasia creatrice dello spirito popolare, basandosi su analogie prive di riscontro metodologico, su tradizioni locali o addirittura per motivi politico-identitari.
L'acronimo inverso può essere un suo caso particolare.
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