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editore, tipografo e umanista italiano (1512-1574) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Paolo Manuzio (in latino Paulus Manutius; Venezia, 12 giugno 1512 – Roma, 6 aprile 1574) è stato un editore, tipografo e umanista italiano.
Figlio terzogenito di Aldo Manuzio, ne raccolse l'eredità a partire dal 1533, quando prese in mano le redini della famosa stamperia paterna, fino ad allora gestita dal nonno materno Andrea Torresano e dai suoi eredi. In questa veste curò, in particolare, l'edizione di testi latini, mantenendo lo stile e le innovazioni tipografiche introdotte con le aldine.
Si occupò anche, dal 1558, per conto di Federico Badoer, della tipografia dell'Accademia della Fama, mentre dal 1561 si trasferì a Roma, che sarebbe diventata la seconda città per la produzione del libro[1]. Qui, infatti, diresse la Stamperia del popolo romano, istituita nello stesso anno da Papa Pio IV, monopolizzando, di fatto, i privilegi di stampa relativi ai più importanti testi approvati dal Concilio di Trento, fra i quali il Catechismo e il Messale, peraltro chiedendo e ottenendo, dal pontefice, che l'autorizzazione - in considerazione dell'elevata domanda - fosse estesa anche a tipografi di altri luoghi[2].
Erudito, di formazione umanistica, scrisse numerose dissertazioni, in particolare sulle antichità romane, fra le quali il De legibus (1557) e il De senatu (1581), e commentò diverse opere di Cicerone, come ad esempio le epistole a Pomponio Attico. e a Junio Bruto. Curò in tre libri, in volgare, a partire dal 1542, le Lettere di diuersi nobilissimi huomini et eccellentissimi ingegni.[3]. Molte sue prefazioni a testi latini uscirono postume, a cura del figlio Aldo, nel 1580, come postume furono pubblicate le sue Lettere rinvenute nella Biblioteca Ambrosiana[4].
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