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cerimonia di trionfo dell'Antica Roma Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'ovazione (in latino ovatio) o piccolo trionfo (in greco πεζὸς θρίαμβος) era una cerimonia in cui nell'antica Roma venivano resi gli onori ad un generale vittorioso. Anche se aveva minor rilievo del trionfo, la cerimonia non era di fatto meno solenne.
Il termine, riferito ad eventi contemporanei o comunque non avvenuti nell'antichità, indica un'espressione pubblica di consenso, entusiasmo e di ammirazione, in cui un insieme di persone applaude in modo prolungato ed esulta gridando di gioia[1].
L'origine della parola è stata controversa fin dall'antichità. La maggior parte degli autori vi vede la radice latina ovis, pecora, animale sacrificale alla fine della cerimonia.[2] Dionigi la fa derivare dalla parola greca εὐοῖ (euoî, in italiano evoè), grido di gioia delle baccanti,[2] Festo dalla parola ovantes, a sua volta derivata dal grido gioioso "O! O!", pronunziato dai soldati esultanti di ritorno da una vittoria.[3]
L'ovazione, decretata dal Senato romano, veniva concessa quando la guerra era di minore importanza o non era stata dichiarata contro uno stato, quando il nemico non era degno della Repubblica – come i pirati o i liberti – o quando il conflitto si era concluso con poco o nessun spargimento di sangue[4] o non c'era stato pericolo per l'esercito stesso. Poteva essere accordata anche ad un generale che aveva condotto una campagna vittoriosa nel corso di una guerra non ancora conclusa[5].
Questa cerimonia venne istituita nell'anno 503 a.C. con il console Publio Postumio Tuberto per la sua vittoria riportata contro i Sabini[6][7] ed è proseguita durante tutta la Repubblica. Si venne rarefacendo con i primi imperatori fino a cadere in disuso.
Marco Claudio Marcello, alla fine dell'estate del 211 a.C., fu accolto dal pretore Gaio Calpurnio Pisone e dal senato, radunato nel tempio di Bellona a Roma.[8] Qui, dopo aver fatto un rapporto sull'intera campagna militare che aveva portato alla resa di Siracusa ed avere in modo garbato protestato per il fatto di non aver avuto il permesso di condurre in patria l'esercito, chiese che gli fosse concesso il trionfo, ma non l'ottenne.[9] Attorno a tale decisione ci fu un'ampia discussione tra coloro che erano favorevoli e quelli che invece erano contrari, in quanto sostenevano che Marcello non avesse ancora concluso la guerra. Parve opportuno decidere per un provvedimento intermedio. A Marcello, avendo portato nella capitale anche una grande quantità di tesori d'arte, venne concessa un'ovazione.[10] Si trattava del primo caso di una pratica diventata comune in seguito.
«I tribuni della plebe, su invito del senato, proposero al popolo di votare a favore della legge, affinché Marcello conservasse il comando nel giorno in cui entrava in Roma per la cerimonia dell'ovazione. Il giorno precedente al suo ingresso in città, Marcello celebrò il trionfo sul monte Albano e il giorno seguente entrò in Roma, facendosi precedere da un grande bottino di guerra.»
Marcello entrò così vittorioso a Roma col suo carico di ori e beni preziosi strappati alla città greca.[11]
«[Marcello] fece trasportare a Roma le cose preziose della città, le statue, i quadri dei quali era ricca Siracusa, oggetti considerati spoglie dei nemici e appartenenti al diritto di guerra. Cominciò proprio da questo momento l'ammirazione per le cose greche e la sfrenatezza di spogliare dovunque le cose sacre e profane. Tale costume portò ad onorare gli dèi romani con quello stesso primo tempio che fu così riccamente ornato da Marcello. Infatti gli stranieri visitavano, per i loro splendidi ornamenti, i templi che Marcello aveva dedicato presso la porta Capena, dei quali oggi si vede solo una piccolissima parte.»
«Insieme ad immagini raffiguranti la presa di Siracusa, seguivano catapulte, baliste e tutte le altre macchine da guerra e gli arredi ornamentali che testimoniavano la lunga pace e l'opulenza dei re. Era quindi condotta una grande quantità di argento e bronzo lavorati in modo artistico; si portavano suppellettili e vesti preziose e molte statue famose, che avevano ornato Siracusa, considerata una delle più fiorenti città della Magna Grecia. A dimostrazione della vittoria contro i Cartaginesi vennero condotti anche otto elefanti. E di spettacolo non trascurabile fu la vista del siracusano Soside e dello spagnolo Merico, che adorni di corone d'oro precedevano Marcello.»
Forse l'ovazione più famosa della storia è quella che Marco Licinio Crasso festeggiò dopo la sua vittoria nella terza guerra servile. L'ultima ovazione nota è una cerimonia in onore di Aulo Plauzio[12], vincitore dei Britanni sotto l'imperatore Claudio.
Il generale al quale era dedicata l'ovazione non entrava in città su una biga trainata da due cavalli bianchi, come si soleva durante le celebrazioni del trionfo, ma camminava invece indossando la toga praetexta di un magistrato[7](una toga con una striscia color porpora, a differenza dei generali trionfanti, che indossavano la toga picta, che era completamente porpora e ornata con ricami d'oro).
Il generale trionfante portava inoltre sulla sua fronte la corona ovalis, una corona di mirto (pianta sacra a Venere), in luogo della corona triumphalis di alloro. Il Senato romano non precedeva il generale, né di solito i soldati partecipavano alla parata.
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