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architetto italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Ottavio Bruto Revese, detto degli Orefici (Brendola, 8 novembre 1585 – Brendola, 3 febbraio 1648), è stato un architetto italiano della Repubblica di Venezia, operante nel Seicento a Vicenza.
Ottavio Bruto apparteneva alla nobile famiglia Revese, che aveva un palazzo e altre proprietà nel paese di Brendola, dove rimane ancora lo storico oratorio di Santa Maria Annunciata, fatta costruire dalla famiglia nel Quattrocento[1]. A Vicenza, nella chiesa di Santo Stefano, nel XVI secolo vi erano un altare sotto il patronato dei Revese e la tomba di famiglia in cui fu tumulato Paolo Bruto, fratello di Ottavio[2].
Ottavio Bruto esprime un'architettura austera - come del resto tutta quella che fiorisce a Vicenza nel corso del Seicento - allineata alle posizioni razionalistiche e teoriche di Vincenzo Scamozzi. Egli fu anche influenzato da Michele Sanmicheli e da Sebastiano Serlio. Pubblicò nel 1627 l'Archisesto per formar con facilità li cinque ordini d'architettura e nel 1630 il Discorso sopra la fortificazione di Vicenza.
Durante il Seicento non è semplice individuare l'autore di un progetto edilizio, per la mancanza di documenti che ne attestino il nome e la paternità - il committente veniva ricordato più facilmente dell'architetto - e ci si deve affidare a valutazioni, fatte sulla base della cronologia o delle caratteristiche dell'opera. Spesso quindi l'attribuzione a Ottavio Bruto Revese è incerta, ma l'arco monumentale trattato a bugnato rustico è una caratteristica architettonica che si ritrova in molte delle sue opere.
Ne è esempio il grande portone a conci di bugnato del palazzo Mattarello (ora Casa del clero, in via San Francesco vecchio); nell'arco ribassato vi è una chiave a testa umana cinta d'alloro, lo conclude uno sporgente cornicione modanato e lo fiancheggiano due pesanti volute di raccordo al muro di cinta[3].
L'attribuzione della paternità del palazzo Stecchini Nussi in Borgo Pusterla, costruito tra il 1620 e il 1630, è incerta tra il Revese e Giambattista Albanese[4]. Resta invece incerta tra lui e Giacomo Monticolo l'attribuzione del palazzo Roma in piazza del Duomo, espressione minore ma garbata di un corrente accademismo[5]. Forse del Revese è il palazzo Lonigo in corso Palladio (angolo contrà Daniele Manin), in particolare il settore a sinistra formato dalla trifora architravata e dal sottostante portone inserito nel portico, dove si fronteggiano le bugne rustiche. Lo stesso dicasi per il palazzetto Capra Conti (angolo tra contrà Santo Stefano e stradella Santa Corona), caratterizzato dai due altissimi archi in bugnato rustico, sorretti da vigorosi pilastri su zoccoli lisci[6].
Su incarico del cardinale vescovo di Vicenza Federico Corner, Revese progettò nel 1627 la facciata del Palazzo vescovile, che venne sostituita nel 1819 dal rifacimento neoclassico di Giacomo Verda[4].
Nel 1633 egli ricevette l'incarico di consulente per il soffitto della cattedrale di Santa Maria Annunciata, insieme a Girolamo Albanese; probabilmente entrambi furono poi responsabili della sistemazione generale della chiesa e nel 1637 si occuparono del consolidamento delle volte della navata[7].
Il Revese è conosciuto soprattutto per due grandi archi. Sicuramente suo è il maestoso arco del Palazzo del Territorio, un tempo ingresso al settore occupato dalla Serenissima e ora del giardino del Teatro Olimpico. Eretto nel 1600 su esempi dello Scamozzi e del Serlio, è costituito da vigorosi conci, dai quali emergono i capitelli ionici reggenti la trabeazione. Nell'alto attico sono raffigurati trofei bellici e lo stemma di Francesco Tiepolo, capitano veneto a Vicenza nel 1597; sulla soprastante fascia con l'iscrizione, fiancheggiata da due pilastri coronati da una palla, stava il leone di San Marco, abbattuto al tempo dell'invasione francese del 1797[8].
Del Revese era anche l'arco trionfale, collocato all'inizio di Campo Marzo nel 1608 per volontà del capitano Pierpaolo Battaglia, in sostituzione del più modesto precedente. Il prospetto a nord riproponeva, con forte bugnato rustico, tarde forme classiche cinquecentesche derivate dal Serlio, nell'interpretazione che ne aveva fatto Vincenzo Scamozzi; il fronte sud venne completato nel 1838 da Bartolomeo Malacarne secondo canoni neoclassici. L'arco fu frettolosamente e clandestinamente demolito nel 1938 in occasione della venuta a Vicenza di Benito Mussolini[9], per far passare la parata fascista. Dello stesso stile - ma di più modeste dimensioni - è l'arco che costituisce l'ingresso ai Giardini Salvi, situato a poca distanza, attribuito all'architetto veneziano Baldassare Longhena su progetto del 1645.
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