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I Neogrammatici (in tedesco Junggrammatiker) furono un gruppo di linguisti tedeschi dell'Università di Lipsia che, a partire dagli anni settanta del XIX secolo, diedero un notevole impulso allo sviluppo dell'indoeuropeistica fino ad arrivare a definire una prima ricostruzione dell'indoeuropeo, definita nei decenni seguenti ricostruzione "classica" e definitivamente sintetizzata nella monumentale opera Lineamenti di grammatica comparata delle lingue indogermaniche (Grundriß der vergleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen, cinque volumi, 1897-1916) di Karl Brugmann e Berthold Delbrück.
Al movimento si fa riferimento anche con le espressioni Scuola neogrammaticale e Scuola di Lipsia.
I Neogrammatici furono:
Alla scuola neogrammaticale si riconducono anche gli studi di Otto Behaghel, Adolf Noreen e Karl Verner.
I Neogrammatici, ispirati dalle contemporanee ricerche nel campo della filologia germanica che approdarono alla definizione della Legge di Grimm e della Legge di Verner, individuarono una serie di leggi che regolavano i rapporti fonetici nel passaggio dall'indoeuropeo ricostruito alle lingue indoeuropee storiche; particolare rilievo ha la Legge di Leskien, secondo la quale il cambiamento fonetico, a parità di condizioni, avviene sempre con lo stesso risultato, senza eccezioni[1]. Queste leggi fonetiche operano "con cieca necessità" (Osthoff)[2].
I Neogrammatici introdussero anche i principi, complementari alla Legge di Leskien, dell'analogia e del prestito[1].
I Neogrammatici polemizzarono con il tentativo dei primi comparatisti (ad esempio Franz Bopp) di individuare una "protolingua" pura che stesse alla base di sanscrito, greco, latino, germanico e persiano. Elaborarono il principio secondo cui la grammatica comparata serve a tracciare analisi diacroniche di lingue appartenenti ad una stessa famiglia. Al contrario, la conseguenza nefasta della ricerca di una lingua originaria e perfetta era, nelle parole di Brugmann, che "le recenti evoluzioni linguistiche erano trascurate, considerate con un certo disprezzo, come periodi esauriti, decaduti, senili". E Brugmann aggiunge che bisogna "una buona volta mettere al bando espressioni così nocive come 'giovinezza' e 'vecchiaia' delle lingue"[2].
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