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poema elfico di J. R. R. Tolkien Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Namárië (in quenya "Addio"), altrimenti conosciuto come Lamento di Galadriel, è una poesia in versi composta dallo scrittore e filologo J. R. R. Tolkien nella sua lingua artificiale quenya. Composto inizialmente nel 1931 è stato poi rimodellato dall'autore in occasione dell'uscita della sua opera più importante Il Signore degli Anelli.
Questa è la versione "ufficiale" e più conosciuta dell'opera. Contenuta all'interno del VIII capitolo, del secondo libro de La Compagnia dell'Anello è probabilmente il testo più famoso e studiato tra i vari testi redatti in quenya[1]:
«Ai! laurië lantar lassi súrinen,
yéni únótimë ve rámar aldaron!
Yéni ve lintë yuldar avánier
mi oromardi lissë-miruvóreva
Andúnë pella, Vardo tellumar
nu luini yassen tintilar i eleni
ómaryo airetári-lírinen.
Sí man i yulma nin enquantuva?
An sí Tintallë Varda Oiolossëo
ve fanyar máryat Elentári ortanë
ar ilyë tier undulávë lumbulë
ar sindanóriello caita mornië
i falmalinnar imbë met,
ar hísië untúpa Calaciryo míri oialë.
Sí vanwa ná, Rómello vanwa, Valimar!
Namárië! Nai hiruvalyë Valimar.
Nai elyë hiruva. Namárië!»
«Ah! come oro cadono le foglie al vento,
lunghi anni innumerevoli come le ali degli alberi!
I lunghi anni sono passati come rapidi sorsi
del dolce idromele in alti saloni
oltre l'Occidente, sotto le azzurre volte di Varda
ove le stelle tremolano
alla voce del suo canto, voce sacra di regina.
Chi riempirà ora per me la coppa?
Per ora la Vampa, Varda, la Regina delle stelle,
dal Monte Semprebianco levò le mani come nuvole
ed ogni sentiero è immerso nella profonda oscurità;
e fuori dalla grigia campagna l'ombra si distende
sulle onde spumeggianti poste fra di noi,
e la bruma ricopre i gioielli di Calacirya per sempre.
Ed ora persa, persa per chi è in Oriente è Valimar!
Addio! Forse un giorno troverai Valimar.
Anche tu forse un giorno la troverai. Addio!»
La versione originale dell'opera redatta, come già detto nel 1931 è tuttavia in una forma incompleta e non pienamente matura della lingua, conosciuta generalmente come Qenya
«Ai! laurie lantar lassi sūrinen
inyalemīne rāmar aldaron
inyali ettulielle turme mārien
anduniesse la mīruvōrion
Varda telūmen falmar kīrien
laurealassion ōmar mailinon.
Elentāri Vardan Oiolossëan
Tintallen māli ortelūmenen
arkandavā-le qantamalle tūlier
e falmalillon morne sindanōrie
no mīrinoite kallasilya Valimar.»
«Ah! Come oro cadono le foglie al vento.
Lunghi anni innumerevoli come le ali degli alberi
Voi, per molti anni, siete scappati nelle terre.
In Occidente, senza prati,
Varda dalle volte chiodi di garofano le onde,
le anime delle foglie sono assetate
Enlentári Varda da Oiolossë,
Tintalle delle ali gialle e poi alzate
Su tutti i percorsi vennero veramente molte onde nere
provenienti da un paese grigio
sotto i gioielli indossati da Valimar»
In questa versione Tolkien per indicare le vocali lunghe utilizza i tradizionali macron al posto dei più utilizzati accenti acuti. Questa versione del Namárië è relativamente "frammentaria", diversa rispetto a quella "ufficiale" e scritta in un qenya primitivo e di difficile traduzione.[2][3]
Ad anni dalla morte dell'autore molti linguisti ed esperti si sono cimentati nella traduzione del Namárië nelle altre lingue ideate da Tolkien, in particolare sono state create le versioni in Sindarin e in Telerin.[4][5]
«Nae! Be-vall dannar lais na-húl,
ínath arnediad bin revail gelaidh!
Ínath 'wannanner be yllath gelig
e-viruvor velui
ned bair erchail athan Annûn,
di-rynd luin Elbereth ias elenath thiliar
na-'lír lam dîn aer a brand.
Man adbannatha hi ylf anim?
Dan hi Elbereth Gilthoniel orthant
cammad în od Uilos
bin fain a dúath dadlemmir lonnath phain;
a fuin eth thindor caeda
na-falvath immen dad
a hith doba vírath e Girith Galad an-uir.
Gwannen hi Dor Belain, gwannen o Thrûn!
Navaer! Dor Belain hirithar aen allen»
«Ai! glaureai dantai lassi thúrinen,
Iéni únótimai be rámai gallaio!
Iéni be lintai iullai avaniei,
mi orobardi lisse-limpeo
Andúne pella, Baradiso tellumei
nu luini iasei tintilai i élni
óma rio gairitário lírinen.
Sí man i iulma nin empantuba?
An sí Tintalle, Baradis Oiolosse
be spaniai mát ria Élni-tári ortane,
ar iliai tiei undulábe dumbule;
ar thindinorielo caita mornie
i falmalinai imbe met, ar híthie,
untúpa Calacirio míri oiale.
Sí vanua ná, Rómelo vanua, Bar-Balai!
Namagrie! Na i hirubadie Bar-Balai!
Nai e-die hiruba. Namagrie!»
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