Minosse (dialogo)
dialogo attribuito a Platone Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Minosse (in greco Μίνως) è un breve dialogo inserito da Trasillo nella IX tetralogia di Platone, la cui autenticità è però controversa e solitamente negata dagli studiosi moderni. In particolare, la somiglianza stilistica con l’Ipparco farebbe pensare che i due dialoghi siano stati scritti da uno stesso autore, diverso da Platone, attorno al 350 a.C.[1]
Minosse | |
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Titolo originale | Μίνως |
Altri titoli | Sulla legge |
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Autore | Platone |
1ª ed. originale | IV secolo a.C. |
Genere | dialogo |
Sottogenere | filosofico |
Lingua originale | greco antico |
Personaggi | Socrate, un amico |
Serie | Dialoghi platonici, IX tetralogia |
Contenuto
L’incipit del dialogo è diretto, e vede Socrate domandare subito al suo anonimo amico che cosa sia la legge. L'amico risponde inizialmente che la legge è «ciò che è stato stabilito» (313a) in quanto «atto deliberativo dello Stato» (314c). Socrate però osserva che le deliberazioni possono essere buone o cattive, mentre per quanto riguarda la legge, essa stabilisce cosa è giusto e non può quindi essere cattiva; d'altra parte, la legge sembra essere un'opinione – ma se è un'opinione, non può essere che opinione vera. La legge è dunque «scoperta della realtà» (315a-b).
L'amico a questo punto obietta che nei diversi popoli esistono leggi differenti e tra di loro contraddittorie: com'è possibile ciò, se la legge è scoperta della verità? Semplicemente, risponde Socrate, la legge è tale se è opera di un buon legislatore, che possiede la competenza necessaria. Esempi di buoni legislatori sono Minosse e Radamanto, che hanno appreso la giustizia direttamente da Zeus (318e-320d).
Note
Bibliografia
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