Matteo Negri
militare italiano (1818-1860), generale borbonico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Matteo Negri (Palermo, 21 giugno 1818 – Scauri, 29 ottobre 1860) è stato un militare italiano, generale di brigata dell'Esercito delle Due Sicilie.
Matteo Negri | |
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Nascita | Palermo, 21 giugno 1818 |
Morte | Scauri, 29 ottobre 1860 |
Cause della morte | caduto in combattimento |
Luogo di sepoltura | Duomo di Gaeta |
Dati militari | |
Paese servito | Regno delle Due Sicilie |
Forza armata | Esercito delle Due Sicilie |
Arma | Artiglieria |
Anni di servizio | 1832 - 1860 |
Grado | generale di brigata |
Comandanti | Giosuè Ritucci |
Guerre | Seconda guerra d'indipendenza italiana |
Campagne | Campagna piemontese in Italia centrale |
Battaglie | Battaglia del Garigliano |
Studi militari | Reale Accademia Militare della Nunziatella |
Frase celebre | "Difendete questo passo e vinceremo!" |
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Figlio primogenito del capitano Michele Negri, barone di Paternò, e di Maria Antonia Termini dei duchi di Vaticani, abbracciò giovanissimo la carriera delle armi, entrando appena quattordicenne alla Reale Accademia Militare della Nunziatella di Napoli il 1º ottobre 1832. Al completamento del percorso formativo, il 1º marzo 1839 fu nominato Alfiere di artiglieria.
Studioso di notevole livello, oltre che al servizio, si dedicò alla redazione di volumi specialistici sull'uso dell'artiglieria, pubblicando inoltre diversi studi sulle proprietà delle armi a canna rigata. Tali capacità gli consentirono di percorrere una rapida carriera all'interno dell'Esercito delle Due Sicilie, conseguendo la nomina a tenente colonnello l'8 agosto 1860, a soli quarantadue anni. Frattanto, la spedizione dei Mille e la successiva invasione da nord dell'Armata Sarda avevano posto il Regno in stato di guerra, e il 7 settembre Negri accorse presso la fortezza di Capua, per mettersi a disposizione del re Francesco II delle Due Sicilie.
Notato dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, il generale Giosuè Ritucci, fu chiamato a prestare servizio alle sue dipendenze, con l'incarico di Sottocapo di Stato Maggiore. Il 19 settembre, la fortezza di Capua fu attaccata dalle truppe nemiche, e Negri, postosi al comando dell'artiglieria, diede prova di grande valore e perizia. Ricordandone l'azione, il collega Ludovico Quandel scrisse di lui:
«Bravissimo sia per le cognizioni che possiede, quanto per la fermezza ed il coraggio di cui è dotato, sarebbe stato utilissimo all'Esercito se i suoi consigli, dati con militare fermezza, fossero stati uditi. Egli però aveva trovato oppositori molti e tentennamenti oltremodo nocivi. Aveva ricevuto il comando superiore delle Batterie ed era perciò stato quasi allontanato dai consigli di guerra, sbaglio gravissimo e non solo.»
L'arrivo da nord dell'Armata Sarda mise la fortezza di Capua in condizione di non poter resistere, e le forze napolitane furono riorganizzate in modo da trasferirsi dalla linea del Volturno a quella del Garigliano. Negri, che era stato intento promosso prima colonnello, e poi generale di brigata, fu protagonista di tale movimento, coordinando lo spostamento di circa 19.000 uomini.
La linea del Garigliano fu presto attaccata dalle truppe del generale Cialdini, il quale tentò di effettuare un'azione a sorpresa per passare il fiume sul ponte del Garigliano, nella quale utilizzò un piccolo nucleo di truppe di movimento (due reggimenti di lancieri, uno di dragoni e quattro battaglioni di bersaglieri), appoggiate da alcuni pezzi di artiglieria. Tale azione fu controbattuta dalle truppe borboniche, ed in particolare dal 2°, 3°, 4° e 14° Cacciatori, dal 3º Reggimento Fanteria di Linea e da più di trenta cannoni, con l'appoggio di nuclei di altri reparti minori. Negri, che aveva il comando dell'artiglieria, fu ferito prima ad un piede e poi all'addome durante il combattimento, ma rifiutò di lasciare il suo posto per farsi soccorrere. Il suo esempio e sacrificio animarono i difensori del ponte, i quali riuscirono a tenere sotto scacco le forze avversarie, fino a consentire il passaggio di tutta l'Armata napolitana al di là del fiume.
Non più in condizione di combattere, Negri fu soccorso e condotto in una casa di Scauri. Circondato da Ludovico Quandel, dal principe Alfonso di Borbone, conte di Caserta, e dal capitano Raffaele D'Agostino, nonostante i tentativi di cura, l'ufficiale spirò poco dopo.
Commentò Benedetto Croce nella Storia del Regno di Napoli:
«Pure, nel crollo che seguì, quello stato che fu l'antico regno di Napoli non moriva del tutto ingloriosamente, e il suo esercito — quella parte del suo esercito che non si era dissipata o unita alla rivoluzione — salvò l'onore delle armi sul Volturno e a Gaeta. E noi dobbiamo inchinarci alla memoria di quegli estremi difensori, tra i quali erano nobili spiriti, come quel Matteo Negri che nel '48 era andato anche lui alla difesa di Venezia, ma nel '60 non seppe staccarsi dalla bandiera del suo reggimento, e, italiano, cadeva ucciso in combattimento contro italiani.»
Appresa la notizia della morte, il re Francesco II dispose che a Negri fossero riservati onori speciali, e che il suo corpo fosse inumato nel Duomo di Gaeta. Scrisse in particolare al generale Francesco Salzano:
«Eccellenza! con dolore inesplicabile ho inteso il funesto annunzio della perdita che tutti abbiamo fatta del prode generale Negri, avvenuta dopo la gloriosa ferita da lui riportata nel combattimento di questo giorno. Le sue rare virtù lo rendono degno di essere ricordato alla posterità; però dopo che avrà ricevuto in questa piazza gli onori funebri, che troppo gli sono dovuti, saranno le spoglie racchiuse in un sepolcrale monumento che sarà eretto in questo Duomo. Gaeta 29 ottobre 1860. Firmato FRANCESCO.»
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