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giornalista e politico italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Mario Paggi (Murlo, 10 febbraio 1902 – Milano, 26 ottobre 1964) è stato un giornalista e politico italiano.
Mario Paggi | |
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Deputato alla Consulta nazionale | |
Durata mandato | 25 settembre 1945 – 24 giugno 1946 |
Dati generali | |
Partito politico | Partito d'Azione |
Titolo di studio | Laurea in Giurisprudenza |
Università | Università degli Studi di Siena |
Professione | giornalista, avvocato |
Figlio di un medico di origini ebraiche, fu allievo di Piero Calamandrei nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Siena.[1] Nel 1924 iniziò a collaborare con il quotidiano di Giovanni Amendola Il Mondo, e dopo la laurea mosse i primi passi come avvocato trasferendosi a Milano.[1] Qui si avvicinò al gruppo antifascista che ruotava intorno alla rivista di Lelio Basso Pietre, e nel 1928 fu per questo ingiustamente accusato dell'esplosione di una bomba a Piazzale Giulio Cesare, arrestato e condannato a 3 anni di confino, ridotti ad uno dopo l'appello.[1]
Nel 1929 aprì a Milano un proprio studio, che divenne anche sede di incontri di pensatori ostili al regime fascista. Nel 1938 a causa delle leggi razziali non poté più esercitare la sua attività professionale e per sostentarsi fu costretto a dedicarsi all'attività di traduttore.[1]
Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d'Azione e della rivista ufficiale del partito, L'Italia libera.[1] Esponente dell'ala moderata del partito in opposizione a quella più radicale e di sinistra, nel 1944 fondò Lo Stato moderno, nelle cui pagine sostenne la necessità di una convinta collaborazione con le altre forze antifasciste.[1] Nel dopoguerra fu deputato della Consulta Nazionale e iniziò a collaborare con il Corriere della Sera; nel febbraio 1946 abbandonò il Partito d'Azione col progetto irrealizzato di fondare una nuova forza, che riunisse tutti i partiti laici e moderati.[1]
Nel 1949 con la chiusura dello Stato Moderno iniziò a collaborare con Il Mondo di Mario Pannunzio.[1] Negli anni '50 si avvicinò al Partito Liberale, facendo parte della sua direzione nazionale.[1] In polemica con la segreteria di Giovanni Malagodi, nel 1955 fu tra i fondatori del Partito Radicale.[1] Deluso dai conflitti interni del partito, se ne allontanò, avvicinandosi al Partito Repubblicano.[1] Morì di infarto nel 1964.[1]
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