Marco Ji Tianxiang
Dottore e martire cattolico cinese Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Marco Ji Tianxiang (in cinese semplificato: 马克冀天祥S, noto anche come Marco Ki-T'ien-Siang[1]; Yazhuangtou, 1834 – Jixian, 7 luglio 1900) è stato un medico e santo cinese, ucciso durante la ribellione dei Boxer per la sua fede nel cattolicesimo. Durante la sua vita fu un dipendente dall'oppio, fatto che lo escluse dai sacramenti cattolici.
San Marco Ji Tianxiang | |
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Padre, medico e martire | |
Nascita | 1834 a Yazhuangtou, nello Zhili in Cina |
Morte | 7 luglio 1900 a Jixian nello Zhili in Cina |
Venerato da | Chiesa cattolica |
Beatificazione | 17 aprile 1955 da papa Pio XII |
Canonizzazione | 1º ottobre 2000 da papa Giovanni Paolo II |
Ricorrenza | 7 luglio |
Patrono di | Dipendenti da sostanze in grado di provocare tossicodipendenza, sia naturali che sintetiche, anche quando prescritte da un dottore in medicina (antidepressivi, ansiolitici, ecc.), se il consumo causi danno o in casi estremi, particolarmente documentati tra taluni adolescenti nelle prime fasi d'assunzione, susciti una possibile ideazione al suicidio |
Marco Ji Tianxiang nacque a Yazhuangtou nel distretto di Jizhou, Hengshui, nello Zhili (l'odierno Hebei), in Cina nel 1834. Esercitò la professione di medico e verso i suoi quarant'anni contrasse lui stesso una malattia allo stomaco per la quale gli fu consigliato il trattamento con l'oppio per alleviare il dolore. Il continuo utilizzo di questa sostanza stupefacente lo rese negli anni dipendente.
Pio e osservante cattolico, frequentava insieme alla moglie e ai figli la messa e trascorreva principalmente il suo tempo libero assorto in preghiera. Forniva durante la sua attività di medico cure gratuite ai pazienti. Per la sua dipendenza dall'oppio fece frequenti confessioni, ma il sacerdote suo confessore arrivò a negargli l'assoluzione in quanto lo considerò volontariamente responsabile della non risoluzione della dipendenza. Mancante dell'assoluzione, gli fu negato anche l'accesso alla santa comunione. Pur non potendo ricevere l'assoluzione né l'eucaristia per oltre 30 anni, continuò assiduamente a frequentare la messa e a pregare.[2]
Il 7 luglio 1900, durante la ribellione dei Boxer, Marco Ji, insieme agli altri dodici membri della sua famiglia, furono catturati dai Boxer e fu chiesto loro di rinunciare al cristianesimo per riottenere la libertà. Essi rifiutarono e furono conseguentemente condannati a morte.
Ji implorò i suoi assassini di ucciderlo per ultimo in modo che potesse incoraggiare la sua famiglia e a non rinunciare alla fede e soprattutto a non lasciarli da soli. Ultimo prigionerio, non rinunciò alla sua fede e fu infine decapitato mentre recitava le litanie lauretane.[2]
Il processo di canonizzazione di Marco Ji fu portato avanti insieme a quello di altri 55 martiri cinesi, tra cui il gesuita e missionario francese Léon-Ignace Mangin. Il riconoscimento del martirio avvenne il 22 febbraio 1955 e tutti e 56 furono beatificati il 17 aprile successivo.
Il 1º ottobre del 2000 Marco Ji insieme al più ampio gruppo dei 120 martiri cinesi, capeggiato da Agostino Zhao Rong, fu canonizzato da papa Giovanni Paolo II.
La sua festa ricorre il 7 luglio e il martirologio romano così lo ricorda:
«Presso la città di Jixian nella provincia dello Hebei sempre in Cina, san Marco Ji Tianxiang, martire, che, escluso per trent’anni dal banchetto eucaristico perché non aveva voluto astenersi dall’uso di oppio, non cessò tuttavia di pregare di poter concludere piamente la propria vita e, chiamato in giudizio, dopo aver professato con animo fermo la fede in Cristo, raggiunse il banchetto eterno.[3]»
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