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film del 1974 diretto da Luigi Magni Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La via dei babbuini è un film del 1974 diretto da Luigi Magni.
La via dei babbuini | |
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Un fotogramma della pellicola | |
Lingua originale | italiano |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1974 |
Durata | 110 min |
Genere | drammatico, commedia |
Regia | Luigi Magni |
Soggetto | Luigi Magni |
Sceneggiatura | Luigi Magni |
Casa di produzione | Nuova Cinematografica |
Distribuzione in italiano | Titanus |
Fotografia | Franco Di Giacomo |
Montaggio | Ruggero Mastroianni, Amedeo Salfa |
Effetti speciali | Carlo Rambaldi |
Musiche | Armando Trovajoli |
Scenografia | Lucia Mirisola |
Costumi | Lucia Mirisola |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori italiani | |
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Fiorenza, giovane donna borghese, vive a Roma con il marito Orazio. Il matrimonio dei due è già abbastanza saturo, anche se non esteriormente sfasciato: tale situazione dipende tanto dalla voluta mancanza dei figli, quanto da elementi psicologici e sociali che i due coniugi percepiscono inconsciamente e diversamente.
Fiorenza, accorsa a Massaua per assistere il padre, vecchio colonialista da lei neppure conosciuto, lo vede morire e seppellire. Rimasta sola, non ritorna in patria ma si lascia guidare dallo stravagante Getulio alla scoperta del mistero africano. Orazio, uomo colto ma affetto da infantilismo cronico, raggiunge la moglie e cerca di strapparla al continente che la sta quasi plagiando. Ma Fiorenza, dopo la tragica morte di Getulio, si avvia verso la savana seguendo la via dei babbuini che, a differenza degli uomini, tornano nella foresta ove si trova il segreto della loro genuina natura.
«È un viaggio filosofico come nei racconti settecenteschi. Una donna [...] percorre in senso inverso la strada dei babbuini, ossia quella che fecero i nostri antenati quando abbandonarono la foresta per inoltrarsi nella savana. Devo sfuggire alla tentazione dei personaggi, che avranno tutti la faccia di attori popolari. Il ruolo principale toccherà all'Africa vera, non quella che appare agli occhi dei turisti del "tutto compreso" quando atterrano a Nairobi per poi essere avviati nei grandi zoo rappresentati dai parchi nazionali. Anche questa è Africa, ma non è la 'mia' Africa»
Per la parte di Fiorenza venne ingaggiata inizialmente Mariangela Melato[1][2] in seguito sostituita da Manuela Kustermann[3]; dopo tre settimane di riprese in Africa, però, Kustermann non venne ritenuta più idonea per il ruolo, venendo poi sostituita da Catherine Spaak. Ciò fece scaturire una polemica, denominata "caso Kustermann", e una protesta da parte della Società attori italiani[4]:
«Debbo innanzitutto precisare che il "caso Kustermann" nasce sostanzialmente da un mio errore. Progettando il film, pensavo a Manuela Kustermann e l'ho voluta ad ogni costo, mentre c'era chi mi suggeriva "nomi importanti" come Monica Vitti o Mariangela Melato. Dunque, non vi è alcun interesse di carattere commerciale nella "destituzione" dell'attrice e, del resto, la partecipazione di Catherine Spaak, che è stata chiamata a sostituirla, non mi sembra una "garanzia di successo". Insieme con la produzione e l'intera troupe (dagli attori ai tecnici) abbiamo deciso democraticamente che Manuela non poteva essere l'interprete della Via dei babbuini perché non sarebbe mai riuscita, nonostante i ripetuti tentativi, a calarsi nella dimensione psicologica del personaggio. Senza nulla togliere al suo indiscutibile talento, la Kustermann ha una personalità molto aggressiva, è un'attrice d'urto e mai potrebbe trasformarsi nella mite e trasognata Fiorenza, protagonista del film. Non c'è niente da fare, ognuno di noi possiede una matrice ben definita che pregiudica certe metamorfosi.»
Per il ruolo di Getulio si pensò inizialmente a Nino Manfredi.[7]
Le riprese si svolsero in Eritrea, tra cui a Massaua e a Cheren[3], e in Etiopia: qui vennero girate delle scene vicino al fiume Awash. La troupe lavorò in Africa per oltre quattro mesi.[8] Alcune riprese delle sequenze iniziali si svolsero invece a Venezia[9], mentre gli interni dell'abitazione di Fiorenza e Orazio in una villa dell'Olgiata utilizzata spesso come set cinematografico.[10]
Giorgio Basile operò in qualità di aiuto regista, e Mario Garriba di assistente alla regia. All'effettista Carlo Rambaldi fu affidato il compito della creazione del coccodrillo elettromeccanico a grandezza naturale, capace di camminare, immergersi nell'acqua e nuotarvi e aprire gli occhi.[11][12]
La colonna sonora è scritta e diretta da Armando Trovajoli; il tema musicale è basato sulla musica che lo stesso autore compose nel 1960 per Questo amore ai confini del mondo.[13] La canzone Violino tzigano, di Bixio Cherubini e Cesare Andrea Bixio, è la versione eseguita da Fernando Orlandis, con orchestra diretta da Pippo Barzizza, incisa nel 1935.[14]
Venne distribuito a partire dal 27 settembre 1974.[15]
«Nelle intenzioni doveva essere un film pieno d'amore per la natura [...] andava concretato attraverso un soggetto meno schematico, e mediante personaggi più attendibili, o almeno tali da dare credibilità al loro comportamento e , per quel che concerne la signora protagonista, alla sua metamorfosi. [...] Catherine Spaak: attrice elegante ed anche brava in parti che non escano da certi limiti convenzionali, però assolutamente inadatta a un ruolo che richiedeva qualcosa di più d'un buon mestiere, bensì almeno qualche grammo d'estrosa follia [...] e difatti la seducente quanto improbabile Catherine fallisce la prova, sembra capitata nel film per caso; sempre per caso ella si ritrova al tropico a fare cose e a dire parole imparate a memoria che in verità non la riguardano nemmeno un po'.»
«[...] La favoletta appare, nel suo complesso, d'una preoccupante fragilità, disponibile ai più diversi significati, e anche a nessuno. Né la tenuta stilistica, sul filo del paradosso e del grottesco, è tale da riscattare la vaghezza della materia. Film sfortunato, forse, più che sbagliato. [...]»
«Questa conclusione — che poi si rifà, grossomodo, alla vecchia frottola della contrapposizione tra natura buona e civiltà cattiva, tra l'autenticità dei «selvaggi» e la corruzione dei civilizzati — più che essere il frutto, nel film, di una qualche progressione drammatica è semplicemente enunciata; o meglio — se ben comprendiamo le ambizioni del regista — dovrebbe emergere dall'insieme degli elementi variamente suggestivi che compongono il film. Il quale invece resta un racconto inerte, in bilico tra aneddotica e paesaggistica, senza mai riuscire a raggiungere un qualche spessore significativo. Occorre dire che in questo Magni non ha trovato buona collaborazione nell'interprete principale: una Catherine Spaak inespressiva e anodina come di consueto.»
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