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romanzo scritto da Louis Pergaud Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La guerra dei bottoni (La Guerre des boutons) è un romanzo dello scrittore francese Louis Pergaud, pubblicato per la prima volta nel 1912.
La guerra dei bottoni | |
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Titolo originale | La Guerre des boutons |
Autore | Louis Pergaud |
1ª ed. originale | 1912 |
Genere | romanzo |
Lingua originale | francese |
La guerra dei bottoni narra le vicende di un gruppo di ragazzini impegnati nell'appassionante "gioco della guerra", condotta contro i coetanei del villaggio vicino, da sempre rivale. La storia, ambientata nella campagna francese di fine Ottocento, descrive l'evolversi in senso sempre più ampio della sfida "all'ultimo bottone" tra gli scolari di Longeverne capitanati da Lebrac, e quelli di Velrans comandati dall'Azteco.
Il romanzo – il più celebre di Pergaud – è parzialmente autobiografico: l'autore si è ispirato alla sua vita nel paese di Landresse (dipartimento di Doubs), dove si trovò a insegnare come maestro elementare per due anni.
Il titolo deriva dal bottino di guerra conseguito via via dalle due bande a scapito l'una dell'altra; i prigionieri, infatti, vengono spogliati dai vincitori di tutti i bottoni, fibbie e lacci che portano addosso, e rimandati a casa tra il dileggio generale coi pantaloni in mano.
Quasi ogni capitolo porta come epigrafe un breve brano tratto da un autore famoso: Michel de Montaigne, Victor Hugo, Jean Racine, François Rabelais, Arthur Rimbaud, Charles Baudelaire, Pierre de Ronsard e Pierre Corneille.
La storia, nella maggioranza dei capitoli, viene raccontata attraverso il punto di vista dei bambini di Longeverne. A partire dall'autunno, con l'inizio della scuola, come succede ogni anno ormai da tempo immemorabile, l'esercito di Longeverne inizia la sua campagna bellica contro quelli di Velrans. Infatti è proprio una delle prime mattine autunnali, quella in cui i fratelli Gibus, membri della banda di Longeverne, vengono assaliti dall'esercito di Velrans che, dopo averli presi a sassate e indotti alla fuga, li offende a parole. Tra gli epiteti, ce n'è uno in particolare che li turba: "balle di palta", ovvero "testicoli di fanghiglia", pronunciato da un certo Migue La Lune, soldato di Velrans che risulta particolarmente antipatico e infantile. Per lavare l'onta, l'esercito di Longeverne risponde al fuoco nello stesso pomeriggio, e per molti altri pomeriggi successivi. Lo scontro procede a fasi alternate, e vede ora il trionfo degli uni ora degli altri. Più spesso sono i protagonisti del romanzo, i ragazzi di Longeverne, a cui l'autore dà uno stampo fortemente anticlericale, contrapposto al bigottismo degli avversari, ad avere la meglio. Dopo alcuni scontri, culminati con catture varie, sequestro dei bottoni del malcapitato prigioniero, e rientro a casa con punizione di quest'ultimo, il capo dell'esercito longevernese, Lebrac, ha un'idea: battersi completamente nudi, unica maniera per non farsi depredare dei bottoni. L'assalto si rivela un successo, ma di breve durata: il freddo, e l'imbarazzo hanno la meglio. Perciò si passa a un piano B: avere bottoni di riserva, ora sequestrati ai nemici, ora comprati con la complicità di Maria, la sorella di Tintin innamorata di Lebrac. Per custodire le riserve e i soldi, viene inizialmente incaricato proprio Tintin, il quale però, scoperto dal maestro Papà Simon, viene da quest'ultimo messo in punizione, dopo aver avvertito i genitori di Tintin, che, compromesso, è costretto a rinunciare all'incarico di tesoriere. Non tutto il male viene per nuocere, è grazie a questa impossibilità di Tintin che nasce l'idea di costruire una capanna, che faccia da rifugio non solo al "tesoro", ma alla banda stessa. Le cose iniziano a filare in modo giusto: ogni membro dell'esercito di Longeverne rientra con nuovi bottoni ricuciti, il rifugio è la sede ideale per feste alcoliche con canti goliardici, e la sera stessa in cui rubano i calzoni a Tintin, l'esercito di Longeverne riesce a riconquistarli... ma la disgrazia è dietro l'angolo: una lite tra Camus, il vicecapo dell'esercito di Longeverne e Bacaillé, porta al tradimento di quest'ultimo, che rivela ai nemici dove si trovano il rifugio e il tesoro. Scoperto, Bacaillé viene picchiato e torturato in ogni maniera dai suoi ex-camerati, ma fuggito in paese in stato pietoso, e soccorso dai paesani di Longeverne, rivela non solo quanto subito, ma tutti i retroscena, mettendo così fine all'esercito di Longeverne. Ogni membro, scoperto, punito dalla famiglia e tenuto sotto massima sorveglianza dalla medesima e dal maestro, deve ammainare bandiera. Una sola cosa dà speranza: ritrovare il tesoro rubato, il che avverrà grazie a Gambette e Grandgibus, i quali, abitando fuori paese, non hanno ricevuto la punizione, e con false giustificazioni portate a scuola e prese per buone, riescono, saltando diverse lezioni, a recuperare il maltolto. Soltanto dopo un paio di settimane, i ragazzi di Longeverne riescono a ritrovarsi per fare il punto della situazione, dichiarando che la guerra è al momento accantonata e perduta, ma non completamente, soltanto sospesa... il tempo che le acque si calmino e poi riprenderanno la lotta. Lebrac è pronto ad andare anche da solo, stando alle sue parole, ma forse è solo un'ultima illusione, prima che maggiori impegni li portino per sempre lontano dal loro mondo. L'ultima frase posta a commento dell'intero racconto è detta da La Crique e riferita ai "grandi": "E dire che quando saremo grandi, diventeremo anche noi bestie come loro."
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