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spada ricurva giapponese Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La katana (刀?)[1] o catana[2][3][4] è una spada giapponese corrispondente a una scimitarra o sciabola ma con impugnatura a due mani.
Katana 刀 | |
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Il daishō del samurai: uchigatana (alto) e wakizashi (basso) | |
Tipo | Spada |
Origine | Giappone |
Impiego | |
Utilizzatori | Samurai |
Produzione | |
Entrata in servizio | Periodo Muromachi |
Descrizione | |
Lama | maggiore di 2 shaku (60,6 cm) |
Tipo di lama | in acciaio "pacchetto", monofilare, con curvatura accennata. |
Tipo di punta | acuminata, dalla curvatura molto accentuata. |
Tipo di manico | a due mani. |
Roatti, Verrina (2004) | |
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I giapponesi usano questa parola per indicare genericamente una spada, infatti il termine più corretto è uchigatana (打刀?), il quale si riferisce nello specifico a un'arma bianca a lama curva e a taglio singolo, di lunghezza superiore a 2 shaku (più di 60,6 centimetri), usata dai samurai.
Nonostante permettesse di stoccare efficacemente, la katana veniva usata principalmente per colpire con fendenti, impugnata principalmente a due mani, ma Musashi Miyamoto, in Il libro dei cinque anelli, raccomandava la tecnica a due spade, che presupponeva l'impugnatura singola. Essa veniva portata alla cintura (obi) con il filo rivolto verso l'alto, in modo che potesse essere sguainata velocemente e che in nessun modo il filo della lama potesse danneggiarsi contro l'interno del fodero. Era portata di solito dai membri della classe guerriera, insieme alla wakizashi, una seconda sciabola più corta (fra uno e due shaku). La combinazione delle due era chiamata daishō e rappresentava il potere (o classe sociale) e l'onore dei samurai, guerrieri che obbedivano al loro daimyō (feudatario). La combinazione daishō era costituita fino al '600 da tachi e tantō; solo in seguito da katana e wakizashi.
La produzione di spade in ferro iniziò in Giappone alla fine del IV secolo. I giapponesi appresero dai cinesi la tecnica della tempra differenziale. In seguito, nel periodo Heian (782-1180), le spade giapponesi assunsero la classica forma ricurva, più lunghe della katana (tachi); erano usate spesso a cavallo e indossate con il filo della lama rivolto verso il basso. Nel periodo Kamakura (1181-1330) la tecnologia produttiva raggiunse livelli senza precedenti e comparvero le celebri "cinque scuole" di maestri spadai, corrispondenti a zone di estrazione mineraria:
La katana, come noi la conosciamo, iniziò ad apparire intorno alla metà del periodo Muromachi (1392-1573), in particolare con la massificazione del combattimento nel Sengoku Jidai; era essenzialmente una rivisitazione delle sciabole da cavalleria usate nei secoli precedenti, adattate a un utilizzo da fanteria. Sono più corte e con una curvatura meno pronunciata; non erano più montate in configurazione tachi, bensì in uchikatana (con il filo della lama verso l'alto). Molte lame antiche furono accorciate (o-suriage) e trasformate in katana.
Il periodo Momoyama (1573-1599) è un'epoca di transizione, alla fine della quale il Giappone fu unificato sotto il potere della dinastia dei Tokugawa, che pose fine alle guerre. Con la fine delle guerre finisce il periodo della spada antica (koto) e inizia il periodo della spada nuova (shinto). La funzione della katana cambia: diviene più uno status symbol o un'arma da duello, che uno strumento da guerra vero e proprio. In questo periodo si ha la scomparsa delle cinque scuole e una fioritura di varianti stilistiche: le katane erano prodotte a partire da acciaio proveniente dai siti da cui era estratto ormai con metodi semi-industriali e si nota una particolare attenzione al fornimento e alle decorazioni, più che alle qualità belliche dell'arma in sé. Dal 1804 si assiste a un tentativo di ritornare alle tradizioni antiche. Alcuni spadai si sforzarono di riscoprire i segreti delle cinque scuole del tempo antico e crearono nuovamente lame di grande qualità, ma non pari ai capolavori del passato. Questo periodo è detto Shinshinto ("nuovo periodo della nuova spada", 1804-1876).
Nel 1876 l'editto imperiale detto haitorei, che vietava di portare le spade in pubblico, determinò la fine della classe sociale dei samurai e della produzione delle spade. Ora le uniche spade prodotte erano le gendaito (spade moderne) che, sul modello occidentale, armavano gli ufficiali dell'esercito. Spade di non grande valore, erano prodotte spesso con metodi semi-industriali non paragonabili alle katana dei periodi precedenti. Dopo la seconda guerra mondiale la produzione di katana tradizionali giapponesi è stata regolamentata e i moderni artigiani si sforzano nuovamente di produrre lame di grande qualità, riscoprendo le antiche tradizioni. Essi creano così le shinsakuto (spade contemporanee), molto costose, che hanno mercato tra gli estimatori e i collezionisti. A questo tipo di mercato si affianca quello, a indirizzo sportivo, delle moderne repliche di katana da pratica, spesso realizzate tramite metodi semi-artigianali che si avvalgono di macchine a controllo elettronico per la produzione a basso costo. Sebbene negli ultimi tempi la loro qualità sia nettamente migliorata, si rimane ancora ben lontani dalla qualità degli esemplari storici, sia per il tipo di acciaio, che per la geometria della lama (spesso spade eccessivamente pesanti e sbilanciate in avanti). Negli ultimi anni la tecnologia dell'acciaio ha raggiunto livelli tali da consentire in linea teorica di costruire katane migliori di quelle dei grandi forgiatori del passato. I nuovi acciai e le nuove metodologie di tempra (acciaio amorfo, tempra bainitica/martensitica, ecc.) consentono, sempre in linea teorica, di costruire lame che combinino una durezza e una resilienza mai raggiunte prima. Questi tentativi vengono visti da alcuni con entusiasmo e da altri come una deprecabile violazione delle tradizioni. Al momento anche i migliori tentativi non eguagliano i capolavori del passato, accurata sintesi di geometria, trattamento termico e molti, molti altri fattori.
In tempi recenti vi è stata una proliferazione di modelli esclusivamente espositivi. Il termine katana, in questo caso, è inappropriato: non sono vere e proprie spade, ma repliche in acciaio inossidabile, inadatte all'utilizzo marziale. Questi oggetti sono tuttavia a buon mercato ed esteticamente gradevoli per occhi inesperti. Nel complesso il periodo d'oro della spada giapponese è sicuramente il periodo antico (Koto), in cui vennero create lame a tutt'oggi insuperate e tra le più ricercate. Da quando l'arte dell'uso della spada nei suoi scopi originari è diventata obsoleta, il kenjutsu fu sostituito dal gendai budo, insieme di moderni stili di combattimento per altrettanto moderni combattenti. L'arte di estrarre la katana si chiama iaidō, o battojutsu o iaijutsu, mentre il kendō è una scherma praticata con la shinai, una spada di bambù, in cui i praticanti sono protetti dal tipico elmetto e dall'armatura tradizionale.[6][7].
L'insieme delle "finiture" della katana è definito koshirae[8]. Mentre quando ne è priva essa è chiamata shirasaya.
La montatura (bukezukuri) della katana si compone di:
Il sugata è la forma che assume complessivamente la lama, composta da:
Dal dorso al tagliente, la lama si divide in:
Il particolare tipo di tempra "differenziata" tra dorso e filo produce una linea di colore leggermente diverso sul tagliente, detta hamon (刃文?). La forma dello hamon costituisce un segno identificativo, per un occhio esperto, dell'epoca della lama e dell'autore tōshō (刀匠?). Riportiamo alcuni tipi di hamon accompagnati dal significato letterale e dal periodo storico a cui si possono riferire:
La parte di hamon, visibile sulla punta della lama (kissaki), si chiama bōshi (母子, "pollice"). Riportiamo alcuni tipi di bōshi, accompagnati dal significato letterale e dal periodo storico:
La katana era forgiata alternando strati di ferro acciaioso con percentuali di carbonio. L'alternanza di strati le conferiva la massima resistenza e flessibilità. Si partiva da un blocchetto di acciaio (tamahagane) riscaldato e lavorato mediante piegatura e martellatura. A ogni piegatura il numero degli strati si raddoppiava: con la prima piegatura da due strati se ne ottenevano quattro, con la seconda otto e così via. Alla fine della lavorazione, dopo quindici ripiegature, si arrivava a 32768 strati. Ulteriori ripiegature erano considerate inutili perché non miglioravano le caratteristiche finali. Si definiva poi la forma generale della lama: lunghezza, curvatura, forma della punta (kissaki). Il filo era indurito mediante riscaldamento e successivo raffreddamento in acqua (tempra). La lama era poi sottoposta a un lungo procedimento di pulitura eseguito con pietre abrasive di grana sempre più fine. L'ultima finitura era eseguita manualmente con particolari barrette di acciaio. Il procedimento era effettuato per esaltare il più possibile le caratteristiche estetiche della lama.[9][10]
Il procedimento costruttivo tradizionale è ancor oggi tramandato di generazione in generazione, dal mastro forgiatore all'allievo forgiatore. La tecnica di forgiatura prevede generalmente:
Il codolo (nakago), la parte di lama all'interno dell'impugnatura, era rifinito con colpi di lima disposti in varie forme a seconda delle scuole e delle epoche, e vi si praticava il mekugi ana, un piccolo foro nel quale si fissava un piolo di bambù, chiamato caviglia (mekugi) che fissa il corpo della spada all'impugnatura in legno. Ora la lama è finita e si provvede a dotarla di tutte le finiture del koshirae.
I primi forgiatori di spada giapponesi erano monaci buddhisti Tendai o monaci di montagna guerrieri chiamati yamabushi. Alchimisti, poeti, letterati, invincibili combattenti e forgiatori di lame, avevano conoscenze vastissime, e per loro la costruzione di una lama costituiva una vera e propria pratica ascetica.
La cura e la conservazione della katana segue le stesse regole generali che si applicano nel rituale del tè o nella calligrafia (shodō) o nel bonsai o nell'arte di disporre i fiori (ikebana). Dopo avere smontato la lama dal koshirae la si cosparge con una polvere (uchiko) ricavata dall'ultima pietra utilizzata per la pulitura (uchigomori) tramite un tamponcino. Successivamente, usando carta di riso piegata tra pollice e indice, la si rimuove con un movimento dal nakago (codolo) al kissaki (punta della lama) pinzando la lama con il mune (dorso) verso la mano. Poi, con un altro panno leggero (o carta di riso), imbevuto parzialmente di olio di garofano raffinato (choji abura), si passa di nuovo tutta la lama con lo stesso movimento utilizzato per rimuovere l'uchiko. La prima operazione rimuove tracce di ossidazione e grasso lasciato dalle dita durante il rinfodero, la seconda operazione invece serve per evitare le ossidazioni successive.
Una ōkatana (太刀?) è una versione della katana leggermente più lunga di una regolare katana (ō significa "grande" o "lunga" in giapponese). Non va confusa con il nodachi, significativamente più lunga di una katana. La ōkatana era solitamente una katana costruita per una persona di grande statura. Queste lame erano comuni durante il periodo Koto (900-1530) ma meno nel periodo Shinto (1531-1867). Lame di questo tipo erano e sono difficili da forgiare dalla base alla punta, a causa della grande lunghezza. Spesso i tachi fabbricati durante il periodo Koto avevano questa lunghezza.
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