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pittore, cantante e poeta cileno Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Juan Capra (Santiago del Cile, 12 aprile 1938[1] – Santiago del Cile, aprile 1996[1]) è stato un pittore, cantautore e poeta cileno.
Attivo tra Santiago del Cile, Parigi, Roma e New York, fu uno dei fondatori della Nueva Canción Chilena.[1] La sua casa a Santiago del Cile fu al centro del movimento artistico figurativo e musicale cileno degli anni sessanta: frequentata da una moltitudine di artisti, musicisti, poeti e intellettuali cileni e non solo, divenne fulcro del nuovo movimento e sede della cosiddetta Peña de los Parra.[1]
Attivo soprattutto tra gli anni sessanta e settanta del XX secolo, Capra si avvicinò al folklore su ispirazione di Violeta Parra, da cui ricevette lezioni di chitarra e di canto. Collaborò anche con il gruppo Millaray in qualità di decoratore e costumista.[1] Grazie alla sua grande predisposizione ai viaggi, Capra venne in contatto con la musica andina del Perù e della Bolivia, e con i suoni caraibici di Cuba, dove lavorò anche in qualità di pittore e dove strinse amicizia con il filosofo francese Régis Debray.[1]
Fin dai primi anni sessanta convogliò nella propria ampia casa, situata nella calle Carmen 340, nel centro storico di Santiago, vicino al Cerro Santa Lucía, numerosi artisti: pittori e scultori come Santos Chávez, Sergio Castillo Mandiola, Víctor Delfín; musici come Atahualpa Yupanqui, Víctor Jara, Paco Ibáñez, Gilbert Favre, Roberto Parra, Payo Grondona, Tito Fernández; scrittori come José Agustín Goytisolo.
Divenuta inizialmente un piccolo atelier, la casa di Capra si trasformò in una sorta di accademia informale del canto, dell'arte e dell'artigianato: fu qui che nel 1964, quando Juan Capra diede ospitalità ai figli di Violeta Parra (Ángel e Isabel) di ritorno da Parigi, prese vita la Peña de los Parra, importante peña folkloristica musicale cilena, motore principale della nascita della Nueva Canción Chilena.[1] La peña continuerà a crescere anche quando, poco dopo, Capra lascerà l'abitazione, per trasferirsi a Parigi, dove aveva vinto una borsa di studio, lasciando l'abitazione in gestione a Ángel e Isabel. La stessa Violeta Parra ebbe modo di esibirsi più volte nella casa di Capra.[1]
Tra il 1965 e il 1970, Capra si stabilì tra Francia e Italia, risiedendo in Rue Visconti, nel Quartiere Latino di Parigi, dove, similmente a quanto già fatto a Santiago, diede vita ad un luogo di incontro, in cui trovarono ospitalità anche i Quilapayún.[1] In Francia, Capra partecipò a numerose esposizioni (una sua opera venne acquistata anche dal Louvre), e registrò canzoni sue e di Violeta Parra.[1] In Italia fu ospite del Folkstudio di Giancarlo Cesaroni[2] e della prima edizione del Folk Festival di Torino.[3] Qui registrò inoltre il suo primo album, Cile canta e lotta, che venne pubblicato dalla casa discografica Cedi nel 1967 e ristampato dalla Albatros, una sottoetichetta della Vedette, nel 1973.
Nel 1968, unitamente ai Los Chilenos (di fatto i Quilapayún sotto mentite spoglie, che non possono apparire con il proprio nome a causa di vincoli contrattuali), registrò in Francia un disco, pubblicato dalla Barclay.[1] Il disco è un compendio di vari generi folk sudamericani: contiene anche un brano di Violeta Parra, Los pueblos americanos, e una canzone accreditata allo stesso Capra, Resfalosa del Viet Nam.[1] In questo periodo Capra si esibì spesso dal vivo assieme ai Quilapayún, influenzandone in parte la musica con alcune sue composizioni, come Canto a la Pampa e Canción fúnebre para el Che Guevara.[1]
In Francia Capra registrò ancora altri dischi e figurò in diverse raccolte, con composizioni sue e di Violeta Parra: suoi dischi usciti in Francia in questo periodo sono l'EP Chants populaires et revolutionnaires du Chili e gli LP Chants revolutionnaires du Chili e Chants et danses du Chili, entrambi del 1970.[1]
Capra ritornò in Cile dopo la vittoria del fronte di Unidad Popular capeggiato da Salvador Allende, ma il suo ritorno in patria si rivelò tutt'altro che facile: in questi anni la sua produzione musicale venne ostacolata e non pubblicò altri dischi, seppure continuando a esibirsi dal vivo in molti locali, compresa la peña Chile Ríe y Canta.[1]
Il golpe di Pinochet del 1973 rese Capra un obiettivo dei militari, che, pochi giorni dopo l'assalto a La Moneda, lo catturarono nelle vicinanze della sua casa e lo portarono all'Estadio Nacional, dove lo sottoposero a torture psichiche e fisiche, aggravate dalla sua condizione di emofiliaco.[1] Un intenso lavoro di trattative tra la famiglia di Capra e i parenti militari della madre fece sì che l'artista fosse scarcerato. Riacquistata la libertà, espatriò con un passaporto diplomatico a New York, dove rimase esule per diversi anni.[1]
Juan Capra fece ritorno nuovamente in Cile nel 1978, spinto dalla voglia di rivedere la madre.[1] La canzone Yo me vuelvo para Chile testimonia l'intenzione di Capra di combattere la dittatura. Ma non appena rimise piede nel proprio paese venne nuovamente arrestato dai militari.[1] Tornato in libertà, sopravviverà tra gli stenti negli anni seguenti, con una cerchia di contatti e amici assai ristretta,[1] ridotto a mendicare per le strade e a pagarsi l'alloggio alla Hospedería del Hogar de Cristo di Santiago vendendo ai passanti i suoi disegni.
Visse gli ultimi anni per la strada, ridotto in miseria, con le gambe paralizzate e con sintomi di polmonite e malnutrizione, con la sola compagnia dei suoi colori e delle sue tele, come ricorda la sorella Angelica, vissuta a lungo in esilio durante la dittatura e anch'essa cantante.[1] Capra morì alla Hospedería nell'aprile del 1996, a 58 anni, nella solitudine, nella povertà, nella malattia, dopo aver lottato gran parte della propria vita contro l'emofilia e la tubercolosi.
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