scrittore e poeta brasiliano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Joaquim Maria Machado de Assis (Rio de Janeiro, 21 giugno 1839 – Rio de Janeiro, 29 settembre 1908) è stato uno scrittore e poeta brasiliano.
Nonostante sia poco apprezzato come poeta, è considerato uno dei maggiori scrittori in prosa della letteratura brasiliana e uno dei maggiori della letteratura universale di tutti i tempi.[1]
Nacque a Rio de Janeiro, in una famiglia di meticci di umili origini. Sia le sue precarie condizioni di salute, causate da una tormentosa epilessia, sia i drammi familiari, come la morte precoce della madre e della sorella, lo indussero verso un morboso pessimismo, a mala pena mitigato dal successo dei suoi lavori letterari e da una felice vita coniugale.
Fin da adolescente fu obbligato a praticare umili mestieri, che non gli impedirono di proseguire i suoi studi e le sue letture.
Svolse, tra le altre, l'attività di tipografo, correttore di bozze, redattore, e infine critico letterario del giornale Diario do Rio de Janeiro .[1]
Si rinchiuse in sé stesso sin da ragazzo, a causa della timidezza e delle seconde nozze del padre e indirizzò le prime angosce e il suo temperamento sentimentale nei versi e nelle commedie.
È possibile suddividere in due fasi la sua carriera letteraria: una prima fase, che presenta caratteristiche del Romanticismo, in cui sono presenti le sue prime opere, la fantasia drammatica teatrale Delusioni (1861), la prima raccolta poetica Crisálidas (1864), e la seconda intitolata Falenas (1869), Ressurreição (1872), Helena (1876), Iaiá Garcia (1878); e un secondo momento, agevolato dalle letture di Henry Fielding, William Makepeace Thackeray, Charles Dickens e dall'affermazione del naturalismo in Francia e del realismo nel Portogallo, che presenta caratteristiche del Realismo, in cui sono presenti grandi opere come: Memórias Póstumas de Brás Cubas (1881), Dom Casmurro (il suo capolavoro, 1899), Esaú e Jacó (1904) e Quincas Borba. Ma i tre scrittori nei quali si riconobbe e si identificò meglio che in altri furono Luciano con la sua bizzarria, Lucrezio con il suo pessimismo, Michel Eyquem de Montaigne con la sua ricerca introspettiva.
La sua opera è fortemente caratterizzata da scetticismo, da umorismo raffinato e da analisi psicologica acuta e raffinata. È il trionfo di una sottile sensibilità psicologica. Machado ha sviluppato uno stile inimitabile, distillato da sue proprie riflessioni e appunti, basato su una profonda comprensione della natura umana. Influenzato dalla dottrina di Schopenhauer, riuscì a dimostrare che la pietà verso il prossimo è il miglior rimedio nel «peggior dei mondi possibili».[1] La sua filosofia pessimistica si convertì al pirronismo: non si fonda su stabili convinzioni, ma gioca con tutte le idee rigirandole come per evidenziare tutte le sfacettature delle realtà o tutte le facce di un prisma, per estrapolarne i più imprevedibili riflessi.
Il suo paese ha saputo percepirlo e i modernisti iconoclasti non hanno osato attaccarlo. Ma Machado, mulatto, balbuziente ed epilettico, nonostante sia stato scelto dapprima come alto funzionario del Ministero dell'Agricoltura (dal 1873) e poi come primo presidente dell'Accademia Brasiliana delle Lettere (1896), ha conservato intatte la sua modestia e la sua umiltà al punto da evitare "l'alto mondo" e a creare, in silenzio, romanzi capaci di rompere il velo delle apparenze e rivelare la reale essenza della fragilità umana.
Gli ultimi anni di vita furono rattristati dalla morte della moglie e l'autore, tormentato e provato fisicamente e moralmente, da quel momento ridusse il suo impegno letterario.
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