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famiglia di proteine prodotte sia da cellule del sistema immunitario (globuli bianchi) sia da cellule tissutali in risposta alla presenza di agenti esterni come virus, batteri, parassiti ma anche di cellule tumorali Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Gli interferoni (IFN) sono una famiglia di proteine prodotte sia da cellule del sistema immunitario (globuli bianchi) sia da cellule tissutali in risposta alla presenza di agenti esterni come virus, batteri, parassiti, ma anche di cellule tumorali. Gli interferoni appartengono alla vasta classe di glicoproteine note come citochine.
La loro funzione specifica è quella di:
L'interferone fu scoperto nel 1957 dal virologo britannico Alick Isaacs e dal suo collega svizzero Jean Lindenmann.[2] Venne chiamato "Interferone" perché essi notarono che in qualche modo interferiva col virus che attaccava la cellula sotto esame. L'interferone venne isolato e si notò che era capace di proteggere le cellule da ulteriori infezioni virali, mostrando proprietà biologiche come l'inibizione della crescita virale, della moltiplicazione cellulare e varie attività immunomodulatorie.
Esistono tre tipi di interferoni, che comprendono quattro classi principali:
Generalmente gli interferoni possono avere diversi effetti: hanno proprietà antivirali e antioncogene; attivano i macrofagi e i linfociti natural-killer; potenziano l'espressione delle glicoproteine di classe I e II del complesso maggiore d'istocompatibilità. In seguito a infezione virale, l'interferone segnala la presenza di virus e ordina alle cellule immunitarie di sostituire il proteasoma con l'immunoproteasoma.
L'interferone-α comprende in realtà una famiglia di circa venti proteine secrete principalmente dai leucociti (linfociti B e linfociti T) ed è detto per questo "interferone leucocitario". L'interferone-β è un'unica proteina secreta da vari tipi cellulari tra i quali i fibroblasti, ed è detto anche "interferone fibroblastico". L'interferone-γ è secreto dalle cellule-T attivate dall'antigene e dai linfociti natural-killer in risposta all'IL-12 e all'IL-18.
IFN-α e IFN-β intervengono nella risposta immunitaria innata verso patogeni di origine virale. I sintomi stessi, come febbre e debolezza muscolare, sono in parte dovuti alla presenza di interferoni. Questi vengono emessi quando in una cellula si accumulano quantità anormali di RNA a doppio filamento (dsRNA, double-stranded RNA). Normalmente, il dsRNA è presente in quantità molto basse e l'aumento della concentrazione funziona da segnale di avvio per la produzione di interferone. Il gene che codifica questa citochina viene attivato nelle cellule infette e rilasciato verso le cellule circostanti.
Quando la cellula iniziale muore a causa del virus RNA citolitico, migliaia di questi virus vengono rilasciati verso le cellule circostanti. Tuttavia, queste cellule hanno già ricevuto l'interferone che le ha allertate riguardo alla minaccia esterna. Le cellule incominciano a produrre grandi quantità di una proteina nota come PKR (Protein kinase-R). Se un virus infetta una cellula che è stata pre-allarmata dall'interferone, questa si trova pronta a rispondere all'attacco.
La PKR è attivata dal dsRNA e trasferisce gruppi fosfati (fosforilazione) a una proteina nota come eIF2, un fattore eucariotico di attivazione della traduzione. A causa della fosforilazione, la eIF2 riduce la sua capacità di attivare la traduzione, ovvero la produzione delle proteine codificate dall'mRNA. Questo impedisce la replicazione del virus, ma inibisce anche le normali funzioni del ribosoma della cellula, uccidendoli entrambe. Tutto l'RNA all'interno della cellula viene degradato, impedendo all'mRNA di essere tradotto dall'eIF2 quando questo non è stato fosforilato.
L'interferone gamma sembra avere scarsa rilevanza nel mediare le risposte ai virus. Questa citochina è invece il principale attivatore dei macrofagi, sia nel corso delle reazioni immunitarie innate sia in quelle cellulo-mediate.
Gli interferoni, legandosi alla membrana cellulare per mezzo di specifici recettori, stimolano la produzione nella cellula di alcuni enzimi antivirali:
La proteina chinasi R (PKR)[4] fosforila eIF2 (una proteina fondamentale per l'inizio della traduzione) inattivandola.
In questo modo si ha un'inibizione generale della sintesi proteica e quindi anche delle proteine virali ; siccome non viene inibita solo la traduzione delle proteine virali, ma anche di quelle cellulari, questo contribuisce anche alla patogenesi delle malattie virali e alle reazioni avverse dell'uso d'interferoni di tipo 1 in terapia clinica.
Un altro enzima cellulare prodotto in seguito all'attivazione del recettore per l'interferone è la RNAsi L, la quale, come suggerisce il nome, è un enzima litico il cui obiettivo sono gli acidi ribonucleici contenuti all'interno di quella cellula sia di tipo self sia non-self; quest'azione provoca una diminuzione della produzione di proteine virali e del materiale genetico stesso del virus (se il virus è di tipo a RNA) o il prodotto di replicazione del gene virale. La distruzione del materiale genetico all'interno della cellula ospite provoca la morte della cellula stessa e il blocco della replicazione virale.
Gli ISGs (geni stimolati da interferoni) sono una classe di proteine contenenti un centinaio di polipeptidi diversi, il cui ruolo è quello di combattere i virus e altre azioni mediate dagli interferoni[5]. Altra funzione degli ISGs è quella di promuovere la produzione del p53 in modo da diminuire la proliferazione virale mediante induzione dell'apoptosi nelle cellule infettate dal virus[6][7].
Artrite reumatoide, sclerodermia, sclerosi multipla (con un meccanismo ignoto) e terapia di alcuni tumori (mieloma multiplo, leucemia mieloide cronica). L'interferone gamma (IFN gamma) può provocare episodi di recrudescenza in caso di sclerosi multipla.
Gli interferoni (IFN) possono provocare la formazione di anticorpi; l'incidenza è maggiore con l'impiego della forma sintetica rispetto a quella biologica.
Nei pazienti trattati con interferone beta la concentrazione di anticorpi neutralizzanti (NAb) si stabilizza dopo circa un anno di terapia e interessa fra il 3% e il 45% dei pazienti. La variabilità della percentuale di pazienti NAb-positivi dipende in parte dall'immunogenicità della formulazione farmaceutica di interferone beta e dal metodo di analisi non standardizzato. Dai dati disponibili, l'interferone β-1a somministrato per via muscolare risulta essere quello associato al minor tasso di anticorpi neutralizzanti (2-5% vs 14-24% vs 30% rispettivamente con INF beta-1a per via intramuscolare, INF beta-1a per via sottocutanea e INF β-1b)[8][9][10]. È stato inoltre osservato che la concentrazione di NAb aumenta con l'aumentare della dose di interferone beta fino a un valore soglia, oltre al quale diminuisce[11] e che sussiste una negativizzazione spontanea degli anticorpi NAb, dipendente dal titolo (la presenza degli anticorpi persiste nei pazienti con titoli anticorpali elevati) ma non dal tipo di interferone beta impiegato[12].
In pazienti con sclerosi multipla NAb-positivi, trattati con 375 µg anziché 250 µg (dose standard) di interferone beta, la probabilità di negativizzazione del titolo anticorpale è risultata significativamente più elevata (HR: 3,41)[13]. È stato osservato che in vivo lo sviluppo di anticorpi anti-interferone ha determinato una riduzione dell'attività biologica; nell'uomo il significato degli anticorpi neutralizzanti non è stato completamente chiarito. Nei pazienti con sclerosi multipla trattati con interferone beta, la comparsa di anticorpi neutralizzanti è risultata ridurre la risposta farmacodinamica all'interferone (il rischio di recidiva nei pazienti NAb-positivi aumenta di sette volte rispetto ai pazienti NAb-negativi)[14][15].
Nei pazienti con singolo episodio demielinizzante (sindrome clinicamente isolata, CIS), la comparsa di anticorpi neutralizzanti ha determinato un aumento significativo delle lesioni nuove attive e delle lesioni T2 rilevate alla risonanza magnetica, senza influenzare l'efficacia clinica della terapia con interferone (tempo di latenza allo sviluppo di sclerosi multipla clinicamente definita; progressione della disabilità del paziente, misurata con la scala EDSS; incidenza di recidive).
L'interferone β-1b ha evidenziato in vitro reattività crociata con l'interferone beta naturale (la rilevanza clinica di questa osservazione non è nota).
La persistenza degli anticorpi neutralizzanti nel sangue è elevata, sono infatti rilevabili fino a sei anni dopo la fine del trattamento con interferone beta.
Nei pazienti con sclerosi multipla, in cui la presenza di anticorpi NAb è correlata alla progressione della malattia, il dosaggio degli anticorpi neutralizzanti NAb andrebbe effettuato dopo dodici mesi di terapia con interferone beta. Nei pazienti NAb-positivi con titolo anticorpale alto e persistente la probabilità che la terapia interferonica risulti inefficace è elevata e pertanto, in questi pazienti, andrebbe valutata un'opzione terapeutica diversa dall'interferone beta.
Nei pazienti con negativizzazione del titolo anticorpale NAb, è possibile risomministrare il farmaco.
Si consiglia di associare alla terapia con interferone (IFN) valide misure contraccettive. L'interferone alfa leucocitario umano (IFN alfa N3) è stato associato a riduzione dei livelli di estradiolo o progesterone nelle pazienti in età fertile, pertanto la terapia con interferone alfa potrebbe ridurre l'efficacia dei contraccettivi orali. Spesso l'interferone è associato a ribavirina che è teratogena, può indurre cioè malformazioni al feto. L'associazione terapeutica interferone-ribavirina richiede l'uso di valide misure di contraccezione da continuare fino a 6-7 mesi dopo il termine della terapia farmacologica, anche quando è il partner a essere in trattamento con interferone e ribavirina.
La somministrazione di interferone (IFN) alfa in associazione a farmaci chemioterapici aumenta il rischio di reazione avverse gravi e potenzialmente fatali come mucosite, diarrea, neutropenia, nefrotossicità, alterazioni elettrolitiche. In associazione a idrossiurea, aumenta il rischio di vasculite cutanea.
Nei pazienti con co-infezione HCV e HIV, in terapia antiretrovirale HAART (Highly Active Antiretroviral Therapy, basata sulla combinazione di un inibitore della proteasi più un analogo non nucleosidico e un analogo nucleosidico), l'aggiunta di interferone alfa (IFN alfa) e ribavirina può portare a un aumento del rischio di scompenso epatico e morte nei pazienti con cirrosi avanzata o di anemia se la terapia antiretrovirale include zidovudina.
La somministrazione di interferone (IFN) alfa in associazione a ribavirina è stata associata a disturbi ai denti e alla gengiva con perdita dei denti. La secchezza delle fauci indotta dalla terapia di combinazione potrebbe peggiorare lo stato di salute di denti e gengive. Si raccomanda pertanto di ricorrere a valide misure di igiene orale (lavaggio dei denti almeno due volte/die) e di controllo odontoiatrico regolare. In caso di vomito sciacquarsi ripetutamente la bocca.
I dati di letteratura relativi a efficacia e sicurezza dell'interferone (IFN) nella popolazione pediatrica sono limitati pertanto gli interferoni non sono raccomandati in questa classe di pazienti, con l'eccezione dell'interferone α-2b per l'indicazione relativa all'epatite cronica C. Nei bambini con epatite cronica C trattati con interferone alfa più ribavirina è stato osservato rallentamento della crescita staturale e perdita di peso. La minor crescita in altezza del bambino è stata osservata ancora dopo cinque anni dalla fine della terapia combinata interferone alfa/ribavirina; non è noto il grado di reversibilità di questi effetti. Pertanto la somministrazione di interferone alfa più ribavirina per il trattamento dell'epatite cronica C nella popolazione pediatrica richiede un'attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio per il singolo paziente.
La somministrazione in gravidanza e durante l'allattamento di interferone (IFN) può avvenire solo dopo un'attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio. In vivo l'interferone α-2b e l'interferone gamma sono stati associati a tossicità riproduttiva. Considerare la teratogenicità della ribavirina quando associata a interferone alfa (la ribavirina è controindicata in gravidanza). L'interferone beta è stato associato a un aumento del rischio di aborto spontaneo e di riduzione del peso alla nascita, pertanto il trattamento farmacologico dovrebbe essere sospeso prima del concepimento e non dovrebbe essere incominciato in gravidanza. Gli interferoni sono inseriti in classe C per l'uso in gravidanza.
L'interferone alfa (IFN α-2b) può indurre sonnolenza, stanchezza e confondimento, pertanto evitare attività che richiedano attenzione e capacità di coordinazione prolungate.
La presenza di alcool benzilico fra gli eccipienti della formulazione farmaceutica a base di interferone (IFN) controindica la specialità medicinale nei bambini con meno di tre anni di età.
L'interferone (IFN) alfa deve essere conservato a temperature comprese fra 2 e 8 °C. Può essere conservato a temperatura non superiore a 25 °C per sette giorni; in questi sette giorni può essere utilizzato. Dopo questo lasso di tempo l'interferone non può essere refrigerato per un altro periodo di conservazione e deve essere eliminato. L'interferone β-1a presenta caratteristiche di conservazione diverse a seconda della formulazione farmaceutica: al riparo della luce, a temperatura di 2-8 °C per 18 mesi (specialità medicinale Rebif) oppure 24 mesi (specialità medicinale Biogen); oppure a temperatura non superiore a 25 °C per 24 mesi (specialità medicinale Betaferon). L'interferone gamma deve essere conservato a temperature comprese fra 2 e 8 °C.
Nei pazienti con epatite C trattati con interferone (IFN) è stata riportato raramente la sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada, sindrome infiammatoria con disturbi soprattutto a carico di occhio, orecchio, cute e meningi. Se i sintomi presentati dal paziente portano a sospettare la sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada, interrompere la somministrazione dell'interferone.
La presenza di albumina umana nelle specialità contenenti interferone (IFN β-1B, Betaferon) comporta il rischio potenziale di trasmissione di virus.
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