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remissione della pena temporale, secondo la dottrina cattolica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Secondo la dottrina cattolica, l'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, ben disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, in quanto ministra della redenzione. (Codex Iuris Canonici Can.992)[1]
Gli insegnamenti sulla pratica dell'indulgenza hanno radici nella teologia cattolica e nella tradizione della Chiesa. Tuttavia, mentre il concetto di indulgenza non è specificamente menzionato nella Bibbia in modo esplicito, ci sono alcuni passaggi che hanno contribuito a sviluppare questa pratica. Ecco alcuni fondamenti biblici spesso citati:
« A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". » (Matteo 16,19[2]) |
« Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". » (Giovanni 20,19-23[3]) |
« Le membra del corpo che sembrano essere le più deboli, sono molto più necessarie delle altre; e quelle che stimiamo essere le meno onorevoli del corpo, le circondiamo di maggior onore; e le nostre parti indecorose sono circondate di maggior decoro; ma le nostre parti decorose non ne hanno bisogno. Perciò Dio ha composto il corpo, dando maggiore onore alla parte che ne mancava, affinché non vi fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero tutte una medesima cura le une per le altre. E se un membro soffre, tutte le membra soffrono; mentre se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono insieme. » (1 Cor 12,23-26[5]) |
L'indulgenza nelle prime comunità cristiane non era ancora una pratica formalizzata come lo sarebbe diventata nel Medioevo, ma l'idea di una "remissione dei peccati" aveva radici profonde già nei primi secoli. Le prime comunità cristiane consideravano il pentimento e la riconciliazione con Dio essenziali per ottenere il perdono. I cristiani credevano che, attraverso il battesimo, i peccati fossero perdonati; tuttavia, per i peccati commessi dopo il battesimo, era previsto un rigoroso percorso di penitenza. In questo contesto, gli "atti di penitenza" (come digiuni, preghiere o opere di carità) venivano visti come modi per rimettere i peccati commessi e riconciliarsi con la comunità. Tuttavia, il concetto di indulgenza come remissione parziale o totale delle pene temporali dei peccati perdonati, che poi si evolverà nella Chiesa medievale, non era ancora presente in maniera definita. Più avanti, soprattutto con le persecuzioni, nacque l'idea che i martiri e i confessori (coloro che avevano sofferto per la fede) potessero intercedere per gli altri, e ciò gettò le basi per la pratica delle indulgenze e per la concezione di un "tesoro di meriti".[6][7][8]
Il concetto di "tesoro della Chiesa" si sviluppa a partire dall’idea teologica che le buone opere e i meriti accumulati da Cristo, dalla Vergine Maria e dai santi siano una risorsa spirituale comune. Questa risorsa, o "tesoro di meriti," è ritenuta disponibile per il bene di tutti i fedeli e può essere applicata per la remissione delle pene temporali dovute ai peccati, attraverso le indulgenze.
Nel Medioevo, con l’istituzione del sacramento della penitenza, il concetto di indulgenza venne formalizzato. Il tesoro della Chiesa fu teologicamente spiegato da San Tommaso d'Aquino, che vedeva i meriti di Cristo come infiniti e quelli dei santi come complementari. (Summa Theologiae, III, q. 25, 1274 d.C.)
Nel 1300 papa Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo.[9] Sul modello della Perdonanza (istituita ad Aquila da papa Celestino V solo sei anni prima), venne offerta l'indulgenza ai pellegrini che si fossero recati a Roma e avessero visitato le basiliche papali. Altre opere di minore importanza meritavano uno "sconto" di purgatorio quantificato in anni o in giorni,[9] prassi che rimase in vigore fino al 1967, ricondotta ad alcuni passi biblici (un anno per un giorno: Numeri 14,34 e Ez 4,4-6); papa Paolo VI, nella costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina abolì tale quantificazione, lasciando solo la distinzione fra indulgenza plenaria e parziale e fissando nuove norme (semplificatrici) in materia. Esse, in estrema sintesi, mettono in relazione l'indulgenza concessa dalla Chiesa con l'azione del fedele e con il fervore con cui egli si dispone alla conversione, cioè al radicale cambiamento di vita richiesto dal Vangelo e attuato per la grazia del Battesimo.
Papa Clemente VI, nel XIV secolo, definì ufficialmente il tesoro della Chiesa nella bolla Unigenitus Dei Filius del 1343, in cui chiarì che la Chiesa aveva il potere di distribuire questi meriti come indulgenze.
Questo "tesoro" veniva considerato spiritualmente cumulativo, dato che Cristo e i santi avevano già vissuto una vita di perfezione e di sacrificio. La Chiesa medievale sosteneva così di poter concedere indulgenze ai fedeli che compivano atti specifici di penitenza o praticavano particolari forme di devozione, attingendo a questo patrimonio di meriti per aiutare a espiare le pene temporali residue dei peccati perdonati.[8][10][11]
Papa Paolo VI così definisce il "tesoro della Chiesa":
«Cristo, infatti, "il quale non commise peccato", "patì per noi", "fu ferito per le nostre iniquità, schiacciato per i nostri delitti... per le sue piaghe siamo stati guariti". Seguendo le orme di Cristo, i fedeli cristiani sempre si sono sforzati di aiutarsi vicendevolmente nella via che va al Padre celeste, mediante la preghiera, lo scambio di beni spirituali e la espiazione penitenziale; più erano animati dal fervore della carità tanto maggiormente imitavano Cristo sofferente, portando la propria croce in espiazione dei propri e degli altrui peccati, persuasi di poter aiutare i loro fratelli presso Dio, Padre delle misericordie, a conseguire la propria salvezza., è questo l'antichissimo dogma della comunione dei santi, mediante il quale la vita dei singoli figli di Dio in Cristo e per mezzo di Cristo viene congiunta con legame meraviglioso alla vita di tutti gli altri fratelli cristiani nella soprannaturale unità del corpo mistico di Cristo, fin quasi a formare una sola mistica persona.
In tal modo si manifesta il "tesoro della chiesa". Infatti, non lo si deve considerare come la somma di beni materiali, accumulati nel corso dei secoli, ma come l'infinito ed inesauribile valore che le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il Padre ed offerti perché tutta l'umanità fosse liberata dal peccato e pervenisse alla comunione con il Padre; è lo stesso Cristo redentore, in cui sono e vivono le soddisfazioni ed i meriti della sua redenzione. Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso, incommensurabile e sempre nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le buone opere della beata vergine Maria e di tutti i santi, i quali, seguendo le orme di Cristo Signore per grazia sua, hanno santificato la loro vita e condotto a compimento la missione affidata loro dal Padre; in tal modo, realizzando la loro salvezza, hanno anche cooperato alla salvezza dei propri fratelli nell'unità del Corpo mistico. [...]»
Lo scandalo della vendita delle indulgenze è stato uno dei fattori scatenanti della Riforma protestante nel XVI secolo. Inizialmente, il concetto di indulgenza era legato alla confessione e alla penitenza, ma nel Medioevo si trasformò in una vera e propria vendita.
La pratica si intensificò quando la Chiesa cercava fondi per progetti ambiziosi, come la costruzione della Basilica di San Pietro a Roma. Personaggi come Johann Tetzel, un monaco domenicano incaricato della vendita delle indulgenze in Germania, utilizzavano slogan come "Appena il soldo nella cassa rintocca, l'anima dal Purgatorio subito si stacca", per incentivare le persone a comprare indulgenze per i propri cari defunti. Questo sfruttamento commerciale della fede suscitò critiche, specialmente da parte di Martin Lutero. Lutero, indignato dalla corruzione della Chiesa, affisse nel 1517 le sue 95 Tesi sul portone della Chiesa di Wittenberg, criticando duramente la pratica delle indulgenze e chiedendo un ritorno alla purezza della fede. Questo evento segnò l'inizio della Riforma protestante, che portò alla nascita di nuove confessioni cristiane e alla divisione del mondo cristiano occidentale.[12]
In risposta alla protesta, la Chiesa cattolica riformò la propria posizione sulle indulgenze con il Concilio di Trento (1545-1563), ma ormai la frattura con i protestanti era irreparabile.[13]
Anche Michelangelo Buonarroti fu uno dei tanti accusatori della degradazione nella pratica dell'indulgenza, e a tal proposito scrisse pure un sonetto:
«Qua si fa elmi di calici e spade
e 'l sangue di Cristo si vend'a giumelle,
e croce e spine son lance e rotelle,
e pur da Cristo pazïenzia cade.
Ma non ci arrivi più 'n queste contrade,
ché n'andre' 'l sangue suo 'nsin alle stelle,
poscia c'a Roma gli vendon la pelle,
e ècci d'ogni ben chiuso le strade.
S'i' ebbi ma' voglia a perder tesauro,
per ciò che qua opra da me è partita,
può quel nel manto che Medusa in Mauro;
ma se alto in cielo è povertà gradita,
qual fia di nostro stato il gran restauro,
s'un altro segno ammorza l'altra vita?»
Oggigiorno, la concessione delle indulgenze è affidata, come già detto, alla Penitenzieria apostolica, oltre che al papa, mentre le norme generali sono state rivoluzionate da papa Paolo VI con la costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina del 1967, e sono indicate nel Codice di diritto canonico del 1983, il quale le disciplina nel libro IV, parte I, titolo IV, capitolo IV, canoni 992-997. Il Catechismo della Chiesa Cattolica fornisce una spiegazione teologica circa le indulgenze nella parte II, sezione II, capitolo II, articolo IV, paragrafo X, numeri 1471-1479.
Nella dottrina delle indulgenze, esiste una distinzione fondamentale tra colpa e pena. La colpa è il peccato stesso, l'atto contrario alla legge divina che allontana l'anima da Dio. La pena, invece, è la conseguenza del peccato, il castigo temporale che purifica l'anima. Quando si riceve il sacramento della confessione, la colpa del peccato è perdonata e l'anima è riconciliata con Dio. Tuttavia, resta la pena temporale[14] da scontare. Le indulgenze permettono di ridurre o eliminare questa pena temporale attraverso specifiche pratiche di fede e opere di misericordia. In altre parole, pur essendo la colpa cancellata, la pena può ancora esistere e le indulgenze aiutano a superarla.
Il peccato ha due effetti principali. Il peccato grave ci allontana da Dio e ci impedisce di raggiungere la vita eterna, questa è la "pena eterna". Ogni peccato, anche piccolo, crea un attaccamento malsano alle cose terrene che necessita di purificazione, sia in questa vita che dopo la morte, in purgatorio. Questa purificazione ci libera dalla "pena temporale". Queste pene non sono una punizione esterna inflitta da Dio, ma conseguenze naturali del peccato. Una vera conversione e un amore fervente possono purificare completamente il peccatore, eliminando ogni pena. Il perdono dei peccati e il ristabilimento del rapporto con Dio eliminano le pene eterne, ma restano le pene temporali. Il cristiano deve accettare queste pene come una grazia, sopportando sofferenze e prove, e impegnandosi in opere di misericordia, carità, preghiera e penitenza per spogliarsi dell'«uomo vecchio» e diventare un «uomo nuovo». (CCC artt. 1472, 1473) [15]
Così papa Paolo VI definiva l'indulgenza nella costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina:
«Detta remissione di pena temporale dovuta per i peccati, già rimessi per quanto riguarda la colpa, con termine proprio è stata chiamata "indulgenza". Essa conviene in parte con gli altri mezzi o vie destinate ad eliminare ciò che rimane del peccato, ma nello stesso tempo si distingue chiaramente da essi. Nell'indulgenza, infatti, la chiesa facendo uso del suo potere di ministra della redenzione di Cristo signore, non soltanto prega, ma con intervento autoritativo dispensa al fedele ben disposto il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi in ordine alla remissione della pena temporale. Il fine che l'autorità ecclesiastica si propone nella elargizione delle indulgenze, è non solo di aiutare i fedeli a scontare le pene del peccato, ma anche di spingere gli stessi a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità, specialmente quelle che giovano all'incremento della fede e al bene comune. Se poi i fedeli offrono le indulgenze in suffragio dei defunti coltivano in modo eccellente la carità e, mentre elevano la mente al cielo, ordinano più saggiamente le cose terrene. [...]»
Così si esprime invece il Codice di diritto canonico:
«L'indulgenza è la remissione davanti a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi in termini di colpa, che il fedele, volendo e adempiendo a determinate condizioni, ottiene mediante la mediazione della Chiesa, la quale, quale amministratrice della redenzione, distribuisce e applica con autorità il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi»
Papa Giovanni Paolo II diceva così della pena temporale:
«[...] anche dopo l'assoluzione rimane nel cristiano una zona d'ombra, dovuta alle ferite del peccato, all'imperfezione dell'amore nel pentimento, all'indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza. [...]»
Ordunque le pene temporali possono essere scontate durante il corso della vita con varie purificazioni che preparano l'anima ad entrare in paradiso, oppure vengono scontate, una volta deceduti, nel purgatorio. Dunque, le indulgenze, offerte dalla Chiesa e lucrate secondo date condizioni, non sono altro che la remissione di tali pene temporali legate a questo focolaio infettivo, come lo ha definito papa Giovanni Paolo II. Infatti l'indulgenza è così definita dal Catechismo della Chiesa cattolica:
«L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi»
Si chiama indulgenza plenaria quella che, secondo la dottrina cattolica, libera per intero dalla pena temporale dovuta per i peccati; indulgenza parziale quella che ne libera solo in parte.[16][17][18][19]
«L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati.»
Anticamente le pene in soddisfazione del peccato perdonato erano comminate in giorni; per esempio, per un peccato si poteva fare penitenza per 100 giorni, o per 40, o per tutta la vita. Il penitente poteva dunque diminuire i giorni della penitenza, riscattandoli per mezzo di opere indulgenziate. Questo fece sì che si cominciasse ad indicare erroneamente con un termine temporale anche la parte di pena da scontare dopo la morte, cioè nel purgatorio: di conseguenza, dicendo "100 giorni di indulgenza" per errore i fedeli più semplici intendevano che quella indulgenza liberasse dalla pena che si sarebbe altrimenti dovuta scontare con 100 giorni di purgatorio.
Papa Leone XIII abolì tutte le indulgenze di mille anni o più.[20] In seguito, papa Paolo VI, per mezzo della costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina, abolì l'esprimere il valore delle indulgenze parziali in giorni, mesi, anni o quarantene.
«L'indulgenza parziale d'ora in poi sarà indicata con le sole parole "indulgenza parziale", senza alcuna determinazione di giorni o di anni.»
Dunque oggigiorno le indulgenze parziali non sono più distinte le une dalle altre e, per quanto riguarda il loro valore, "si è ritenuto stabilire che la remissione della pena temporale, che il fedele acquista con la sua azione, serva di misura per la remissione di pena che l'autorità ecclesiastica liberamente aggiunge con l'indulgenza parziale".[21] Quindi, secondo la dottrina cattolica, compiendo un'opera buona a cui è annessa un'indulgenza parziale, un fedele ottiene una remissione di pena per il bene stesso che ha compiuto e altrettanta remissione grazie all'indulgenza amministrata dalla Chiesa. Così spiega tale innovazione papa Paolo VI:
«Le norme che seguono apportano alcune opportune variazioni nella disciplina delle indulgenze, in conformità anche alle proposte fatte dalle conferenze episcopali. Le disposizioni del codice di diritto canonico e dei decreti della santa sede riguardanti le indulgenze, in quanto sono conformi alle nuove norme, restano invariate. Nel redigere le nuove norme si è cercato in particolar modo di stabilire una nuova misura con l'indulgenza parziale, di apportare una congrua riduzione al numero delle indulgenze plenarie e di dare alle indulgenze cosiddette reali e locali una forma più semplice e più dignitosa. Per quanto riguarda l'indulgenza parziale, abolendo, l'antica determinazione di giorni e di anni, si è stabilita una nuova norma o misura tenendo in considerazione la stessa azione del fedele, che compie un'opera indulgenziata. E poiché l'azione del fedele, oltre al merito che ne è il frutto principale, può anche ottenere una remissione di pena temporale tanto maggiore quanto più grande è il fervore del fedele e l'importanza dell'opera compiuta, si è ritenuto opportuno stabilire che questa stessa remissione della pena temporale che il fedele acquista con la sua azione, serva di misura per la remissione di pena che l'autorità ecclesiastica liberamente aggiunge con l'indulgenza parziale. È parso poi opportuno ridurre convenientemente il numero delle indulgenze plenarie, affinché il fedele le stimi maggiormente e possa acquistarle con le dovute disposizioni. Infatti si bada poco a ciò che si verifica frequentemente e poco si apprezza quello che si offre in abbondanza. D'altra parte molti fedeli hanno bisogno di un congruo spazio di tempo per prepararsi convenientemente all'acquisto dell'indulgenza plenaria. Per quanto riguarda le indulgenze reali o locali non solo è stato di molto ridotto il loro numero, ma ne è stato abolito anche il nome, perché più chiaramente appaia che sono indulgenziate le azioni compiute dai fedeli e non le cose o i luoghi che sono solo l'occasione per l'acquisto delle indulgenze. Anzi, gli iscritti alle pie associazioni possono acquistare le indulgenze loro proprie, compiendo le opere prescritte, senza che sia richiesto l'uso dei distintivi.»
Da ciò che è stato riportato nella precedente citazione, si mette in rilievo che le indulgenze possono essere lucrate sia dai vivi per sé stessi, che da persone vive a favore dei fedeli defunti.[16][22][23][24]
«Ogni fedele può lucrare per se stesso o applicare ai defunti a modo di suffragio indulgenze sia parziali sia plenarie.»
Il papa Paolo VI, affinché si lucrasse l'indulgenza, imponeva come condizione primaria e necessaria il ripudio del peccato e il desiderio di ottenere l'indulgenza:
«Le indulgenze, infatti, sebbene siano delle elargizioni gratuite, sono tuttavia concesse sia per i vivi che per i defunti solo a determinate condizioni. Per l'acquisto di esse invero si richiede, da una parte, che le opere prescritte siano state compiute e, dall'altra, che il fedele abbia le necessarie disposizioni; che, cioè, ami Dio, detesti il peccato, riponga la sua fiducia nei meriti di Cristo e creda fermamente nel grande aiuto che gli viene dalla comunione dei santi.»
Ed in un altro passo dice:
«Le indulgenze, infatti, non possono essere acquistate senza una sincera conversione e senza l'unione con Dio, a cui si aggiunge il compimento delle opere prescritte. Viene conservato dunque l'ordine della carità, nel quale si inserisce la remissione delle pene grazie alla distribuzione del tesoro della chiesa.»
Per ottenere un'indulgenza plenaria o parziale, secondo la dottrina cattolica, un fedele, completamente distaccato dal peccato anche veniale, deve:[25]
Le opere indulgenziate sono inserite e regolate dal Manuale delle indulgenze.
La facoltà di concedere le indulgenze spetta al papa e alla Penitenzieria apostolica.
L'indulgenza sia plenaria (mentre impartisce la benedizione apostolica) che parziale può essere concessa all'interno della propria giurisdizione o ai fedeli ad essa pertinenti, dal vescovo diocesano ed eparchiale, dall'arcivescovo maggiore, dal metropolita e dal patriarca, dal cardinale, oltreché dal papa.[26]
Per i patriarchi ciò vale nelle singole località del patriarcato, nelle chiese che seguono il rito specifico del patriarcato al di là dei suoi confini, e dovunque per i fedeli del proprio rito.[27]
I cardinali vescovi godono la facoltà di concedere la sola indulgenza parziale in qualsiasi luogo. Tale indulgenza può essere acquistata dai soli presenti che di volta in volta si trovano nei singoli luoghi.[28]
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